Premessa: lo scopo di Carborugby con questa serie di interviste è quello di far raccontare le realtà del Sud Italia dai suoi protagonisti. Le opinioni espresse nelle interviste sono da intendere nell’ottica di un dibattito sul tema, che la redazione spera di riuscire a suscitare nella comunità del rugby italiano, senza esprimere una propria posizione perché ne benefici il dialogo stesso. Le domande proposte nelle interviste sono state realizzate dal team di Carborugby e dal pubblico sui social media.
Dopo aver parlato di Sicilia con il CUS Catania e Orazio Arancio, abbiamo parlato con il responsabile del rugby di base Francesco Urbani per affrontare le critiche relative alla gestione del rilancio del Sud da parte della FIR. Ci spostiamo ora in Campania, intervistando il mediano di mischia delle Zebre e della Nazionale Alessandro Fusco.
Intervista realizzata il 15.05.2023 a cura di Marco Serraiotto, testo di Andrea Belli.

Ciao Alessandro, intanto come stai?
“Bene, bene. Ho ricominciato ad allenarmi dopo le due settimane di pausa. Insomma, stanco ma bene.”
Parlaci del tuo percorso: come ti sei appassionato al rugby?
“Io ho iniziato a giocare a rugby all’età di 5, 6 anni. Mio padre ha giocato con diverse squadre, tra cui la Lazio, il Brescia, la Partenope, e quando sono nato io, lui aveva appena smesso di giocare, quindi ancora faceva qualche partitella ogni tanto con gli Old. Io ero in giro con lui sui vari campi, così ho iniziato a giocare. Inizialmente ero alla Partenope, poi dai 9-10 anni sono andato all’Amatori Napoli. Sono cresciuto tra le fila dell’Amatori fino ai 14 anni, quando sono andato all’accademia zonale a Benevento assieme a tanti altri ragazzi campani che facevano parte soprattutto dell’Amatori Napoli. Ho fatto due anni in accademia dove comunque nel weekend tornavamo a giocare con il club, poi sono stato selezionato dall’accademia nazionale Ivan Francescato che da Parma si era spostato a Remedello quell’anno. Ho fatto due anni a Remedello, dove ho giocato i due Sei Nazioni under 20 e le due coppe del mondo Under 20, sia in Francia che in Argentina. Dopo due anni a Remedello sono entrato con il gruppo sportivo della Polizia delle Fiamme Oro a Roma; ho fatto due anni a Roma, poi il terzo anno sono andato alle Zebre. All’inizio di quest’anno è successo quel casino tra Fiamme Oro e Federazione, quindi ho lasciato del tutto il gruppo sportivo della polizia e adesso faccio parte esclusivamente delle Zebre, con cui ho firmato fino all’anno prossimo. Quindi c’è un altro anno di contratto e poi andrebbe rinnovato.”

Quindi diciamo che papà Fusco ti ha un po’ introdotto a tutto il discorso rugby
“Sì, ma senza escludere tutti gli altri sport. Ho fatto judo, sono cintura nera, ho fatto gare di sci, ho fatto pallanuoto… insomma ne ho fatti parecchi.”
Vediamo spesso sui social che quando c’è un tema rugbistico, c’è l’armata Fusco che viene avanti perché ci sono tantissimi Fusco in giro per l’Europa. Tra l’altro il nome che viene spesso fuori, oltre al tuo, è quello di Emilio che ha giocato anche con la nazionale A. Quanto è difficile per un ragazzo di Napoli, o in generale della Campania, poter emergere a livello rugbistico?
“Guarda, non dico stupidaggini: secondo il mio pensiero attuale, al giorno d’oggi, penso che sia quasi impossibile. Ovviamente niente è impossibile, però da Roma in giù è realmente difficile poiché in Campania l’unica squadra che partecipa a un campionato di Serie A è l’Amatori Napoli. Questo campionato è comunque limitato perché, adesso che hanno fatto i tre gironi, giochi con Pesaro che è quella un po’ più lontana, poi c’è Prato, Livorno e tutte le squadre romane. Penso che in un campionato come la serie A sia difficile farsi notare, a meno che non fai un campionato come quello della Lazio, che è una squadra che scendeva dal Top10 ed è ovviamente nettamente più forte delle altre perché ha mantenuto tanti ragazzi del Top10, quindi sai di poter andare a giocare le fasi finali e farti notare. È difficile anche perché al di sopra, quindi nel Top10, a meno che non sei un giocatore dagli standard fisici straordinari come un pilone particolarmente forte o una seconda linea particolarmente alta, è difficile venire selezionato. Fino ad ora le squadre hanno pescato i giocatori all’interno dei propri settori giovanili. I tanti ragazzi under 20 che escono dalla Nazionale e dalle accademie vanno a giocare nelle solite squadre, quindi Rovigo, Petrarca, Calvisano, ecc. Viadana ha una squadra prettamente Argentina, sono quasi tutti stranieri, le altre squadre hanno tutti i giocatori dei propri vivai, per esempio, Mogliano ha tutti i giocatori che hanno sempre giocato a Treviso, quindi poi la prima squadra cerca i giocatori usciti dalle giovanili. È difficile che vadano a pescare giocatori in Serie A, ancor di più quando parliamo di una realtà totalmente distaccata da quello che è il rugby italiano, quindi dal triveneto e il Nord Italia, rendendo ancor di più le cose difficili.”
Come è visto il rugby in Campania e a Napoli?
“Io parlo dell’Amatori Napoli perché è l’ambito che conosco di più, sia perché ci giocavo, sia perché parlo con dei ragazzi che giocavano con me. In realtà il rugby sta anche crescendo, perché ci sono tanti bambini, però penso che la cosa più difficile sia quella di far sognare i bambini, dare loro un obiettivo, dare loro un sogno. Perché poi sappiamo tutti che quando arriva l’adolescenza, dai 14 ai 18, arriva probabilmente il periodo più difficile e se hai qualcosa di reale a cui aggrapparti è più semplice. Ad esempio, se tu sei un ragazzetto della Arechi o della Partenope e hai la squadra che milita in Serie C, dove il livello è realmente quasi inesistente, soprattutto in Campania, ti fai anche delle domande se ne valga la pena, se non convenga lavorare, o perché mi devo privare di alcune cose se poi devo rimanere a giocare in serie C, mentre in una società come il Petrarca Padova, con una squadra in eccellenza, una in Serie A, e una in serie B, chiaramente tutti i ragazzi hanno l’obiettivo di arrivare in eccellenza, poi qualcuno finisce in serie B, qualcuno finisce in Serie A, qualcuno sale in eccellenza e quindi hanno sempre dei vivai freschi.”

Quindi secondo te manca un obiettivo concreto da raggiungere per i ragazzi
“Purtroppo rispetto alle altre realtà come a Calvisano e Rovigo dove la gente vive di rugby, a Napoli sei accompagnato da tanti altri sport perché ovviamente la città è molto più grande, quindi è anche molto più difficile essere attrattivi per i ragazzi. Il problema secondo me è il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, perché prima, quando c’erano le accademie, se un giocatore aveva valore, aveva anche la possibilità di entrare in una accademia, fare un percorso federale, crescere e avere la possibilità di giocare un rugby internazionale, o la possibilità di tornare al club d’origine e insegnare qualcosa. Con questa competenza si dà la possibilità al club di salire in eccellenza o di vincere il campionato. Senza questo aiuto è difficile crescere perché poi i ragazzi si standardizzano. Più giochi a un livello alto, più cresci, più hai possibilità di crescere. Più giochi a un livello medio basso, più ti standardizzi a quel livello, per quanto tu magari possa essere un buon giocatore. Quindi sì, la fase critica è tra adolescenza ed età adulta, poi Napoli almeno è in Campania, dove il rugby a livello di bambini sta crescendo, ma è importante il percorso di crescita.”
Sì, quello che dici lo abbiamo sentito anche dai ragazzi del CUS Catania: se non giochi con una squadra di livello, il tuo livello resta sempre lo stesso.
“Io per esempio,se non ci fosse stata l’accademia probabilmente sarei rimasto un giocatore di serie A mediocre, che giocava all’Amatori Napoli e nessuno mi avrebbe mai notato, perché un allenatore che conosce solo giocatori del Nord, quando deve andare a fare una selezione fra me, che non mi conosce e vengo da Napoli, e tu che sei di Padova e ti conosce almeno di vista, ovviamente preferisce chiamare te.
Quindi l’accademia era il vostro trampolino di lancio
“Sì, nel centro-sud Italia era sicuramente un trampolino di lancio. Roma, Benevento e Catania hanno raccolto tanti giocatori che probabilmente non sarebbero usciti altrimenti, per esempio Licata e i ragazzi dell’Aquila.”
Quello che ci dicevano a Catania è che l’Accademia ha tirato fuori una ventina di giocatori che poi sono sparsi tra Serie A, Top10 e URC, tra cui anche Giovanni Licata
“Esattamente, ne abbiamo parlato proprio qualche giorno fa io e Giovanni, quando siamo stati in vacanza insieme a Santo Domingo. Parlavamo proprio del fatto che le accademie sono state un’ancora di salvezza per tanti giocatori dei nostri anni.”
Per quanto riguarda l’affluenza alle partite, com’è la situazione? Ci sono pub a Napoli che trasmettono le partite della Nazionale oppure è tutto riservato ancora ai club?
“A Napoli non penso ci sia nulla, è difficile entrare in un bar e trovare la partita dell’Italrugby in tv la domenica alle 3:00. Al massimo lo vai a vedere in un club che si organizza, del tipo “andiamo a vedere tutti quanti la partita in clubhouse dell’Italia”, altrimenti la vedi a casa sul divano.”
Cos’è che si potrebbe fare per sviluppare di più rugby in Campania?
“Se sapessi la risposta avrei risolto il problema del rugby a Napoli. Pensando che non ci saranno più le accademie andrei sicuramente nelle scuole e nelle università a fare propaganda, perché al giorno d’oggi che funziona tutto coi social e con il passaparola dei ragazzi andrei a puntare proprio su quello, quindi su pubblicizzazione social e visiva. Insomma, nelle scuole, a contatto con i ragazzi, con l’università, con le scuole medie. Poi farei una formazione di allenatori di un certo livello, perché soprattutto in età adolescenziale serve qualcuno che ti dia delle buone basi per poter poi continuare senza problemi, perché a livello di diritti televisivi ci sono altri mille sport che sono troppo più forti ed è troppo difficile esporsi in quel mondo, mentre secondo me in quello dei social, a contatto coi ragazzi, è molto più semplice e veloce ed è anche più diretto.”
Cosa ne pensi del progetto Sud della FIR? Qual è tua opinione da giocatore che viene da quella zona lì?
“Guarda mi cogli impreparato, nel senso che non ho affrontato il discorso progetto Sud. Purtroppo o per fortuna non lo vivo, quindi sicuramente non saprei esporre in maniera obiettiva un commento o una mia opinione, proprio perché non so di che cosa parliamo.”
Dato che ci sono varie squadre in tutta la Campania e anche in varie zone di Napoli, avrebbe senso unirle per creare la franchigia napoletana?
“Unirle per creare un’unica franchigia penso di no, perché Napoli è troppo grande. È come se volessi unire sotto un’unica squadra tutti i club di Roma. E allora dove ti alleni? Magari poi uno deve fare 50 km, uno 40 km, uno 12 km in tutte le condizioni: con la pioggia, in inverno con le macchine e il traffico… sarebbe una situazione ingestibile. Anche perché non si parla di Napoli comune, si parla della provincia di Napoli che è troppo vasta. Le squadre che giocano vicino, ad esempio Napoli e Partenope, si potrebbero unire. Però anche lì non è meglio avere due realtà separate? Così crei due percorsi con lo stesso obiettivo ma in zone di Napoli diverse, cercando di prendere più numeri possibili e portare due realtà napoletane su. Poi magari non la chiami né Amatori Napoli né Partenope la chiami “Experience Napoli”, però è sempre solo una realtà. Mentre se uno riuscisse a portare due realtà napoletane al rugby di alto livello sarebbe un’altra cosa.”
Quand’è che tu hai capito di poter fare la differenza nel tuo ruolo?
“Guarda io sono abbastanza menefreghista, anche quando ero più piccolo ero l’unico ragazzo napoletano insieme a tanta altra gente di Treviso o del Nord, ma non mi è mai fregato più di tanto. Ho sempre cercato di giocare al massimo sapendo che avevo qualche possibilità, qualche dote innata o allenata che mi ha dato la possibilità di essere lì. Dalle prime convocazioni in under 17-18 ho sempre pensato non di non essere inferiore a nessuno, perché poi sembra che voglio essere arrogante, però non mi sono mai posto il dubbio ma magari ci arrivo, magari no, ci ho sempre creduto. Il mio obiettivo era sempre arrivare alla Nazionale maggiore, poi quando arrivano le prime convocazioni nella under 17-18 inizi a capire che il sogno si può realizzare, che è arrivato il momento di trasformare quella che era una semplice passione in un obiettivo.”

Come hai festeggiato la tua prima convocazione?
“Ho ricevuto la mia convocazione e in realtà non mi sembrava nemmeno vero, mi chiedevo se fosse successo realmente. Così l’ho vissuto i primi due giorni, quando mi hanno chiamato a Parma per andare a fare l’Autumn Nation Series. Tra l’altro giocavamo contro All Blacks, Argentina e Uruguay quindi sai, magari giochi contro una delle squadre più forti al mondo. Ero veramente entusiasta e incredulo. Poi piano piano ho realizzato, ma lì non mi sono fermato a dire “wow sono arrivato”. Mi piacerebbe diventare il Carlo Canna di 10 anni fa, che è approdato alla Nazionale e c’è rimasto per 10 anni e ha fatto 50 presenze. Le prime partite non mi rendevo conto nemmeno di quello che stava succedendo intorno a me. Durante l’esordio con l’Argentina a Treviso sono entrato e praticamente non capivo nemmeno dove fossi! È un’emozione sempre incontrollabile che cerchi di gestire al meglio.”
Hai un rito pre-partita?
“Prima ascoltavo musica a caso, qualche playlist ma niente di particolare, nell’ultimo anno invece quando arriviamo allo stadio e nello spogliatoio ascolto musica napoletana, delle canzoni che cantavamo con i ragazzi, qua a Napoli per stare tranquillo.”
C’è una canzone che ascolti sempre?
” ‘O marenariello” , di Massimo Ranieri. Mi chiedono spesso come faccio ad ascoltare una canzone del genere prima di giocare, ma mi mette tranquillità, serenità. Ho in mente quando la canto con tutti i ragazzi qui a Napoli, quando l’Amatori è stata promossa in Serie A e quando vincono le partite, quindi mi sento più vicino a loro. Ah, poi gioco sempre con la stessa mutanda: ho una mutanda che uso solo per giocare. Questo da sempre, ovviamente l’ho cambiata nel tempo (ride ndr), però diciamo che dura una stagione.”
E per quanto riguarda il tuo arrivo alle Zebre, come è andata? Tu prima eri alle Fiamme Oro, poi ti hanno selezionato, com’è successo?
“All’epoca c’era Mike Bradley come allenatore delle Zebre che mi aveva chiamato per fare il prestagione là a Parma, ci siamo trovati subito bene, anche come rapporto umano. Quell’anno poi ho avuto la possibilità di giocare perché Violi e Palazzani erano in nazionale, c’era solo Casilio che però era infortunato. Eravamo contro Munster a Thomond park, uno stadio pazzesco dove tra l’altro mi sono fatto male. Poi dopo un po’ tornai a giocare con le fiamme, e mi riconvocarono per giocare una partita con gli Ospreys a Swansea. L’anno dopo mi hanno offerto il contratto e mi sono trasferito a Parma a Giugno, prima del prestagione.”
Come sta andando fino ad ora la tua esperienza alle Zebre?
“Bene, per quanto uno possa dire bene con zero vittorie. È sicuramente difficile, potrebbe andare meglio, però sono cresciuto tanto come giocatore, soprattutto dal punto di vista umano anche perché capisci bene che affrontare una stagione con una vittoria o zero vittorie non è facile. Devi sempre avere dentro quell’ispirazione, la voglia di giocare, di dimostrare, di crescere, di voler vincere e non è facile. Mi ritengo fortunato di avere questa mentalità, nel senso che ogni partita che scendo in campo per me è da vincere, che sia contro Leinster, che sia contro l’ultima squadra di serie C: il mio obiettivo è quello di vincere. Quindi ho la fortuna di affrontare il campionato sempre in maniera entusiasmante, aggressiva, qualsiasi sia la partita da giocare. Sono cresciuto tanto dal punto di vista umano perché ho avuto la fortuna di giocare abbastanza, a parte l’infortunio, quindi mi sono sentito “obbligato” a dover crescere in mezzo al campo, a dover essere un timoniere della squadra, perché il 9, il 10 e il capitano timonano la squadra in una direzione. Sono cresciuto tanto anche nella gestione delle partite, grazie all’aiuto di Fabio Roselli, di Crowley, di David Williams, l’allenatore dell’attacco delle Zebre. Ho migliorato il mio atteggiamento in campo, il mio modo di parlare alla squadra, il mio modo di affrontare determinati momenti difficili e me la sono riportato un po’ anche in Nazionale. Parlando con Kieran, con Goose, con Andrea Moretti, ci siamo trovati d’accordo su quello che dobbiamo fare, quindi abbiamo intrapreso tutti la stessa strada. Per questo dico che per me certo, le zero vittorie di quest’anno pesano, però mi sento cresciuto molto dal punto di vista personale, come giocatore e come esperienza.”
Quando sei arrivato c’era un giocatore che ti ha preso un po’ sotto la sua ala? Il salto da Top10 a URC deve essere bello pesante
“Sicuramente io avevo dei grandi esempi: sono arrivato e all’epoca c’era Josh Renton, il neozelandese che adesso gioca al Valorugby, c’era Marcello Violi e Gullo Palazzani che hanno insieme un’ottantina di presenze in Nazionale. Poi c’era Carlo canna, Giulio Bisegni, Tommaso Castello, insomma tutti grandi giocatori che all’epoca componevano la squadra della nazionale. Mi sono trovato subito in sintonia con Nicolò Casilio perché giocavamo insieme anche in Nazionale giovanile. Come mentore Marcello Violi ci ha aiutato parecchio con i suoi consigli e ci ha sempre motivato. Era appena rientrato da un infortunio, giocava poco, però devo dire che è sempre stato molto gentile e ci ha sempre aiutato. Poi quello con cui ho fatto proprio esperienza e che mi ha cresciuto è stato Carlo Canna, perché ho giocato la maggior parte delle partite con lui all’apertura anche in Nazionale, siamo stati anche compagni di stanza, quindi mi ha aiutato tanto in questa crescita. Poi pure lui è napoletano quindi ci capivamo bene (ride ndr).”
Come funziona la giornata tipo degli allenamenti delle Zebre?
“Allora, la giornata comincia con la pioggia. Ti svegli, piove e fa freddo. Scherzi a parte, durante il periodo estivo ci alleniamo la mattina presto e poi verso le 10-11 abbiamo finito, perché ovviamente ci sono 6.000 gradi. Per il resto, la giornata tipica comincia verso le 7:30-8 al campo, cominci con l’attivazione in palestra, con la fisioterapia, poi abbiamo le riunioni, reparto, e poi il collettivo che il martedì viene fatto il pomeriggio. Quindi la mattina abbiamo palestra, riunione e reparto, pranzo un’oretta e poi ci alleniamo il pomeriggio, mentre gli altri giorni è tutto schiacciato la mattina dove facciamo palestra, riunioni, reparto e poi collettivo, che finiamo per le 13:30-14:00.”
Avete un giorno off alla settimana?
“Sì, mercoledì nel giorno off abbiamo palestra opzionale, quindi chi vuole è libero di andare in palestra con i preparatori e fare quello che dicono loro, o magari stretching e mobilità.”
Cosa si fa a Parma nei giorni off?
“Si sta sul divano a guardare la televisione. Parma per assurdo è una città universitaria che è piena di ragazzi, però è un po’ morta. È vuota e il motivo è che fa troppo freddo d’inverno, quindi non puoi uscire per stare al bar all’esterno, mentre all’interno i bar sono piccolini e una volta che sono riempiti c’è poco da fare. I ragazzi in settimana studiano quasi tutti e col maltempo non escono, quindi c’è poco in giro, a parte nel weekend. È una città piccola, la puoi girare tutta a piedi o in bicicletta.”
Cos’è che manca alle Zebre per diventare veramente rappresentativa della città di Parma?
“Beh sicuramente non nego che qualche vittoria potrebbe smuovere un po’ le acque. Però penso che negli ultimi negli ultimi anni il movimento sia cresciuto abbastanza, perché comunque allo stadio si sono poche, ma ci sono sempre almeno un migliaio di persone. Bisogna continuare su questa strada, ovviamente coinvolgendo sempre di più le persone esterne al mondo del rugby avvicinandole con quello che possono essere pubblicità, sponsorizzazioni, eventi per ragazzi anche nelle zone storiche di Parma, come al museo o a teatro. Poi comunque Parma è una città che vive di calcio, c’è il Parma Calcio che è più seguito del rugby.”

Cosa stai imparando da Cook? Con quale apertura ti trovi meglio al momento a giocare?
“Con Chris mi sto trovando bene, non abbiamo un grande rapporto, lui ha dieci anni più di me quindi abbiamo poche cose in comune al di fuori del rugby. Lui ha una famiglia, una moglie, un bambino… sicuramente è più impegnato di me sotto questo punto di vista, però sia in campo che fuori non è uno che parla tanto. Da più l’esempio, è un professionista, quindi è uno sempre puntuale, preciso, fa tutto quello che deve fare, è sempre concentrato al massimo e si arrabbia con se stesso quando sbaglia. Poi certo, quando siamo in campo lui a volte mi dice qualcosa per darmi una mano, magari quando lavoriamo insieme sul passaggio e sul box kick. Però come carattere, essendo più grande di me, abbiamo poche cose in comune.”
E per quanto riguarda le aperture? Con chi ti stai trovando meglio?
“Ho giocato qualche partita con Geronimo Prisciantelli, ma poche, la maggior parte con Tiff Eden quindi mi sento “obbligato” a dirti Tiff, nel senso che avendoci giocato di più insieme, ho più confidenza con lui. Però mi trovo bene anche con Antonio Rizzi, per quanto quest’anno non abbiamo giocato insieme, l’anno scorso eravamo molto in sintonia. Con Geronimo avrò giocato forse due partite… anzi una era con Edimburgo, io giocavo 13 e lui giocava 10, però mi trovo bene con entrambi.”
Chiaramente l’infortunio di Garcia e quello di Rizzi hanno tanto condizionato il reparto dei mediani
“Sono entrambi i giocatori di livello, sia Garcia che Tony, quindi penso che entrambi possano dare un grande apporto alla squadra.”
Tra i giovani che sono arrivati negli ultimi anni alle Zebre, quali pensi abbiano il talento per diventare dei giocatori di livello URC?
“Non so, perché il livello dell’URC è molto diverso da quello del Top10. In eccellenza si gioca un tipo di rugby diverso e la crescita di un giocatore dipende sempre dalla persona, in base a come affronta le cose. Io ovviamente ho sempre la speranza che facciano una grandissima carriera, anche perché gioco con loro e ci possono aiutare a giocare al meglio le nostre partite. Penso però che un giocatore, per quanto possa essere forte in eccellenza, abbia bisogno del tempo per adattarsi all’URC, perché è un altro campionato con un’altra pressione e un altro livello di partite, vai a giocare contro le squadre più forti d’Europa e del mondo. Adesso Leinster gioca la finale di Coppa, Munster gioca la finale del campionato con gli Stormers, quindi in campionato vai a giocare praticamente contro l’Irlanda, il Sudafrica, il Galles, la Scozia… Sono sempre partite di altissimo livello che sono imparagonabili con quelle del Top10. Dipende sempre da quanto prima un giocatore riesce a prendere confidenza in quell’ambito.”
Quello che si nota è la differenza di work rate tra Top10 e URC, cioè con quanta rapidità si sviluppa il gioco. Un esempio è la velocità con cui le squadre arrivano al lancio in touche nei due campionati.
“Certo, la differenza la fa quanto la palla è effettivamente in gioco, in una partita di Top10 tu hai la palla in gioco dai 27 ai 30-35 minuti, in URC invece si va da un minimo di 33-35 minuti ai 40-42. A questo livello poi, le piccole cose fanno la differenza: quanto più resisti, quanto più fisicamente riesci a importi sull’avversario. Le velocità e gli scontri difficili, a parte le sudafricane che sono avvantaggiate, sono quasi uguali per tutte le squadre, perché ormai tutti i giocatori sono fisicamente completi. Il primo che si stanca, il primo che molla qualcosina in più, perde la partita, perché si perde per un dettaglio, quindi anche la touche di corsa per non far recuperare l’altra squadra, o la mischia e poi giocare subito il calcio punizione veloce per cercare di cogliere l’avversario impreparato.”
Qual è l’aspetto che secondo te adesso è veramente migliorato nel tuo gioco?
“Ho migliorato le skills individuali, quindi il passaggio e il gioco al piede in cui mi sento molto migliorato e poi nella gestione tattica e tecnica della partita. Sono cresciuto tanto su questi aspetti ma devo crescere ancora tanto, ne sono consapevole.”

Cos’è che manca effettivamente alle Zebre per essere una squadra più competitiva?
“Quest’anno quello che ci è mancato un po’ è stata sicuramente la disciplina, che ci ha punito a causa forse anche dell’inesperienza dei giocatori come caps. Ci è mancata un po’ di esperienza nella gestione delle partite, perché poi le prime quattro se aggiusti due cose ed eviti di sbagliare altre due cose, contro Leinster, Sharks e Stormers le potevamo vincere. Ho ancora la meta mancata con gli Sharks in testa, con il loro calcio d’inizio, noi sbagliamo la ricezione ma uno dei loro fa fallo, andiamo a segnare dall’altra parte del campo con 500.000 off load che la gente stava morendo, annullano la meta e perdiamo la partita.”
Chi è che “tira su” la squadra nei momenti difficili?
“Quelli un po’ più esperti, quindi Bigi, Dave, Chris, Tiff, insomma, quelli che magari hanno vissuto sicuramente più rugby e quindi possono cercare di darci una mano anche a livello morale. Anche se dopo partite del genere c’è poco da parlare, quindi è semplicemente per dire “ok, è successo, cancelliamo e andiamo oltre, perché questi non siamo noi”.
Mi ricordo le prime partite, c’era un hype incredibile, siete arrivati a tanto così da vincere con Leinster e gli Sharks… cosa è successo? Come si è passati da quelle prestazioni alle partite che avete fatto in Sudafrica?
“Non riesco a dirtelo in maniera obiettiva, perché l’ho vissuto anche io in prima persona, però ti posso dire che dopo le prime quattro partite c’è stata la pausa internazionale, quindi la squadra si è separata un po’, poi ci siamo riuniti, poi comunque gli avversari ti studiano, magari perdi altre due partite, inizia ad andare giù il morale… magari una partita ti avvicini alla vittoria, però ancora sbagli, fai piccoli errori. Ti rendi conto che su 20 partite, se facciamo un errore a testa, praticamente fai 20 errori e perdi tutte le partite. Secondo me la strada è quella giusta, perché poi giochiamo un bel rugby, siamo cresciuti tanto come squadra. Ci vuole del tempo per per far sì che tutti capiscano la reale importanza del dettaglio a questo livello. Lo dicevamo prima: il ragazzo che sale dall’eccellenza ha bisogno di ambientarsi, mentre magari uno straniero già è preparato.”
Qual è stato il tuo momento più bello in nazionale fino adesso? Come hai festeggiato a casa la prima convocazione?
“L’ho festeggiata via telefono, visto che ero a Parma. Mi sono arrivati milioni di chiamate e di messaggi da parte di amici, conoscenti, i ragazzi del mondo del rugby partenopeo. Il momento più felice è stato quello dell’esordio a Treviso contro l’Argentina. Nemmeno a farlo apposta: il napoletano che fa l’esordio con l’Argentina (ride ndr). Approdare al sei nazioni è stato per me un sogno: giocare all’Olimpico, a Twickenham, a Murrayfield… è stato veramente fantastico e voglio continuare a vivere questo sogno. Poi ero a Firenze a guardare l’Italia quando hanno vinto con l’Australia, io mi ero lussato la spada ed ero lì tutto fasciato e bardato, però sono entrato in spogliatoio con loro e ho vissuto la vittoria, mi hanno fatto sentire parte della squadra e ho festeggiato con loro. Ovviamente come ultimo ricordo più bello c’è stata la meta Twickenham.”
C’è una gerarchia all’interno dei mediani di mischia della Nazionale, oppure gioca chi è più in forma?
“Non penso ci sia una gerarchia in Nazionale, siamo tutti giovani, Steven ha 19 presenze, io 13, Ale Garbisi 5 o 6, quindi non è che siamo tanto distanti uno dall’altro. Poi in realtà Steven è quello che gioca un po’ di più in nazionale e da più tempo, quindi se vogliamo dire è lui il primo, però non c’è mai stata negata la possibilità di giocare. Nel momento in cui fai una bella prestazione o ti alleni bene puoi giocare. Un esempio può essere l’ultima partita con la Scozia di quest’anno, a Edimburgo, che ho giocato io, con Ale in panchina e Steven era in tribuna. Kieran è sempre stato molto chiaro e corretto: chi merita di giocare, gioca.”

Conosci già gli ultimi convocati come Paolo Odogwu o Dino Lamb? Li hai visti giocare?
“Li ho visti giocare, però non li ho mai conosciuti di persona.”
Che tipo è Page-Relo?
“In realtà ci ho parlato poco, perché lui parla francese e poco inglese, io parlo poco inglese e niente francese, quindi la comunicazione fra noi non è proprio facilissima, però grazie a Paolo Garbisi o Ceccarelli che parlano francese siamo riusciti un po’ a scherzare con lui. Poi ci siamo conosciuti poco perché abbiamo passato insieme solo 10 giorni, però è abbastanza un ragazzo tranquillo e simpatico, questo è quello che posso dire al momento (ride ndr)”
Parisse non convocato per il mondiale, come lo vedi?
“Non lo vedo, perché non sono io che faccio le convocazioni. Magari è una risposta troppo facile da dare, però è la realtà. Kieran non penso che abbia negato mai la Nazionale a nessuno nel momento in cui se la sia meritata, e quindi probabilmente ha fiducia e crede che questo gruppo vada bene così. Parisse non è stato convocato come tanti altri giocatori che non sono stati convocati. Non sono di sicuro io a dover convincere Kieran a convocare o meno Parisse, lui avrà avuto sicuramente le sue idee e il suo pensiero, giusto o sbagliato che sia non lo so perchè non so quale sia il suo pensiero quindi semplicemente fa lui le scelte, chiedetelo a Kieran (ride ndr)”
Quali sono i tuoi obiettivi futuri?
“In questo momento sono concentrato su quello che è il percorso con la Nazionale e con le Zebre. Adesso devo affrontare questo raduno e cercare di andare al mondiale, voglio dare il mio contributo e aiutare la squadra a vincere e crescere. Poi a Settembre-Ottobre mi dovrei laureare in scienze giuridiche per fare poi giurisprudenza. Ero iscritto a Napoli a giurisprudenza, poi causa covid e distanza mi sono iscritto all’ Unimarconi. Ho terminato con scienze giuridiche e da Gennaio mi iscrivo a giurisprudenza e finisco gli altri due anni.”
Wow e riesci a fare tutto?
“Come ti ho detto i pomeriggi sono abbastanza vuoti a Parma quindi si (ride ndr).”
Ti piacerebbe giocare all’estero?
“È un’esperienza che mi piacerebbe fare, c’è sempre il momento ovviamente, però mi piacerebbe poter fare un’esperienza in un altro mondo rugbistico, per conoscere anche un’altra realtà, per quanto ovviamente in questo momento sto bene e non me ne andrei.”
Tra il top 14 e la Premiership dove ti piacerebbe giocare?
“Mi vedo meglio sicuramente in Top14, dove il modo di giocare è più simile al mio rispetto a quello della Premiership: è molto meno schematizzato, si gioca di più a sensazione e a intuizione, rispetto ad un rugby inglese che è un rugby scolastico e schematico.”
Ultimissima domanda: cosa diresti un ragazzo campano che sogna l’alto livello e la Nazionale?
“Gli direi che deve continuare ad allenarsi e non credere che sia impossibile, perché anche quando io ho cominciato a giocare a rugby non c’erano le accademie, quindi non deve scoraggiarsi. Deve continuare a crederci e a volersi migliorare, perché poi nella vita un treno passa e bisogna farsi trovare pronti, perché nello sport così come nella vita, se poi in quel momento non sei preparato a prenderlo, lo perdi. Se tutti hanno questo obiettivo, torniamo al discorso di prima: una società cresce, i giocatori hanno la possibilità prima di farsi notare, e poi di approdare in campionati più alti e poi essere considerati a livello internazionale.”

Un pensiero riguardo “Progetto Sud: Napoli, Zebre e Nazionale. Intervista ad Alessandro Fusco”