Dopo aver parlato di Sicilia con il CUS Catania Rugby, vi portiamo in Campania e più precisamente a Napoli, dove la squadra dell’Amatori Napoli milita nel campionato di serie A.

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Quanto è sentito il rugby nel capoluogo campano? Quanto è difficile emergere in una città prettamente calcistica come Napoli? Andiamo a scoprirlo con:

Marco Aiello: pilone e vice capitano.

Alessandro Quarto: capitano e preparatore atletico e allenatore u15.

Vincenzo Lo Moriello: allenatore u15 e Team Manager.

Raccontatemi la storia del vostro club

L’amatori Napoli Rugby è nato nel 1999 dalle ceneri del CUS Napoli, che era la squadra universitaria. Siamo sempre stati nell’area Flegrea, quindi non Napoli centro. Ci siamo spostati dal centro sportivo del CUS Napoli e abbiamo girato tanti campi fino ad arrivare alla ex base NATO nel 2015 grazie a degli accordi con la struttura militare a Bagnoli. Da quando abbiamo avuto un campo nostro, una nostra club house e gli spogliatoi, abbiamo avuto un exploit gigantesco sia come iscritti, ma anche come risultati. Nel 2015 siamo passati dalla serie C alla serie B, poi questo è il terzo anno che siamo in serie A. Avere una propria struttura fa davvero la differenza, anche a livello di risultati.

Quanti tesserati potete contare?

Arriviamo a 700, considera che le under cominciano dall’under 5, poi abbiamo gli Old, il touch rugby maschile e femminile. Abbiamo anche le under 16 e 18 femminili che adesso hanno costruito una società che è una costola della Amatori insieme ad altre squadre femminili.

Com’è visto il rugby a Napoli e quanto è difficile emergere in una cittá che vive principalmente di calcio?

Il rugby è conosciuto, prima se parlavi del nostro sport ti chiedevano se fosse quello con i caschi (del football americano), ma piano piano sta cominciando a farsi strada. Dove operiamo noi, nell’ambito Flegreo, lavoriamo tantissimo con le scuole e ci conoscono abbastanza non solo come sport, ma anche come club. Sicuramente in una città calciofila come Napoli non è facile e conta che in tutta la città ci sono solo 2 club, questo ti fa capire quanta strada ci sia ancora da fare.

Mi parlavi del lavoro con le scuole, come sta andando?

L’Amatori ha sempre cercato di lavorare con le scuole per ampliare il suo bacino, soprattutto nell’area Flegrea che comprende Fuorigrotta, Bagnoli, Pozzuoli e tutto il circondario. Cerchiamo di portare il rugby nelle ore di educazione fisica, ma anche sul campo. Organizziamo questi eventi ogni mese e portiamo i bambini a giocare, poi sta a noi essere bravi a farli divertire e portarli nel club.

Le partite al weekend sono seguite?

Si la domenica si crea movimento, diciamo che nel nostro primo anno di serie A c’era il pienone assoluto, spalti gremiti, tantissima gente, ed era difficile giocarci. C’erano tanti tesserati ma non solo, si era sparsa la voce. Bagnoli è un quartiere operaio che è cresciuto come se fosse un paese a parte, poi i risultati erano favorevoli, diciamoci la verità… vincevamo un sacco di partite quindi la gente veniva (ride ndr). Gli ultimi due anni, con dei risultati che sono stati un pochino più altalenanti abbiamo visto un calo, però comunque c’è sempre gente a vederci. Abbiamo le nostre ultras che sono le nostre mamme, ci seguono fin da quando siamo piccoli anche in giro per l’Italia, sono conosciute da più o meno tutto il girone Sud della serie A, vengono e si fanno il loro banchetto. Abbiamo questo zoccolo duro e poi le persone del club che frequentano la zona e vengono sempre a vederci.

Oltre alle scuole e ai camp estivi, come state cercando di portare il rugby in cittá?

Abbiamo la fortuna di avere uno sponsor GLS che sta facendo un gran lavoro con tutte le realtà sportive non calciofile di Napoli. In generale poi avendo una struttura molto bella, cerchiamo di sfruttarla per fare degli eventi. Una vera e propria campagna per incentivare il rugby non c’è, tramite gli sponsor siamo riusciti a fare degli eventi per il sociale, ma da parte del Comune e delle istituzioni non c’è un grosso aiuto.

Fate attivitá con i club piú piccoli della Campania?

Questo è il secondo anno che facciamo i camp estivi, ma lo facciamo noi da privati. Li organizziamo noi appoggiandoci alla struttura. Per quanto riguarda la collaborazione con le altre squadre, rimane tutto nell’ambito che io parlo con l’altro allenatore e ci mettiamo d’accordo per fare allenamenti insieme. Lo abbiamo fatto con la Partenope e il Salerno, sono dei percorsi di condivisione quindi andiamo noi a fare allenamento da loro e viceversa.

Parliamo della prima squadra, della serie A, quanti giocatori avete in rosa e quali sono i punti di forza?

Siamo una quarantina, per i punti di forza questa è una brutta domanda… siamo di parte perché qui stai parlando con gli avanti, quindi non potremo mai dire che il punto di forza sono i trequarti, già ti ho dato la risposta (ride ndr). Diciamo che quest’anno si è vista una mischia donimante, abbiamo puntato molto su quello.

Come sono gestiti gli allenamenti nella settimana?

Quest’anno eravamo corti nei ruoli chiave e un po’ spaventati per gli infortuni, quindi contatto si è fatto relativamente poco, poi un misto tra fitness e tattica. Si iniziava spesso con tecnica individuale, quindi il giorno della difesa si lavorava sul placcaggio o sulla salita difensiva. Il giorno dell’attacco si lavorava sulle skills individuali di elusività oppure sulla tecnica di passaggio. Poi si passava a una parte tecnico – fisica per finire tutti inseme a fare collettivo. L’anno scorso ci allenavamo 4 volte a settimana, da quest’anno dovremmo ridurre a 3. Poi se qualcuno vuole venire a giocare con noi ed è ancora agli inizi può partire dalla nostra squadra cadetta che gioca in serie C.

E per quanto riguarda la squadra femminile?

Abbiamo la nostra seniores che gioca in serie A, poi essendo a corto di numeri l’anno scorso c’era una forma di tutoraggio con la squadra di Torre del Greco. Quest’anno si è creata una società ex novo che si è allargata sul territorio campano.

Parliamo del campionato, quest’anno siete arrivati al nono posto con la Lazio come capo girone, secondo voi cosa manca all’Amatori Napoli per fare il salto di qualità e ambire alla zona playoff?

Dobbiamo far crescere la struttura a livello organizzativo, perché siamo una società giovane che in poco tempo è riuscita a fare tanto. Bisogna migliorare quello che è l’aspetto gerarchico societario, il lavoro sulle giovanili sta andando molto bene e questo è fondamentale per avere profondità negli anni. È un campionato strano, ci sono società che investono molto all’inizio della stagione e poi a metà anno, che hanno conquistato la salvezza, tirano un po i remi in barca. Noi stiamo cercando di evitare questo, ma di creare un ciclo continuo sfruttando al massimo le potenzialità campane e napoletane. Altrimenti prendiamo gli stranieri che dopo uno o due anni vanno via. L’obbiettivo principale della società è quello di creare giovani talentuosi tra le nostre fila.

Ci sono vari esempi di squadre che hanno investito molto per arrivare in alto velocemente prendendo giocatori stranieri e poi, finiti i finanziamenti, sono dovute ripartire da campionati minori…

Si ne conosciamo, poi fa pensare che il nostro migliore anno di serie A, lo abbiamo fatto con una squadra composta solo di ragazzi di Napoli. Tutti ragazzi che avevano fatto il loro percorso delle giovanili e poi sono arrivati in prima squadra.

Quali altri squadre ci sono a Napoli e come si inserisce la Amatori nel contesto del rugby napoletano?

A Napoli ci siamo noi e la Partenope. Il problema è che come ogni storia di gente troppo innamorata, dovremmo andare a scavare questioni nel passato. Noi siamo figli di alcune storie di cui non conosciamo nemmeno gli attori e questo si riporta ai giorni nostri. C’è un grande lavoro che si sta facendo soprattutto con le giovanili per cercare di fare integrazione, ma in realtà io sono sempre del parere che siamo pochi quelli che giocano a rugby. Creare l’unione sarebbe la cosa più importante per dare l’opportunità a tutti di giocare nell’alto livello. Il problema in Campania è che siamo a discussioni del tipo “eh ma tu 15 anni fa non mi hai salutato“. Questo diventa problematico per la crescita del Sud Italia. A Roma sappiamo che le squadre collaborano tra di loro e più vai su più è così. Noi rimaniamo ancorati a questa situazione che non posso definire culturale, ma legata a vecchi rancori creati da persone che neanche ci sono più, è una follia. Le ragazze sono il buon esempio perché si sono unite e insieme portano in giro per l’Italia il rugby campano. Noi abbiamo la fortuna di avere la squadra in serie A, ma ci sono realtà come il Benevento che poi è venuto a mancare perché i ragazzi sono andati via dal club, alcuni hanno accettato contratti per pochi spiccioli e in questo modo non si crea continuità. Noi negli anni abbiamo lavorato con il club di Afragola e da questa unione ne abbiamo tratto tutti vantaggio, perché poi con i ragazzi di Afragola ci siamo giocati i campionati nazionali congiungendo club, staff e strutture. Poi molti ragazzi dell’Afragola sono venuti a giocare nella Amatori o in prima squadra o andando a formare quella che oggi è la seconda squadra. Questo perché c’era la voglia di fare qualcosa insieme e ci si è trovati bene. Bisogna riconoscere l’importanza delle squadre cadette, perché ci siamo trovati con giocatori che se non avessero avuto l’opportunità di giocare con la cadetta, oggi non li conoscevamo nemmeno. La cosa importante di queste unioni è che non diventino una cosa tipo “Tu mi dai questi giocatori e io faccio una squadra forte”, è un progetto che deve partire dalle giovanili. Quest’anno grazie a varie collaborazioni siamo riusciti a portare una squadra mista con dei ragazzi di Benevento.

Quindi a livello di giovanili, una collaborazione con la Partenope sta partendo?

Ci alleniamo spesso insieme, anche per una questione di vicinanza. Succede con la under 14 e 16, poi questo può essere il preambolo per fare qualcosa di diverso anche tra i più grandi.

Ero dubbioso sul farvi la domanda della possibile franchgia Amatori – Partenope, ho chiesto a un nostro follower da Salerno cosa ne pensasse di questa domanda e mi ha risposto “tu si pazz`

(ridono ndr) No ma le persone che hanno creato le faide davvero non ci sono più, noi con i ragazzi della Partenope ci vediamo la sera. Poi è una questione culturale perché, tornando al calcio, Salerno festeggia quando il Napoli non vince lo scudetto, questo ti fa capire il livello delle faide inutili che ci sono nello sport.

Siete il club piú forte della Campania, quando giocate con le altre square del vostro girone, vi sentite un po’ i rappresentanti di Napoli e della regione?

Si di Napoli si, della regione un pochino di meno. Poi ti devo dire che quando giochi fuori regione, anche gli avversari non si dimenticano di fartelo notare.

In che senso?

Spesso ti viene fatto notare che stai rappresentando Napoli, in maniera simpatica o meno, dipende dalle persone che incontri.

Pensavo che queste cose fossero piú legate al calcio…

Non succede con i giocatori, ma molte volte ci è capitato di giocare con un pubblico ostile. Si adeguano a quello che può essere un pubblico calcistico, ad esempio quando il nostro piazzatore sbaglia senti cose come “eccolo è arrivato Maradona”, poi qualcuno che ti offende su altre cose, ma relativamente, perché è sempre un orgoglio avere un prodotto tipico campano, senti “vengono qui a fare le mozzarelle“. Sono cose antipatiche, ma fortunatamente in campo è capitato poche volte. È il pubblico da fuori che si lascia prendere, il bello del nostro sport è che puoi sfogare la rabbia in campo, il pubblico da fuori non lo può fare quindi si sfoga così.

Ci sono derby contro altre squadre nel vostro campionato?

Si forse si, alcune partite sono più sentite… quest’anno tutte (ride ndr). Trasferte ostili ne abbiamo avute e come ogni anno ci scontriamo con le abruzzesi nel modo migliore, le romane c’è chi più accomodante e meno accomodante. In Toscana c’è Prato che è notoriamente ostile, Pesaro all’ultima di campionato sembrava stessero facendo la finale di coppa del mondo. Diciamo che quest’anno ci hanno fatto sudare tutti quanti, nessuno si è tirato indietro. Livorno perché sono una città di mare come noi, Abruzzo perché “siamo noi il rugby d’Italia” ecc.

Per quanto riguarda i progetti per il futuro? Quali sono i piani per i prossimi anni?

L’obbiettivo è quello di rimanere stabili in serie A e fare un campionato di livello per far crescere le nuove generazioni in un ambiente competitivo. Bisogna investire nei ragazzi, creando un club che punti sulla sostenibilità dando opportunità di lavoro e opportunità di studio. Per il lungo termine è sempre il campo che parla, poi se la squadra va bene, c’è profondità, si allineano gli astri e hai anche una discreta dose di culo, ti ritrovi a fare i playoff. Sicuramente può capitare una buona stagione che può farti ritrovare a giocarti i playoff e salire, ma quello che penso è che non deve essere un caso, deve essere un processo. Devi arrivare all’alto livello sapendo che ci puoi rimanere, altrimenti succede come con il Cus Torino, sale in Top 10, 40 punti a partita e retrocede. Adesso sale il Vicenza e credo veramente che sarà la stessa cosa.

Passiamo al tema del rugby al Sud, quello che leggiamo spesso sui social è che il rugby Italiano esiste solo da Roma in su, quindi che il meridione sia abbandonato. Come vi fa sentire questa cosa?

È brutto da dire, però bisogna anche guardare in faccia la realtà. Parlando non delle prime squadre, ma parlando del mini rugby o delle giovanili, sarà perché partiamo da una situazione più precaria al Sud con il rugby, ma post pandemia sono morte tantissime società. Se nella seniores riesci a nasconderla come cosa, perché comunque abbiamo la Partenope e il Benevento che stanno tra C e B, nelle giovanili ti accorgi proprio che c’è poca roba purtroppo. Le squadre sono 3 o 4 e qualcuna non riesce nemmeno a mettere in campo 15 giocatori. È un un po’ avvilente e da questa situazione piano piano ne stiamo uscendo. Anche noi, ora abbiamo 700 tesserati, ma negli anni abbiamo avuto i nostri problemi a far scendere in campo squadre complete nelle giovanili. Nelle società più piccole il problema è ancora più grande. Ci sono grosse responsabilità che vanno oltre alla FIR, un progetto di sviluppo reale per il Sud Italia non è mai stato realizzato. Per le società che si sono create dobbiamo sempre ringraziare gli investitori locali che ci hanno creduto, speso ex giocatori, che non hanno mai accettato questa realtà. Io rimango sempre sorpreso quando leggo che la trasferta più lunga del girone Nord – Ovest è a 150 km da casa, io mi imbarazzo, perché per noi la trasferta più vicina è a 250km. Finché non si crea qualcosa di importante a livello federale, un progetto reale che possa aiutare le isole, il sud Italia, lo sviluppo in Calabria e in Puglia, mi dispiace dirlo ma ci sarà sempre un rugby del nord Italia e un rugby del Sud Italia, nonostante il Sud abbia sempre fornito giocatori di un certo spessore alla nazionale. Se abbiamo un bacino di 100 mila e persone e il 30/40 % lo escludiamo a priori, stiamo sbagliando.

Fino ad adesso il progetto Sud cosa ha portato di concreto a Napoli e in Campania?

Nel momento in cui si fa un progetto del genere bisogna investire tanto nel rugby giovanile, noi abbiamo visto forse 2 volte venire un tecnico federale che non sia quello della Campania. Cavinato è venuto due volte,questo è stato quello che abbiamo visto di progetto Sud.

Quindi oltre ai 2 allenamenti con Cavinato, non ci sono stati altri progetti o iniziative che vi abbiano permesso di sviluppare il rugby nel territorio?

Almeno per quanto riguarda l’Amatori Napoli, non abbiamo visto altro. Poi magari ci sono altre realtà che ne hanno più bisogno, noi forse siamo più “fortunati” di altri che non hanno i nostri mezzi. Le iniziative in Campania sono state portate avanti dai singoli, magari con il patrocinio della regione Campania.

Quindi il comitato federale campano è attivo da questo punto di vista?

Si il nuovo presidente Calicchio è una persona molto presente, lo si vede sempre ed è una persona molto interessata. Ha buone idee e proposte, è una persona positiva.

Secondo voi cosa si puó fare di piú per il progetto Sud? Per sviluppare il rugby a Napoli e in Campania?

Per attirare persone sul campo da rugby tutto parte dalla struttura, la nostra storia ce lo insegna. Se tu riesci a far sentire le persone parte di una storia, parte di un qualcosa all’interno di una struttura dove poter fare il dopo scuola al ragazzino o la festa la sera, crei movimento, crei passione e vedi che le persone cominciano a venire. So che è difficile perché’servono gli investimenti, ma è fondamentale per lo sviluppo di un club.
L’Afragola rugby, che sono i nostri fratelli, hanno avuto il campo che è stato rifatto in erba sintetica in occasione delle universiadi, poi il comune ha bloccato i lavori e ora il calcio ci vuole entrare, quindi non hanno più la struttura. Si deve anche ripartire con il progetto scuole ed essere realmente presenti perché noi siamo stati esclusi da diverse realtà. La propaganda si fa nelle scuole, facendo divertire i bambini regalando i palloni da rugby, perché se vai nelle case dei napoletani il pallone da calcio c’è sempre. Bisogna spostare la franchigia da Parma a Roma, chiaramente questa non è la soluzione, ma sarebbe un beneficio non solo per il movimento e le squadre di Roma, ma anche per tutte le squadre del Sud. Una franchigia a Roma, con la sua accademia, potrebbe dare un grande aiuto per i ragazzi dei club del Sud. Poi portare più eventi della nazionale nel Sud Italia, quest’estate giocano a San Benedetto del Tronto, ma perché non vengono anche a Napoli?

Secondo voi se la nazionale venisse a giocare al “Maradona”, farebbe sold out?

Lo farebbe facile.

Parlando con Alessandro Fusco, ci ha detto come l’accademia sia stato l’unico modo per poter essere notato e salire di categoria, ad oggi qual è il percorso di un giovane talento napoletano e campano per poter salire di livello?

Al momento siamo noi l’unico sbocco per un livello minimamente migliore, poi per farsi notare si va al centro di formazione permanente a Roma, magari vieni convocato per le selezioni nazionali e da li ti fai notare, vai nelle squadre piú in alto. Un esempio è Paolo Cisonni che ha fatto questo percorso, facendo due anni a Roma e adesso è tallonatore titolare a 19. Quindi il percorso è quello di arrivare presto in prima squadra in modo da avere visibilitá in piú.

Secondo voi in questo senso le accademie erano un trampolino di lancio importante?

Sicuramente. O sei un ragazzo forte e per una serie di circostanze vieni notato e una squadra ti chiama, oppure devi essere tu a 19 anni che devi chiamare la società di turno e chiedere di poter fare una settimana di allenamenti.

Ringraziamo L’Amatori Napoli per la disponibilità e per le foto presenti nell’intervista.

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