Grenoble, Napoli, Madagascar, Tolosa, Italia: chiacchierata su passato, futuro, rugby e calcio con l’estremo della Nazionale.
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Cardiff 1973-2022
“That try“: così viene chiamata la meta che i Barbarians a trazione gallese, guidati dalla leggenda dei Dragoni, Sir Gareth Edwards, segnarono agli All Blacks a Cardiff, nel 1973. Il commentatore, Cliff Morgan, divenne leggendario a suon di “Brilliant, that’s brilliant” fino all’apice dell’azione, quando la franchigia in bianco e nero risale tutto il campo e porta Edwards a schiacciare in meta: “A dramatic start! What a score! Oh, that fellow Edwards! What can touch a man like that!”
Cardiff 2022, il Galles conduce 21 a 15 sull’Italia. Al minuto 78 e 16 secondi Ange Capouozzo riceve un passaggio da Edo Padovani dopo un disimpegno della difesa gallese che rimanda l’Italia dietro le linea dei 10 nella propria metà campo. Ange, estremo, è esattamente al centro, punta la spia ed elude la salita di tre giocatori in rosso, scarta a destra, quattro, cinque, rompe il placcaggio di Josh Adams, ne brucia in velocità altri due. 78:22: è oltre la linea e ne ha tagliati fuori otto. Doppio passo, salta il nono. Corre lungo la linea laterale, sente il rimorchio di Padovani a sinistra, gliela passa, meta sotto i pali. Garbisi realizza. Galles 21 – Italia 22. “Oh, that fellow Capuozzo!”

Grenoble-Napoli-Tolosa: tu lo conosci Ange?
Ciao Ange. Prima domanda, non rugbistica: contento dello scudetto al Napoli? Abbiamo visto che per la festa di squadra del Top 14 indossavi la maglia azzurra.
Sì, molto! Questo è stato un anno fantastico per me, sia come giocatore, sia come tifoso. Quando il Napoli ha vinto ufficialmente il campionato giocava in trasferta, la partita prima in casa aveva pareggiato, e abbiamo organizzato una piccola festa a casa mia con i miei cugini!
Andiamo allora all’Ange giocatore di rugby. Prima stagione in Top 14 dopo l’esordio 4 anni fa con Grenoble. È davvero un campionato così duro?
È un campionato durissimo, non è una leggenda. Per me è cambiato molto, perché in PRO D2 si giocano 4-5 partite di fila e poi un weekend di recupero. La più grande differenza con il Top 14 è che giochiamo tutte le settimane senza pause e questo cambio di ritmo per me è stato importante, e penso che lo sia per tutti i giocatori che esordiscono in Top 14. Devi abituarti ad allenarti sempre con un ritmo molto elevato per prepararti alle partite, che hanno un ritmo ancora più elevato. Alla fine dell’anno la differenza la senti. D’altra parte, penso che per me questa prima stagione sia stata una preparazione alle prossime che giocherò. Ho avuto una prima parte di stagione molto bella per me, ho giocato con lo Stade e ho giocato con l’Italia, e con entrambi abbiamo avuto dei risultati positivi (abbiamo parlato dell’impatto devastante di Ange durante i test match autunnali in questo articolo). La seconda parte della stagione (dopo l’infortunio, ndr) è stata un po’ più difficile. Ma fa parte dell’avventura! Non voglio essere troppo precipitoso, è chiaro che un infortunio è una cosa negativa, ma mi ha dato del tempo per lavorare sul mio fisico e questo è un allenamento molto, molto importante. Mi sono convinto che sia la direzione giusta da percorrere e quindi, a conti fatti, sono molto contento di questa prima stagione in Top 14.

Quindi riguardo a quello che hai appena detto di lavorare sul tuo corpo: la tua struttura fisica è più asciutta rispetto al cosiddetto “standard internazionale” di molti giocatori. Senza snaturare il tuo tipo di gioco intendi rinforzarti o migliorare determinati aspetti?
Si, abbiamo tutti un legame molto importante tra la testa e il resto del corpo. L’esperienza di vita con il proprio corpo e la propria testa ci determina e tutti dovremmo accettare le nostre reali capacità, sia a livello fisico che a livello mentale. Se partiamo da questa base, in un processo di sviluppo, allora secondo me ci mettiamo nelle migliori condizioni per migliorare. Ho la determinazione per accettare le mie caratteristiche fisiche e farle diventare un punto di forza, non un aspetto limitante, nel mio gioco.
Hai cominciato a giocare a rugby a Pont-de-Claix da bambino prima di passare al Grenoble. Come sono stati i tuoi primi anni di rugby? Ho letto che hai iniziato come mediano di mischia.
Quando ho cominciato a giocare non avevo una posizione specifica, ma da subito mi è piaciuto correre palla in mano. Mi è piaciuto anche placcare, ma la fase di gioco che ancora adesso preferisco è portare la palla e coinvolgere gli altri nel gioco. Quando sono arrivato in squadra ho incontrato molti amici, molto supporto e rispetto reciproco: un po’ come una seconda scuola, con la differenza che nel rugby ho potuto esprimere la mia personalità sul campo. Questo, potermi esprimere giocando, è quello che mi fa dire di essere ancora innamorato del rugby.

Esperienza formativa: tre stagioni in ProD2
Nel 2019 esordisci con la prima squadra di Grenoble e poi giochi tre stagioni in ProD2. Secondo te è un campionato che può essere formativo per dei giovani giocatori italiani nel loro percorso verso il professionismo?
Il ProD2 è il campionato ideale per un giovane, perché è una competizione molto più dura di quanto si possa immaginare! Per varie ragioni. Primo, è un campionato molto molto fisico, in particolare per gli avanti, anche perché l’età media è più alta rispetto al Top 14 e quindi puoi trovarti ad affrontare dei piloni con molta più esperienza di te. Magari non sono nell’apice della forma come quando avevano 26 anni…
…però per 20 minuti ti fa stare male…
…esatto, è verissimo! Questo aspetto rende il ProD2 un’ottima scuola per i giovani. Il campionato ti abitua a giocare in situazioni molto diverse tra loro: a Grenoble giocavamo su un campo molto bello, ma ti può capitare di giocare in mezzo al fango, nella neve o sotto la pioggia su altri campi. Tutte queste situazioni diverse ti portano a fare esperienza e le squadre hanno delle differenze tra loro che rendono il campionato sfidante sotto diversi punti di vista. L’altro punto importante è che dal primo al decimo posto in classifica, tutte le squadre sono in grado di vincere il campionato. Il livello è molto omogeneo, e secondo me se un giocatore italiano ha la possibilità di fare qualche anno in ProD2 può vivere un’esperienza stimolante. Inoltre, se prendiamo le 16 squadre che ci sono adesso e aggiungiamo le due o tre squadre più forti della divisione inferiore (la Fédérale 1), che ogni anno possono salire, abbiamo potenzialmente un bacino di una ventina di squadre competitive. Tutte più o meno allo stesso livello, ed è un aspetto molto interessante per un percorso di sviluppo dei giocatori.

Quindi è più difficile arrivare interi a fine stagione in ProD2 o prendersi una maglia da titolare a Tolosa?
(ride) Bhé, è più difficile la maglia di Tolosa secondo me!
Ultima domanda su Grenoble: Fabien Gengenbacher, attuale allenatore del Grenoble, diventerà allenatore del Lione la prossima stagione. Come vedi il club l’anno prossimo?
Sono molto contento per Fabien, è un allenatore giovane dato che è solo da due anni che ricopre questo ruolo ed è solo all’inizio di percorso di crescita. Per quanto riguarda la squadra, Grenoble è un club storico, che in passato è stato per tanti anni al top del rugby francese e che da sempre produce molti giovani di livello con il centro di formazione. Questo è molto interessante perché se torniamo al discorso dei giovani italiani, il club in ProD2 investe, dà fiducia e fa affidamento sui giocatori che escono dai centri di formazione. Grenoble è una città molto interessata al rugby, ha molto pubblico e sono sicuro che l’anno prossimo potrà tornare in Top 14.
Alla fine della tua ultima stagione a Grenoble giochi talmente bene da vincere il premio Breakthrough player of the Year. Dietro di te Henry Arundell, Mack Hansen, e Dan Sheehan. Cos’ha significato per te?
Un’esperienza magnifica, non tanto vincere il titolo in sé, ma essere lì con dei giocatori del genere pensando che fino a sei/sette mesi prima ero solo un giocatore di ProD2. Essere a Monaco in mezzo a delle leggende del rugby è stato un momento per me importantissimo come uomo, non solo come giocatore, perché per la prima volta nel mio lavoro ho avuto la possibilità di incontrare delle persone, che oggi magari non giocano più, che hanno fatto del nostro sport uno sport magnifico. Mi viene in mente Bryan Habana, ma ce n’erano davvero troppi! E’ stata davvero una bella serata non solo per me, ma penso per tutto il rugby italiano e sono stato molto fiero di avere la possibilità di rappresentare l’Italia in un’occasione così importante per il rugby mondiale. C’era la delegazione italiana come me, il presidente Marzio (Innocenti), Giamba Venditti, Edo Padovani per la meta contro il Galles, ed è una possibilità che nei prossimi anni potrebbe non ricapitare, anche se ci spero, quindi sono davvero molto fiero di questa occasione.

Il cervello in fuga: benvenuto nella Ville Rose
Arriviamo a Tolosa, una piazza importantissima per un giocatore di rugby: com’è andata?
All’inizio, quando ci siamo trasferiti con la mia fidanzata a Tolosa tutti i giocatori e lo staff hanno fatto il massimo per farci sentire a nostro agio. E’ stato molto importante per me perché era la prima volta che me ne andavo di casa da Grenoble e che uscivo dalla mia comfort zone, diciamo, quindi ho apprezzato davvero molto di ricevere questo tipo di accoglienza. Sono molto contento di come ho cominciato la stagione e Tolosa è speciale non solo per il suo club di rugby: è vero che abbiamo un po’ più di pressione quando abbiamo questa maglia sulle spalle, ma non solo quando giochiamo. Lo Stade Toulousain come club è l’attività più importante della città e anche della regione e quindi, anche quando vado, per esempio, a fare shopping, le persone mi fermano e ci mettiamo a parlare di rugby. Se vinciamo allora hanno sempre una buona parola, ma se perdiamo ci dicono: “Ragazzi, dovete giocare meglio…” (sorride). Ogni giorno hai un pochino di pressione in più, ma penso che come sportivi è questo che vogliamo: vogliamo sentirla, perché senza questa pressione, questo senso di competizione, non riesci a fare rugby a questo livello. Ne abbiamo bisogno un po’ di più ogni giorno, un po’ di cuore in più per fare la differenza.
Allo Stade quali dei tuoi compagni di squadra ti hanno impressionato di più? Un avanti e un trequarti.
Mi hanno impressionato molti giocatori in verità, ma posso dirti per gli avanti Julien Marchand, il tallonatore, e per i trequarti ovviamente Antoine (Dupont): lui, non scherzo, è davvero il più forte della squadra, anche in allenamento.
Invece come avversari che hai affrontato in Top 14?
Posso dirti Jonathan Danty, il centro di La Rochelle (abbiamo parlato della grande sfida tra i due Stade qui, prima dei Barrage, e qui, prima della finale): sono entrato dieci minuti nella partita in casa contro di loro e lui è davvero molto forte. Anche Damian Penaud di Clermont (dalla prossima stagione all’Union Bordeaux-Bègles): ho giocato titolare contro di lui in casa e lui era stato schierato centro, non come al solito all’ala. E’ molto forte, molto veloce e molto aggressivo i ogni fase di gioco. Invece un avanti, posso dire…posso dire…chi posso dire? Chi posso dire…
…per gli avanti puoi sempre dire che sei talmente veloce che gli avanti non ti prendono…
(ride) Si si, è vero, è vero anche questo!

L’italiano di Francia, o il francese d’Italia?
Passiamo all’Italia: tu sei nato a Grenoble, e la città ha ospitato la famosa partita, nel 1997, in cui l’Italia ha battuto la Francia ed è stata ammessa nel Sei Nazioni. Com’è la comunità italiana a Grenoble?
Ti faccio un esempio che ti dà una bella immagine su questo tema: ti parlo del 2006, quando l’Italia è diventata campione del mondo di calcio contro la Francia. Già quando ero piccolo tifavo l’Italia, perché uno dei miei giocatori preferiti era Francesco Totti, e quando abbiamo vinto mi ricordo che con mio papà siamo andati in macchina nel quartiere italiano di Grenoble, che si chiama Quai Saint-Laurent, e tutte le persone di origine italiana sono uscite per strada con le bandiere e abbiamo fatto una festa incredibile. Col fatto che siamo in Francia e la finale era Francia-Italia! Questo per dire quanto è grande e importante la comunità italiana per Grenoble.
Quindi quando c’è stato da scegliere tra Italia e Francia a livello di nazionali di rugby, cosa ti ha fatto scegliere l’Italia?
Devo dire la verità, non ho dovuto fare una scelta, perché la Francia non mi ha chiamato quando, a partire dai 16 anni, avrei avuto la possibilità di entrare nelle prime selezioni nazionali. Quando a 19 anni ho avuto la possibilità di rappresentare l’Italia non ho esitato un secondo, perché la cultura italiana è molto presente nel mio bagaglio. Per questo non è stata una scelta tra la Francia e l’Italia: io sono anche francese, sono nato in Francia, parlo francese, ho fatto le scuole in Francia, ma il mio cuore e la mia famiglia sono in Italia anche adesso, ho degli amici, quindi è stato naturale per me accettare la possibilità di rappresentarla in Nazionale. Sono una persona con due nazionalità. Aggiungo solo un’altra parola su questo tema: il papà di mia mamma, mio nonno, è nato ed è al 100% malgascio. Dico questo perché nella mia famiglia ho anche questo tipo di educazione e diversità che mi piace molto, fa parte della mia storia, ed è importante per me ricordarmi sempre che ho queste origini, che la mia famiglia adesso vive in Italia e che sono nato in Francia: questa è la mia forza.

Il rugby francese ha un suo tipo di gioco molto libero: per la tua esperienza nelle nazionali italiane come si sta lavorando sulle skills per sviluppare il gioco?
Nel 2020 (al momento della convocazione in U20) ho visto subito che il livello tecnico della squadra era molto alto e la prima cosa che ho detto, quando sono tornato a Grenoble, è che tutti i miei compagni di squadra in U20 sarebbero stati titolari in tutte le squadre Espoirs di Top 14 e ProD2. Quando ho fatto il primo raduno con i compagni della mia generazione mi sono subito detto che il livello era davvero molto alto, sia fisicamente, sia tecnicamente. E’ importante dire questo perché ho l’impressione che in Italia abbiamo un po’ un complesso, ma non dovremmo averlo. Questa barriera mentale bisognerebbe eliminarla per avere più fiducia ed essere consapevoli che abbiamo le armi per essere molto più performanti.
Mettendo a confronto il gioco di Tolosa e il gioco praticato dall’Italia tu vedi più similitudini o differenze?
Le cosa simile, e secondo me la più importante, è che vogliamo tutti giocare a rugby. Giocare, nel vero senso della parola. Non facciamo un lavoro, non voglio chiamarlo lavoro, è un gioco e questo è importantissimo. A Tolosa vogliamo praticare un gioco arioso e che coinvolga tutti, ma anche in Italia la Nazionale, da un anno e più, ha un progetto di gioco per il quale non dobbiamo avere paura di giocare. Ovviamente dobbiamo rispettare l’avversario e un piano di gioco, quindi non possiamo fare sempre come vogliamo, ma l’attitudine di base deve essere quella di non aver paura di giocare a rugby.
Prima di parlare del Mondiale, una curiosità: contro il Galles, quando hai preso palla, hai alzato la testa e poi cos’è successo?
Ma non lo so (ride), non lo so neanch’io! Era un momento della partita in cui ero davvero molto stanco. Mi ricordo che dieci o quindici minuti prima avevo avuto la sensazione di essere morto e sono arrivato a pochissimo dal dire al mio allenatore: “Io non ne ho più, ho le gambe che non vanno più, se puoi mettere un giocatore più fresco, vai!” Ho aspettato un momento e mi sono detto: “Non puoi dire una cosa del genere, la prima volta che sei titolare, giochi in uno stadio mitico, non puoi uscire così. Tieni duro, fai gli ultimi 10 minuti!” E in quel momento, al 78esimo, non avevo la lucidità di pensare a qualcosa. Mi sono solo detto: “Dobbiamo fare una meta, solo questo, quindi vai, tu puoi avanzare solo 10 metri, va bene, 15 metri, va bene, 2 metri, va bene, ma dobbiamo fare meta, è obbligatorio”. Quindi il mio obiettivo principale in quel momento era solo di guadagnare qualche metro, e….
…e poi ne hai fatti 60, fortuna che non avevi più le gambe…
(L’intervistato sghignazza e non aggiunge altro)
Mondiali, ritiri pre-mondiali e sogni post-mondiali
Il prossimo Mondiale di rugby si gioca in Francia: come vedi il girone dell’Italia e quale sarà secondo te la partita più difficile?
E’ un gruppo molto difficile, molto molto difficile. Innanzitutto perché siamo in girone con la Francia e questo è il mondiale della Francia: hanno una squadra molto forte, fortissima, in tutti i ruoli. Essere in girone con loro non è una passeggiata di salute. Dopo c’è la Nuova Zelanda che è una squadra che a ogni Mondiale dice la sua. Si potrebbe pensare che ci sono delle possibilità, dato che non vengono da uno dei loro periodi migliori e hanno avuto un po’ di difficoltà, ma la Nuova Zelanda in realtà è sempre presente. E in questo momento preciso, al mondiale, è sempre una grande, forse la più grande squadra di rugby al mondo. Poi metto l’Italia, perché questa volta noi siamo la squadra che può fare un magnifico risultato contro ogni squadra. E’ un gruppo davvero difficile, e la partita più difficile secondo me sarà contro la Francia. Perché? Per la Francia battere la Namibia e l’Uruguay è un obbligo. La Nuova Zelanda è una partita difficile, ma se la Francia vuole essere certa di passare il girone deve battere noi e noi siamo l’avversario più pericoloso per la Francia. Aggiungo una cosa: nell’ultimo 6 Nazioni abbiamo avuto una palla nei loro 22 che ci avrebbe fatto vincere la partita contro la Francia allo scadere: dobbiamo credere nei nostri mezzi, anche se sarà la partita più difficile del Mondiale.
Ci riferiscono che in molte Instagram Stories dei tuoi compagni in Nazionale vai in giro con una valigetta che sembra essere una Playstation portatile e sembra essere l’invidia di tutti. Quindi dicci che cos’è quella valigia.
E’ vero, è una Playstation portatile! Abbiamo uno schermo in ritiro e abbiamo un po’ di spazio per attaccarci la Playstation. Ci possiamo giocare tutti insieme anche in treno ed è un modo di passare del tempo insieme a giocare, fare un torneo di calcio, per esempio.
E chi è il più forte a calcio?
Il più forte…non mi ricordo…Pierre Bruno! Molto forte. Tommy Allan anche. Al prossimo raduno metto qualche storia su Instagram delle prossime partite.
Ultima domanda: qual è il tuo sogno come giocatore di rugby e invece un sogno che hai al di fuori del rugby.
Come giocatore di rugby ho già realizzato molti dei miei sogni, ma voglio essere campione di Europa con Tolosa. Adesso abbiamo vinto il Bouclier de Brennus ed è una sensazione magnifica quella di vincere un trofeo e voglio davvero conquistare questo risultato. Un sogno come uomo, non saprei: vorrei provare delle emozioni come le provo nel rugby. Spero un giorno di poter sentire lo stesso tipo di adrenalina che sento con questo sport e se ce la farò, penso che avrò raggiunto il mio obiettivo nella vita.
Ringraziamo Ange Capuozzo e Lorène Guillot, Responsabile della Comunicazione e PR dello Stade Toulousain, per aver reso possibile questa intervista.
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