François Carlo Mey è un utility back della nazionale italiana u20 e del Clermont, squadra francese che milita nel massimo campionato di Top14. In questa intervista a cura di Marco Serraiotto, Ewan Sirtori e Luca Riva, andiamo a scoprire come si sta vivendo la sua esperienza in uno dei club più importanti d’Europa e quali differenze vede tra il sistema di formazione italiano e quello francese.
François parlaci delle tue origini: qual è stato il tuo primo club e come ti sei avvicinato al rugby?
“I miei genitori sono sudafricani, sono cresciuti a Bloemfontein, poi mio padre è venuto in Italia a giocare a rugby e io ho cominciato a 4 anni, giocavo con quelli che avevano 6 anni e mi divertivo quindi poi ho continuato. Il mio primo club è stato Noceto, mio papà era giocatore e allenatore lì, poi ci siamo spostati agli amatori Parma.”
Quindi la passione per il rugby è arrivata grazie a tuo papà?
“Si ma anche da parte di mamma, mio nonno materno è arbitro di rugby. Mia mamma con i suoi cugini giocava a rugby in giardino. Ho giocato anche a tennis, ma poi ho dovuto scegliere e ho continuato con il rugby. Sono stato a Noceto per 3 anni, poi la maggior parte delle giovanili agli Amatori Parma, poi un anno che non avevamo i numeri ci siamo uniti al Gran Rugby Parma in u16 e siamo andati a vincere il campionato. L’anno dopo pensavo di tornare con gli Amatori, ma con la mia famiglia ci siamo spostati a Colorno.”
David Odiase nella nostra intervista ci ha parlato della realtà di Colorno e di come si punti molto sul settore giovanile, com’è stata la tua esperienza?
“Si abbiamo avuto la fortuna di poterci allenare con la prima squadra mentre giocavamo con la under 19 e anche grazie a questo poi siamo riusciti a vincere il campionato. Questo ci ha permesso di creare un gruppo forte e aiutare anche i giocatori con meno esperienza a crescere.”

Com’è andata al 6 Nazioni? Qual è stato il tuo momento più bello?
“È stata una bella esperienza, soprattutto il poter rappresentare la nazionale e la u20 che sta facendo cose importanti negli ultimi anni. Avendo già vissuto l’esperienza l’anno scorso giocando tutte e 5 partite, con David e altri ragazzi più esperti abbiamo cercato di assumere un ruolo da leader all’interno del gruppo. Potevamo fare meglio soprattutto contro Francia e Inghilterra, ma siamo contenti e un momento bello che mi ricordo è dopo aver vinto in Scozia. Stavamo guardano la partita Inghilterra contro Irlanda che giocavano dopo di noi, l’Irlanda ha vinto all’ultimo e ci ha permesso di arrivare terzi. Eravamo tutti stressati insieme a guardare questa partita in una piccola sala e siamo esplosi di gioia quando abbiamo visto che eravamo terzi.”
Qual’è il ruolo in cui preferisci giocare e perchè?
“È una domanda che mi fanno in tanti anche qui a Clermont. È difficile rispondere, sono venuto qua con l’idea di giocare secondo centro, è un ruolo che mi piace perché sei molto coinvolto nel gioco sia in attacco che in difesa. Anche l’estremo viene inserito in attacco, ma il centro riesce a gestire di più il gioco con il 10. Nel 6 nazioni, a parte una partita contro l’Inghilterra, ho giocato estremo ed è un ruolo che non mi dispiace e mi ci trovo bene. È più comodo sopratutto in difesa, perché a secondo centro è difficile difendere se non hai un interno che ti parla e che ti spinge. Da un punto di vista questo mi piace, mi stimola come giocatore, dall’altro sei fuori dalla comfort zone perché a volte faccio allenamento con la prima squadra, sono tutti giocatori internazionali e mi bucano 3 volte di fila. Lì mi dico “magari torno estremo che mi va meglio” (ride ndr). Ci sono giocatori come George Moala e Irae Simone che sono molto importanti. È abbastanza difficile e con l’allenatore Urios mi trovo di più a estremo, però ci sono giorni in allenamento in cui gioco secondo centro, quindi mi adatto un pó.”

Contro gli Stormers sei entrato a secondo centro.
“Si, contro gli Stormers ho fatto 15 minuti a secondo centro ed è andata abbastanza bene anche se abbiamo perso, ma è stata una bella esperienza.”
Clermont è una delle piazze più importanti del rugby francese ed europeo, com’è per te far parte di questo club? Sono tutti campioni che vediamo in televisione, tu li vedi in spogliatoio, come te la vivi?
“Non dico emozionante perché ormai ci sto facendo l’abitudine essendo tutti i giorni lì, ma all’inizio non sapevo davvero cosa fare e come allenarmi, ma sentivo di dover fare il meglio possibile, questo ti stimola perché devi tenere il passo con gli internazionali. È un ambiente davvero incredibile con una delle tifoserie più importanti d’Europa. Non sta andando benissimo quest’anno, ma cerchiamo di risollevarci in vista dell’anno prossimo.”
Com’è stato il passaggio dal giocare in Italia tra Noceto, Parma e Colorno e arrivare a Clermont? Quali differenze vedi con il sistema di formazione italiano?
“È molto diverso, qui i giovani degli espoirs fanno degli allenamenti davvero intensi. In generale in Italia i sistemi di formazione giovanile non sono molto di alto livello, ma a Colorno stanno cercando d’investire sui giovani e questa è una cosa buona. Qui a Clermont è tutto organizzato da anni e c’è tantissima esperienza, gli espoirs hanno allenamenti sia al mattino che al pomeriggio e sono veramente intensi, ci sono anche delle sessioni di skills individuali o skills di contatto dove certi giocatori selezionati fanno diversi esercizi sia in attacco che in difesa. Penso che qui il livello del rugby giovanile sia davvero alto.”

C’è un rito della matricola a Clermont?
“In prima squadra diciamo di no, dopo la tua prima partita shotti una birra davanti a tutti nel minor tempo possibile e con te c’è il capitano o uno dei leader, dici due parole e sei a posto. Con gli espoirs ti tagliano i capelli male prima della partita e giochi con quelli, poi ti sistemano.”
C’è un giocatore all’interno della prima squadra di Clermont che vedi come una figura da seguire e che ti sta dando una mano?
“Si, dall’inizio è stato George Moala. Sono molto fortunato, poi parlando inglese è stato facile e vedendo che ero uno straniero, anche se sono europeo, ha cercato di prendermi sotto la sua ala. Gioca centro anche lui e ha cercato sempre di aiutarmi facendo degli extra post allenamento, 10 minuti insieme di 1vs1 o cose così. Un altro che mi sta aiutando molto è Irae Simone, sopratutto per quanto riguarda le scelte da fare in campo. Poi c’è un allenatore, Benson Stanley, che all’inizio era quello incaricato per le skills, ma poi il nostro allenatore dei trequarti si è tolto dall’incarico e quindi abbiamo avuto lui insieme a quello della difesa ad allenare i trequarti. Stanley ha giocato a Clermont per molti anni, ma ha giocato anche nei Blues e mi ha aiutato con skills dei passaggi e gioco al piede. Se ho un dubbio o se ho bisogno di fare extra post allenamento posso sempre andare da lui, è davvero una cosa incredibile per me.”

Pensi che sia anche una cosa derivata dalla cultura dell’emisfero sud visto che hai citato Moala, Simone e Stanley?
“Penso di si perché vedo che con me che sono straniero sono più interattivi e cercano di aiutarmi, allo stesso modo i giovani francesi vanno dai senior francesi. Non penso cambi tantissimo, ma a me personalmente ha aiutato molto avere questi giocatori stranieri su cui fare riferimento.”
Un ottimo sei nazioni ed esordio in Champions Cup, ovviamente nella community dei tifosi il tuo nome circola e parecchio, sopratutto per il reparto dei trequarti dove a volte facciamo fatica a trovare profondità. Senti questa pressione come prospetto o “next big thing” per la nazionale?
“Pressione non più di tanto, cerco di rimanere umile e pensare al mio lavoro giorno per giorno. Se qualcuno mi dice “star” o “next big thing” gli dico “grazie, ma non ancora”. Per il futuro e per la nazionale vedremo, i ragazzi che sono già lì stanno alzando di molto il livello e quindi sarà molto difficile poter entrare nel gruppo.”
Hai già ricevuto chiamate da Kieran Crowley?
“Non ho ancora ricevuto chiamate e non penso di riceverne almeno fino a dopo il mondiale. Mi voglio concentrare su quello, finire la stagione con Clermont cercare di fare più presenze possibili. Spero di qualificarmi alla fase finale del campionato con gli espoirs e poi dare il massimo con la nazionale u20.”
Ci sono dei giocatori della nazionale italiana o internazionali che prendi come riferimento per il tuo stile di gioco?
“Partendo dalla nazionale italiana, vedendo i miei ruoli di secondo centro ed estremo ci sono Brex e Capuozzo, che sono due pedine fondamentali per la nazionale e due pedine molto difficili da spostare (ride ndr), sono veramente due punti di riferimento per il nostro gioco. A livello internazionale posso dire Lukhanyo Am e Garry Ringrose come centri, sono secondi centri favolosi che hanno classe nel loro gioco e sono di altissimo livello. A estremo Stuart Hogg, è troppo facile dirlo. In Irlanda Hugo Keenan fa un lavoro straordinario in attacco e in difesa, anche se non è un ragazzo troppo grande, fa dei placcaggi fondamentali per salvare le mete. Poi in Francia ci sono Fickou e Ramos, ma guardo un pò di più gli anglosassoni. Anche Damien Willemse si adatta a 10 o estremo e fa magie dappertutto, ci ho giocato contro ed è… beh difficile (ride ndr), ci ho fatto 15 minuti ed ero morto.”
Ti piacerebbe tornare a giocare in Italia un giorno? Ti piacerebbe eventualmente giocare con Fekitoa?
“(ride ndr) Nel mio prossimo futuro voglio rimanere in Francia e il più possibile a Clermont per portarlo dove gli spetta. Per Fekitoa rido un pochino perché ho il suo compagno di nazionale di Tonga George Moala e mi trovo già abbastanza bene con lui, ma certo sarebbe stimolante potermi confrontare e giocare con un giocatore del genere.”
Come ti prepari mentalmente sapendo che potresti affrontare colossi del Top14 come Atonio o Skelton?
“Per fortuna uno come Atonio o Skelton non l’ho ancora trovato. Già in allenamento qui, c’è gente come Lavanini e cerco di stargli il più possibile alla larga (ride ndr).”
Ma Lavanini lo tengono in gabbia prima della partita provocandolo con un taser? Come lo gestiscono?
“Adesso è infortunato, ma durante gli allenamenti in realtà ho visto solo una volta che ha avuto un battibecco con un altro avanti e si stavano per picchiare, ma non è successo. Era anche un allenamento pieno di tensione, quindi ci stava che qualcuno poteva scannarsi un pochino. Però gli allenamenti li fa normali e non facciamo quasi mai contatto reale perché sanno che i giocatori sanno placcare, al massimo facciamo lavori con gli scudi.”

Questa è una cosa molto diversa dal tipo di allenamenti che si fanno in Italia, di solito c’è sempre un allenamento o un esercizio dedicato ai placcaggi durante la settimana.
“Si anche con la u20, non tutte le settimane, ma ogni tanto facciamo 10 minuti di placcaggi e non essendoci più abituato mi sono trovato un pó spaesato. Qui a Clermont magari invece di farli al 100% li facciamo al 90%, insomma non lavori come se fossi in partita che devi ammazzare tutti. Ti concentri sulla tecnica e si c’è la fisicità, ma non è mai al 100%.”
Cosa ne pensi delle prestazioni dell’Italia maggiore e di Treviso che sta crescendo a livello europeo?
“Il miglioramento è esponenziale, si vede da un paio d’anni che il livello si è alzato tantissimo. In questo 6 Nazioni nei primi 50 minuti erano lì e stavano imponendo il loro gioco. Bisogna finalizzare di più, ma questo arriverà con il tempo. Parlando di Benetton stanno crescendo anche loro e con Marco (Bortolami ndr) stanno lavorando veramente bene. Con la u20 li abbiamo affrontati in allenamento e abbiamo visto il lavoro che fanno, che è di altissima qualità. Sono contento per loro, sia per i ragazzi che conosco che sono lì, ma anche per tutta la squadra che è arrivata in semifinale di Challenge Cup, noi purtroppo non ci siamo arrivati perdendo contro gli Scarlets di 2 punti. Vedo che anche in URC sono diventati una squadra non facile da battere quindi sono davvero conto per loro.”
Allora facciamo questo scenario, ti arriva una telefonata da Rassie Erasmsus dicendoti “facciamo un bootcamp a Cape Town”, tu cosa rispondi?
“Beh rispondo… “grazie mille!” (ride ndr). Però ci dovrei pensare per un paio di giorni, sono nato e cresciuto in Italia da famiglia sudafricana, ma il mio modo di vivere è italiano ed europeo. Alla fine la mia vita è in Europa e in Italia. Da piccolo e anche adesso a volte ci penso e mi dico “perché non sono cresciuto in Sud Africa?” o “se mi chiamano sicuro vado con il Sud Africa”. Però adesso alla gente che me lo chiede anche solo per scherzare dico che è difficile rispondere, ma risponderei Italia, proprio perché sono cresciuto qui e devo ringraziare il movimento che mi ha permesso di crescere.”

Guarda che adesso lo hai detto eh…
“(ride ndr) Mio papà in realtà conosce Rass, lo abbiamo conosciuto quando allenava Munster e si sentivano ogni tanto, penso che il numero ce lo abbia ancora. Mio padre mi ha detto che anche per lui la scelta è sull’Italia e non farebbe lui stesso una chiamata, perché è una questione di merito. Se mi chiamano tutti e due (Kieran e Rassie ndr), poi sarà una mia decisione, ma è più sull’Italia che sul Sudafrica.”
Cosa pensi che manchi all’Italia per diventare una nazione rugbysticamente forte come la Francia?
“La prima cosa che mi viene in mente è gestire meglio i momenti della partita, soprattutto quei momenti in cui puoi fare punti entrando nei 22 degli avversari. La difesa dell’Italia è molto migliorata, ma si concede un pò troppo nel secondo tempo. In generale quando si entra nei 22, cercare sempre uscirne con dei punti che siano 3, 5 o 7.”

E invece a livello di movimento rugbystico cosa pensi che dovrebbe fare l’Italia per colmare il gap?
“Investire sui giovani, ma stando attenti a come vengono formati e non mettendo soldi a caso. Dalle strutture non per forza federali, ai club che possono far crescere bene i giovani magari con allenatori di qualità come ex giocatori. Un sistema che permetta ai giovani di giocare e allenarsi anche con le squadre di serie A o Top10 perché così il livello si può alzare. In questo modo anche le squadre che vanno dalla serie A al Top10, possono competere di più perché i giocatori giovani hanno già esperienza, invece che come al solito farsi solo un anno o due per poi tornare giù. Poi investire di più sul campionato di Top10, ma è difficile.”
E per quanto riguarda il racconto sul rugby con i media? David Odiase ci raccontava che in Francia ormai calcio e rugby sono quasi alla pari a livello di popolarità, invece in Italia c’è ancora gente convinta che giochiamo a football americano.
“È una domanda difficile, qui con rugby, calcio o anche la pallamano per farti un esempio, trovi stadi pieni e fan agguerriti che seguono le squadre. Probabilmente è la mentalità del popolo oppure è il fatto che il rugby è ancora nuovo come sport in Italia. Magari ci sono basket o pallavolo che sono un pó più sviluppati, ma per il rugby è come dici te, la gente è ancora convinta che sia football americano. È difficile da digerire, però piano piano si vede che stiamo crescendo.”
Ci dicevi che l’allenatore Urios ti vede più come estremo e allenate molto le skills, con i piazzati come te la cavi?
“(ride ndr) Fino all’anno scorso mi allenavo ancora con i piazzati, poi a causa di piccoli problemi muscolari ho smesso per non stressare troppo i muscoli. Ne ho parlato anche con Massimo Brunello che mi ha chiesto se potevo ricominciare ad allenarmi per i calci lunghi da 40 o 50m. Ci posso pensare, ma impegno già tanto tempo in altre skills, quindi dovrei cercare di ritagliarmi altri momenti della giornata in cui posso allenarmi. È una skill che avevo e piano piano l’ho persa, però in prospettiva per essere un giocatore completo è sicuramente una cosa a cui sto pensando.”

Ti piacerebbe essere te il piazzatore della nazionale?
“Per adesso no, magari come terza scorta (ride ndr). Lascio fare agli altri che si allenano tutti i giorni, poi magari allenandomi anche io posso portare risultati e parlarne con gli allenatori.”
David Odiase ci ha detto che lui il piedino caldo ce l’ha ancora…
“Nono non ce l’ha più (ride ndr). Piazzava di punta in under 16 e in qualche modo entravano. Giocava portiere, la palla più o meno dritta la sapeva tirare quindi con il vento o con la fortuna entravano (ride ndr).”
Quindi in una sfida a piazzati tra te e David, chi vince?
“Ora come ora potrebbe vincere anche lui, magari no perché è un po’ che non calcia, ce la giochiamo dai (ride ndr).”
Com’è avere David a caricarti prima della partita?
“Io lo conosco bene, abbiamo cominciato al centro di formazione di Milano insieme in u18 e quindi abbiamo passato li due anni e poi a Colorno sempre insieme. È uno dei miei migliori amici e ci sentiamo tutte le settimane, l’anno scorso eravamo nella stessa camera e mi diceva che voleva caricare i ragazzi ancora di più di Jack (Giacomo Ferrari, ex capitano della nazionale u20 ndr). Da li si è cominciato a preparare dei discorsi e poi quest’anno nella prima partita era bello carico e ci ha motivato tantissimo. Io questi discorsi li ascolto, ma sono già nella mia zone, già concentrato quindi magari non mi emoziono tanto come gli altri, ma devo dire che tra quelli dell’anno scorso di Jack e quelli di David un pochino ho cominciato a sentirli anche io che di solito sono distante.”

Hai un tuo rito prepartita?
“Devo dire di no, ascolto musica e l’anno scorso avevo sempre la solita canzone che era “Ramen and OJ”, ha un ritmo che ti rimane in testa. Quest’anno ho cominciato ad ascoltare cose diverse tra Drake e Jay Z, ho un amico qui a Clermont che è dello Zimbabwe e mi ha passato la sua playlist pre gara. Non ho riti particolari, varia molto da come mi sento nel momento. Una cosa che ho fatto da quest’anno è che la sera prima della partita quando sono da solo in camera mi ascolto gli inni delle diverse nazionali, alcuni mi fanno venire la pelle d’oca. Il giorno della partita mi ascolto sia quello italiano che quello sudafricano che è abbastanza carico. Oppure mi guardo video di highlights come quelli di Lukhanyo Am che ho visto prima della partita contro l’Inghilterra, quello mi ha caricato abbastanza, lui sia in difesa che in attacco è un mago.”
Quali sono gli obbiettivi per questo mondiale u20?
“Sarà molto tosto, abbiamo un girone difficile con squadre come l’Argentina che hanno un gioco simile al nostro. I loro trequarti sono sempre difficili da affrontare, sono sempre molto esplosivi e veloci e nel 1vs1 hanno quel qualcosa in più. Georgia e Sud Africa saranno partite difficili per la mischia, ci sarà un impatto fisico importante. La Georgia ha giocatori veloci e molto fisici. Il Sud Africa li ho visti giocare l’anno scorso, hanno un buon gioco con gli avanti, ma soprattutto hanno dei trequarti fenomenali che correvano 2 volte più veloci degli altri e steppavano 5 persone una dietro l’altra. Saranno 3 partite diverse, ma veramente difficili. Un obbiettivo realistico è vincerne 2 su 3, l’ultima dovrebbe essere il Sud Africa e lì bisogna dare tutto, finirla che siamo morti ma dando tutto.”
Quale pensi che sia stata l’esperienza più formativa nel tuo percorso per adesso?
“Prima di quest’anno Colorno, perché mi ha dato la possibilità di confrontarmi con giocatori più grandi e di più alto livello. Con l’u19 abbiamo fatto un bel percorso e ho fatto 5 o 6 partite con la prima squadra. Poi non contando la u20, quest’anno a Clermont è un’esperienza fantastica, ogni giorno scopro qualcosa di nuovo o un piccolo dettaglio che devo migliorare, è davvero molto stimolante.”
François ha debuttato in Top14 il weekend in cui lo abbiamo intervistato nella gara contro Pau. Di seguito il video realizzato da Ottavio Arenella (RugbyCoach8 su youtube) in cui possiamo vedere gli highlights della sua prestazione.