Sempre più persone coinvolte nel rugby internazionale stanno esplorando la volontà di espandere il Sei Nazioni, invece di introdurre promozioni e retrocessioni. By giving the chance [of promotion, ndr] to one team you would destroy another union, dice Carlo Checchinato ai microfoni anglosassoni di The Rugby Paper Podcast, giustamente facendo notare che ad oggi il Galles ha perso sia con l’Italia che con la Georgia e in una logica di retrocessioni e promozioni dovrebbe temere di perdere il posto tanto quanto l’Italia. Ovviamente questa situazione pone una pietra tombale sul progetto di un “Sei Nazioni B” connesso tramite una promozione col torneo principale. La stabilità economica e degli introiti è essenziale per crescere come unioni, ma è importante anche aprire i propri confini a nuove realtà per far crescere il rugby come sport e prevenire l’effetto gatekeeping che in certi altri sport fa sì che solo alcune nazioni siano effettivamente competitive, tenendosi quello sport per sè stesse senza accettare intrusioni. Come dicono Checchinato e i conduttori del podcast, the six nations is not gonna change, e questo è perché funziona, porta molti guadagni alle unions che lo compongono, e ha creato un brand fortissimo riconosciuto in tutto il mondo. Se si vuole pensare come espandere il rugby in Europa, bisogna guardare ad altre soluzioni. Ecco allora che voglio proporre un’idea ragionata su una possibile coppa europea di rugby sul modello di quella del calcio. Prima, però, diamo uno sguardo a come stanno le cose in questo momento.
Lo stato attuale delle cose
Al momento ci sono due principali tornei di rugby per squadre nazionali in Europa: il Sei Nazioni e il Rugby Europe Championship. Il primo è il torneo più vecchio del mondo, un torneo glorioso che ha le sue radici nelle quattro cosiddette home nations, da cui il nome originale del torneo. Nato nel 1883, ha visto scontrarsi Inghilterra, Irlanda, Galles e Scozia fino al 1910. L’aggiunta della Francia fino al 1931, e successivamente dal 1947 ad oggi, lo ha trasformato nel Five Nations fino al 1999, e nel Six Nations dal 2000 con l’ingresso dell’Italia. Fino a non troppo tempo fa si trattava più che altro di una serie di test match ciascuno con un suo significato particolare, ad esempio la Calcutta Cup fra Scozia e Inghilterra. La nazione delle home nations che vince tutti e tre i test contro le altre home nations vince la cosiddetta triple crown. Italia-Francia assegna il trofeo Giuseppe Garibaldi, e così via. Negli ultimi 20 anni, però, e in parte già dall’avvento del professionismo (1995), il Sei Nazioni ha raggiunto lo status di vero e proprio torneo a punti con dinamiche più simili a quelle di un mini-campionato. Gli introiti sono elevatissimi, ed entrarvi farebbe gola a qualsiasi union. Georgia e Sud Africa stanno a guardare dalla finestra.
Il Rugby Europe Championship è il secondo torneo per squadre nazionali d’Europa. Si tratta di ciò che resta della “coppa FIRA”, fondata dall’omonima società a sua volta fondata nel 1931 dalle unions rugbistiche europee non iscritte all’home nations: su tutte Francia, Italia, Romania, Germania, Spagna, Belgio, Portogallo, Olanda, e Catalogna. Dal 1931 ad oggi ha subito varie modifiche e cambiamenti. Dal Settembre 2022 comprende cinque livelli congiunti da promozioni e retrocessioni che avvengono su base biennale invece che annuale. Il massimo livello comprende 8 squadre divise in due gruppi così composti: A) Georgia, Germania, Olanda, Spagna; B) Belgio, Polonia, Portogallo, Romania. Le partite di questo massimo livello, informalmente chiamato “Six Nations B”, si svolgono attorno a Marzo più o meno a ridosso della fine del Sei Nazioni.

Il problema
Fra Sei Nazioni e Rugby Europe Championship non c’è comunicazione in termini di promozioni o retrocessioni, ma ci sono continuamente dibattiti su chi dovrebbe far parte di quale torneo. L’Italia ha sotto-performato dal 2015 al 2022, perdendo tutte le partite del torneo, e portando l’opinione pubblica verso l’idea di sostituirla con la Georgia, vincitrice di quasi tutti gli ultimi 10 Rugby Europe Championships. Le vittorie dell’Italia contro Galles, Samoa e Australia hanno però frenato questi discorsi, anche se pure la Georgia ha vinto di recente in Galles, rendendo il discorso tutt’altro che obsoleto e portando le malelingue a chiedersi se anche il Galles non rischi qualcosa (ovviamente in modo sarcastico). Al contempo, anche il Sud Africa sta a guardare avendo già portato le sue franchigie dal Super Rugby, situato nell’emisfero sud, allo United Rugby Championship, competizione europea. C’è però un grosso problema di fondo: come abbiamo già scritto in passato, includere una nuova union nel Sei Nazioni è tutt’altro che semplice: si sballano tutti i calendari delle competizioni per club, si consumano i giocatori fisicamente, si costringe le nazionali ad operare in una finestra di 10 settimane invece che di 6. Agli allenatori e ai giocatori l’idea non piace, perché il rischio di infortunarsi diventa più alto e ne risentirebbero lo spettacolo e le prestazioni. Il board del Sei Nazioni ha più volte dichiarato di non avere alcun interesse a modificare l’assetto del torneo, che funziona così com’è e porta lauti guadagni con un brand ben costruito. Resta però un problema di fondo, che è quello dell’inclusione di unions diventate più competitive come quella georgiana oppure storicamente di prima classe come il Sud Africa, che muoverebbe anche tanto denaro in termini di ascolti televisivi.

Usare le finestre estive ed autunnali
Un modo tramite il quale sarebbe possibile includere più squadre europee sarebbe quello di creare una competizione aggiuntiva che metta in comunicazione i mondi del Sei Nazioni e del Rugby Europe Championship. Mettendo insieme le squadre del Sei Nazioni e del primo tier di REC ci sarebbero un totale di 14 unions (6 + 8) alle quali si potrebbero aggiungere il Sud Africa e la Namibia per arrivare a 16. Formando 4 gruppi da 4 squadre, ordinate mediante il ranking internazionale, si potrebbe costruire una fase a gironi e una fase finale. Ogni squadra, dunque, giocherebbe dalle 3 alle 6 partite, a seconda che si qualifichi per la fase finale o esca ai gironi. Questo tipo di suddivisione è particolarmente congeniale alla situazione del rugby, che vede tre test match estivi e tre autunnali, dunque un totale di 6 partite divise in due gruppi da 3. Questa competizione, dunque, non creerebbe una nuova finestra internazionale, ma potrebbe occupare quella estiva e autunnale ogni quattro anni, a due anni dal mondiale. Ipotizzando di averla giocata quest’anno, per semplicità di calcolo, i gruppi sarebbero stati i seguenti:
Irlanda | Francia | Sud Africa | Inghilterra |
Scozia | Galles | Italia | Georgia |
Spagna | Portogallo | Romania | Namibia |
Russia (*) | Belgio | Svizzera | Olanda |
È verosimile pensare che le prime due di ciascuno di questi gironi passerebbero il turno, ma ci potrebbero essere sorprese, e più in generale, ciascuna delle otto squadre situate nei terzi e quarti slot dei gironi avrebbe tre test match contro squadre di assoluto valore contro cui non si confrontano spesso. Grandi occasioni di crescita, che farebbero bene al movimento intero.
Questi test match sarebbero giocati nella finestra estiva, sostituendo quelli programmati dalle varie unions. Un’ipotetica fase finale verrebbe giocata invece nella finestra autunnale. Sarebbe assolutamente possibile pianificare dei test match aggiuntivi fra le squadre che non superano i turni, così da dare game time a tutti che passino o non passino il turno, ed evitare di eliminare totalmente la sessione autunnale di partite. Alla fine del computo, ciascuna union avrebbe giocato 6 partite (tre in estate e tre in autunno) contro avversari di varie carature, un po’ come già avviene. Le unions meno “nobili” ne guadagnerebbero tantissimo, e quelle più nobili coglierebbero l’occasione per espandersi a mercati ancora relativamente inesplorati e dal ricco potenziale.

La possibilità di un torneo localizzato
Anche se non altrettanto percorribile, la via di un torneo che ha luogo in una specifica nazione sarebbe comunque affascinante e vale la pena provare ad articolarla per capirne la fattibilità. Sul modello di quanto avviene per il calcio, ogni volta che ci sono gli Europei o i Mondiali, la nazione ospitante ne beneficia potendo contare su introiti inusuali per le sue casse, rifancendosi il look, investendo nell’impiantistica, e crescendo come infrastrutture sportive in generale. Sarebbe dunque interessante portare una coppa europea di rugby in uno specifico luogo, così da concentrare gli introiti in una specifica union ogni volta, permettendole di migliorarsi sensibilmente. Un torneo localizzato ha però bisogno di essere giocato in un’unica finestra temporale per massimizzare gli incassi, ecco allora che la possibilità potrebbe essere quella di sincronizzarsi con il Rugby Championship dell’emisfero australe, giocando questo torneo fra fine Agosto e inizio Ottobre, e ridiscutendo nello specifico anno del torneo le finestre di test match internazionali. Questo permetterebbe, fra le altre cose, di gestire meglio il calendario di club evitando di interromperlo a metà ma piuttosto ritardandone solo l’inizio. Un inizio dei campionati di club ritardato, a sua volta, eviterebbe ai club europei ricchi di talenti dell’emisfero sud di giocare l’inizio del campionato senza di questi talenti, impegnati nel Rugby Championship.

Aumentare le visualizzazioni
Un torneo di questo tipo avrebbe una grande risonanza mediatica, soprattutto se ospitato da una singola nazione, in quanto sarebbe più facile da brandizzare come un singolo pacchetto. Questo solitamente piace alle televisioni, in quanto devono interfacciarsi con un unica entità per i diritti di tutto il pacchetto-partite. Ne deriverebbero notevoli flussi di capitali. Per una nazione ospitante, se dovesse esserci una soluzione localizzata per il torneo, sarebbe un bagno di denaro che permetterebbe di aggiornarsi sotto quasi ogni aspetto e crescere notevolmente.
Un aspetto molto sottovalutato dalle varie unions nella diffusione dei loro materiali è quello del coinvolgimento dei content creators in internet e nei vari social media. Mettendo a disposizione materiale gratuito facilmente utilizzabile per creare contenuti tematici, si aumenterebbe notevolmente la visibilità del prodotto in canali indipendenti da quelli ufficiali.
Infine, mettendo in piedi un sistema di gaming nello stile di quello delle Autumn Nations Series, si potrebbe coinvolgere anche l’aspetto ludico nel pacchetto, facendo giocare gli appassionati e le appassionate a un fantasy rugby con ben 16 squadre da cui scegliere. Questo tipo di giochi, all’apparenza puramente di intrattenimento, hanno anche la proprietà di far conoscere i giocatori e le squadre agli appassionati, aumentando la notorietà degli stessi fra i fan. Tutto questo, insieme, sarebbe un ottimo modo di sfruttare il prodotto per far crescere il nostro sport in termini di fama nei luoghi dove ancora non è così conosciuto.

Ipotesi in Italia
Facciamo un’ipotesi: la prima competizione di questo tipo potrebbe essere ospitata proprio dall’Italia, nazione “di raccordo” fra Tier 1 e 2, dotata di un buon numero di impianti sportivi derivanti dal calcio ma adattabili al rugby, e di grande interesse turistico. Il rugby non attrae folle oceaniche nell’ordine degli 80,000 posti per ogni partita, ed è dunque impensabile usare tutti gli stadi più grandi del calcio rischiando di vederli mezzi vuoti. A parte lo stadio Olimpico di Roma, che ha comunque i suoi difetti, ci sono una serie di impianti importanti in giro per l’Italia che si presterebbero molto bene allo scopo. Facciamo alcuni nomi fra cui poter scegliere:
Città | Stadio | Capienza |
---|---|---|
Udine | Stadio Friuli – DaciArena | 25,132 |
Milano | Stadio Giuseppe Meazza | 80,018 |
Torino | Juventus Stadium | 41,507 |
Genova | Stadio Luigi Ferraris | 36,599 |
Bologna | Stadio Renato Dall’ara | 38,279 |
Firenze | Stadio Artemio Franchi | 43,147 |
Roma | Stadio Olimpico | 72,698 |
Napoli | Stadio Diego Armando Maradona | 54,726 |
Bari | Stadio San Nicola | 58,270 |
Palermo | Stadio Renzo Barbera | 36,365 |
L’ideale sarebbe concentrare tutto su una selezione di città così da massimizzare gli introiti turistici. Ora, parliamoci chiaro: questa competizione non avrebbe la stessa portata dei mondiali di rugby, e dunque gli stadi di dimensione troppo elevata rischierebbero di rimanere vuoti e fare brutta impressione. Dunque, se stesse a me decidere, eviterei di utilizzare sia San Siro che l’Olimpico, solo uno dei due. Udine, Torino, Firenze e Napoli coprirebbero tutto il territorio nazionale, tenendo l’Olimpico di Roma per le fasi finali. Una tale dispersione geografica aiuterebbe a portare il rugby in giro per l’Italia e non solo a Roma.

In conclusione: è fattibile?
Coi ricavi di questo torneo la nazione ospitante potrebbe adeguare questi impianti (o almeno alcuni) così da elevare le proprie infrastrutture rugbistiche e di conseguenza la qualità del proprio movimento in generale. Un esempio ne è lo Stadio Flaminio di Roma, un tempo casa degli Azzurri e dell’Italrugby, e ora in declino. Uno stadio ottimo per il rugby, con il pubblico vicino al campo, caldo e rumoroso. Coi guadagni derivanti da una competizione così, si potrebbe davvero ricostruire uno stadio che è stato così importante, nonché migliorare quelli delle franchigie e dei club di Top10 o inferiori. Questo discorso si può applicare a tutte le unions partecipanti a un torneo del genere. Immaginare lo stesso contesto ma in Spagna o in Portogallo non è difficile, mentre quando ospitato in Inghilterra o in Irlanda sarebbe un occasione per i tifosi di unions meno storiche per conoscere i luoghi dove il nostro sport si è fatto adulto. In conclusione, un torneo come questo avrebbe un impatto enormemente positivo sul rugby europeo. Si tratta, però, di un grande salto nel buio economicamente parlando. Un tipo di salto che spesso piace ai tifosi e non agli investitori, che alla fine della fiera, sono quelli che mandano avanti il circo. Stiamo a vedere.