Con un italiano impeccabile, Rhyno Smith ci saluta prima di iniziare l’intervista. Si sta integrando bene, è felice e si è innamorato di Treviso. Ecco le sue parole.

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Rhyno Smith al piede (Planet Rugby)

Gli anni in Sud Africa

Rhyno Christo Smith è una persona che dà l’impressione di essere un po’ timida ma che in realtà crede molto in quello che dice. Soppesa le parole, non dice cose a caso, non cerca gloria facile con affermazioni da eroe, piuttosto fa una meta spettacolare in campo e festeggia con un backflip. Ovviamente solo se segna una tripletta, ci sono delle regole etiche da rispettare.

Facciamo due chiacchere, parliamo del più e del meno, ma poi arriviamo a parlare della sua vita rugbistica e di dov’è cresciuto (Paarl, vicino a Cape Town). Una città famosa per il college e il rugby, che di recente ha ospitato molte delle partite del mondiale Under 20 dove l’Italia ha battuto proprio il Sud Africa U20 per la prima volta.

Sei nato e cresciuto a Paarl, ma se c’è una squadra fra tutte quelle in cui hai giocato che ti manca, sono proprio gli Stormers. Ti pesa?

-ride- “C’è stata una partita nel 2016, giocavo con i Leopards contro Western Province [la squadra domestica di Cape Town che sta sotto agli Stormers]. Ho giocato una delle mie migliori partite della vita, e ho pensato, se non mi fa arrivare qualche telefonata questa partita qua, non so cos’altro serva. La verità è che non gli servivano estremi. Io sono cresciuto fan degli Stormers, tralaltro ammiravo proprio Dewaldt Duvenage al tempo, era già un professionista. È un privilegio giocare con lui 15 anni dopo.”

Noi a volte non ci rendiamo conto di quanto talento abbiamo in squadra. O magari di quanto importanti siano certi giocatori che arrivano, sebbene magari nella seconda metà della loro carriera. Duvenage ha giocato agli Stormers dal 2009 al 2013 e dal 2016 al 2018. È piuttosto importante da quelle parti.

Ma in Sud Africa vi aspettavate che le franchigie lasciassero il Super Rugby e venissero a nord?

“Il Super Rugby era in grande calo di ascolti e interesse. Se avevi 15,000 persone allo stadio era roba grossa. Unirsi allo URC giusto dopo il Covid è stato una ventata d’aria fresca che ha portato nuovo interesse attorno al club rugby in Sud Africa. Ora i tifosi vengono allo stadio a vedere anche le squadre di club perché ci giocano gli Springboks che hanno vinto la coppa del mondo. Ad ogni modo, non ne avevamo la più pallida idea e alcuni ai Cheetahs sono rimasti fregati da questo, la squadra è finita in amministrazione e molti han perso il lavoro, solo per poi vedere le quattro franchigie del Super Rugby andare nel rugby europeo dove fino a due anni prima c’erano i Cheetahs e i Southern Kings.”

Ovviamente siamo poi finiti a parlare di Wasps e Worcester Warriors, due squadre storiche sparite nel nulla, e di London Irish. Tre club, tre club importanti del panorama europeo, azzerati.

Rhyno Smith al tempo degli Sharks (SA Rugby Magazine)

Treviso e il territorio

Rhyno Smith arriva a Treviso nel 2021, e finora ha collezionato 19 presenze in due stagioni.

Come ti sembra l’ambiente del rugby italiano in confronto a quello sudafricano?

“Mi piacerebbe avere più analytics a supporto di quel che dico -ride- ma la mia opinione è che i tifosi in Sud Africa siano forse un po’ più agganciati a quello che succede in campo azione dopo azione. Mi spiego: quei micro-aspetti del gioco tipo un bel placcaggio o un jackal, se qualcuno prova un jackal il pubblico di casa urla subito -holding!- per indurre l’arbitro a fischiare, sottolineando le azioni. In Italia invece il pubblico guarda più in silenzio, e dopo il fischio dell’arbitro, se non sono d’accordo fischiano anche loro. Penso sia un comportamento che trasborda dal calcio, dove ci sono meno micro-aspetti del gioco, meno regole. Tipicamente in Italia ho notato che le partite avvengono in maggior silenzio, e appena succede qualcosa degno di nota il pubblico si esalta e improvvisamente è una bolgia.”

Senti di avere un buon rapporto col pubblico in generale?

“Qui i confini fra pubblico e giocatori sono molto meno definiti. Abbiamo gente che viene a vederci agli allenamenti tutti i giorni! Pensionati, credo. Si mettono là sulla staccionata della Ghirada e guardano tutto, commentano a volte, ti dicono cosa devi fare meglio. Una volta con mia moglie abbiamo visto un video in internet dove c’erano quattro vecchi italiani che commentavano qualcosa e abbiamo detto entrambi -That’s what they do at our field!!- ridendo.”

Un po’ mi emoziono. Un ragazzo sudafricano che viene in Italia, più precisamente in Veneto, e una delle prime cose che gli saltano all’occhio sono i cosiddetti veciòt che guardano i cantieri (o gli allenamenti). Già me lo immagino: Gianni, 76 anni, ha fatto il terza-centro negli anni settanta in qualche società locale, cuoce le salsicce alla club house della stessa società da 35 anni, ogni giocatore noto che sia passato per la provincia di Treviso “ha imparato da lui a fare x o y“. Poesia.

“E poi i fan sono meno impauriti dai giocatori, non ti venerano come una divinità. Vengono là e ti chiamano per nome, ti chiedono una foto, ti rispettano ma alla fine sei un essere umano. In Sud Africa rimarrebebro a bocca aperta, mi piace molto di più l’approccio italiano. E poi un ragazzino che ti vede come un Dio potrebbe pensare che non sarà mai come te. Qua invece ti vedono come un uomo normale e pensano -anche io posso!-, ed è meglio così”.

E come ti trovi a Treviso, in generale? La città, la gente, l’area circostante.

“Amico mio, amiamo Treviso [Rhyno e sua moglie]. Era da quasi cinque anni che volevamo andare all’estero e non trovavamo un club che fosse interessato a me. Sono un uomo di fede, e una volta qui, ho pensato che questi cinque anni erano il modo di Dio di tenermi lontano da ogni altro posto, cosicché potessi arrivare qui un giorno. È perfetta per noi, la gente è piacevole, il posto tranquillo. Non potrei mai vivere a Roma, per dire. O se giocassi allo Stade Français, ,per dire, non si confarrebbe al nostro stile di vita. Treviso è perfetta se vuoi viaggiare, hai le montagne e il mare vicino, fa freddo d’inverno e caldo d’estate, puoi nuotare nel fiume. La gente parla bene inglese anche se sto imparando bene l’Italiano per integrarmi.”

Quanto ti ha aiutato il club in questo processo?

“Il club è stato essenziale. Mi ha aiutato tantissimo, e spero di poter dare indietro tutto sul campo ancora per altri anni. Stiamo migliorando e voglio esser parte di questo momento storico. Quando sono arrivato Dewaldt e Herbst si sono messi in contatto con me e mi hanno aiutato a integrarmi, è stato tutto molto semplice e bello. Le prime settimane io, Riera e le nostre mogli ci siamo trovati e parlavamo un misto di castigliano, italiano e inglese. Oggi siamo amici, ma allora è stato difficile comunicare! Ma tutti sono molto proattivi nel creare gruppo. Inoltre credo un plauso vada fatto a Enrico Ceccato, il nostro team manager. Se un giorno dovesse andarsene dal club, credo che il club collasserebbe. Quell’uomo è una leggenda.”

A quel punto Marco interviene per chiedere la domanda che da tempo avevamo preparato, da persone del luogo, per capire quanto davvero Rhyno si stia tramutando in un trevigiano perfetto.

Sei mai stato a Bassano Del Grappa? E a Montebelluna?

“Sono innamorato di Bassano! Ci ho anche portato mia suocera quando è venuta a trovarci. E sono stato anche a Montebelluna. Io e mia moglie la domenica prendiamo la macchina e andiamo, guidiamo in giro, esploriamo, ci piace un casino. È tutto nuovo per noi, è magico, ci piace.”

Mentre a Marco si scioglie il cuore, anche io mi trovo a pensare che dev’essere proprio bello per una persona che viene dall’altro emisfero venire a giocare a nord e capitare in un posto che è ancora tutto sommato autentico e bello da esplorare.

Birra o vino?

“Nessuno dei due! Non bevo alcolici, non ho mai bevuto dell’alcol in vita mia.”

Questa cosa sta rendendo la tua integrazione difficile in Veneto?

Ride. “Nella vita potrò al massimo arrivare ad essere Trevigiano al 95%. chiaramente. E pensa che in Sud Africa vengo dalla regione del vino, come qui. Invece sai cosa ho scoperto in Italia che adoro? Il gingerino. Quando usciamo con mia moglie e gli amici tutti prendono spritz e noi gingerino.”

Rhyno Smith in Challenge Cup (SA Rugby Magazine)

Il club e i compagni

Una cosa sempre interessante è vedere come i nuovi arrivati, specialmente stranieri, si ambientino in una squadra internazionale come il Benetton Rugby.

Fra i ragazzi che si sono aggregati alla rosa, c’è qualcuno che per te ha del potenziale enorme ancora inespresso?

“Non è una domanda facile” dice Rhyno guardandosi un po’ intorno. Probabilmente non vuole offendere nessuno facendo un nome e lasciandone fuori un altro. “C’è una cosa che non puoi insegnare nel rugby ed è la velocità, il passo. C’è quel ragazzo, Douglas, che è di un veloce, ma di un veloce. Amico mio, ai miei tempi ho giocato con gente come Makazole Mapimpi o Cheslin Kolbe, gente veramente veloce. Douglas è là con i più veloci con cui mi sia mai allenato in vita mia. Quindi se riesce a lavorare sulle skills che giustamente a quell’età non sono ancora mature, può essere veramente un crack. Poi c’è un altro ragazzo che quest’anno era con l’U20, Dewi Passarella. È molto grosso di struttura per l’età che ha ed è molto rapido. Come centro deve lavorare sulle skill di passaggio e sul decision-making, sempre utili per i centri, e potrebbe arrivare molto in alto.”

E fra i giovani con un paio di anni in più?

“Pippo Drago è molto forte, e devo dire, complimenti ad Andrea Masi per averci lavorato nell’anno scorso in cui non ha giocato molto. Fra quando l’ho conosciuto due anni fa e un altro giocatore. Mi ricordo la prima partita che ha giocato, ero un po’ preoccupato perché era giovane e non aveva esperienza. Avevamo Sharks, Munster e Leinster una dietro l’altra e lui ha giocato tutte e tre le partite, tutte molto bene, con quel suo footstep che è davvero pregevole. Ah, poi c’è un altro ragazzo che devo assolutamente menzionare: Giacomo Da Re. Penso sia una delle persone più talentuose che io abbia mai visto sul campo. Sangue freddo da vendere, ottimo piede sinistro, skills di passaggio, corsa, calcio in gioco, tutto. All’inizio pensavo che la mia competizione per il ruolo di 15 fosse Edo Padovani, ma quando ho visto Da Re in allenamento ho capito che ero in competizione anche con lui.”

Cosa pensi invece dell’arrivo di Malakai Fekitoa?

“Senza nulla togliere al giocatore che è un campione, penso che quello che aggiunge più di tutto è una certa significatività alla nostra distinta gara quando la leggono gli avversari. Fino a un paio di anni fa la gente veniva a Treviso con l’idea di fare cinque punti facili, non conoscendo i giocatori. Avere un giocatore come lui invece li fa riflettere prima ancora di arrivare. È utile avere nomi che abbiano un peso inerente, qua e là nella lista gara. Ha giocato con gli All Blacks, ha vinto lo URC, guida Tonga al mondiale, queste cose contano a livello psicologico sia per i compagni sia per gli avversari.”

Il tema lo appassiona molto, e infatti poco dopo Rhyno si lancia in una digressione sull’internazionalità del Benetton Treviso come un vero tifoso farebbe al bar. Questo ovviamente mi riempie di orgoglio perché in due anni questo ragazzo è diventato uno di casa.

“Non ho molti dati alla mano per sostenere questa tesi, ma per quel che so del Benetton Rugby, e cioè gli ultimi 10-15 anni, credo che Fekitoa sia uno dei tre profili più importanti passati per il club. Assieme a lui Nahuel Tetaz Chaparro e Scott Scrafton. Quest’ultimo non è molto considerato in Italia però ha giocato più di 50 partite in Super Rugby, è forte quanto le seconde linee degli All Blacks adesso, ha giocato anche la partita Nord vs Sud che si gioca in Nuova Zelanda. E poi Dewaldt: ragazzi, Duvenage ha giocato più di 350 partite di primo livello in carriera. È sempre calmo, sicuro, e non fa mai errori.”

E fa il passaggio col tuffo, un animale in via di estinzione.

“Il diving pass! Fate tornare il Diving Pass di moda! Mi sa che è l’unico, in tutto il mondo. Ci scherziamo spesso su questa cosa, gli dico sempre che deve insegnare queste cose ai ragazzi giovani, tipo Casilio. O Alessandro Garbisi.”

Dove vedi Treviso da qui a cinque anni come squadra?

“Ti dico, se qualcuno di noi fosse in questa competizione [lo URC] senza l’ambizione di vincerla, mi chiedo ma allora che ci sei a fare qui? Stiamo andando nella direzione giusta, ma a un certo punto devi convertire il trend in risultati. A questo proposito, dobbiamo per forza arrivare a una finale nei prossimi tre anni. Qualsiasi essa sia. Magari è più facile in Challenge Cup, sono meno partite, ma dobbiamo. Per forza.”

Rhyno Smith effettua un grounding in un’azione conclusa in meta (Benetton Rugby)

Qualcosa di personale

Una cosa che mi piace sempre fare con i giocatori è chiedergli qualcosa di personale per conoscerli meglio come persone. Sul campo li vediamo sempre, ma chi sono come persone?

C’è un libro, un film o un disco che ti ha cambiato la vita e che vorresti consigliare?

“Penso di avere tutti e tre, sai? Il libro sicuramente è Start with Why, di Simon Sinek. Se non sai perché stai facendo qualcosa, perché lo stai facendo? Film invece ne ho due. About Time è un film che ho visto quando stavo ancora uscendo con mia moglie le prime volte. E poi c’è la mia celebrity crush, Rachel McAdams. Perfetto. Invece un film più impegnato è The Trial of the Chicago 7. È un film su un caso ambientato negli Stati Uniti, un caso di guerra, e un leader dei Black Panthers viene rinchiuso in prigione. Molto bello, pensa che volevo fare l’avvocato da giovane, per cui mi ha toccato. Album, invece, Too Low For Zero di Elton John. C’è una canzone che si chiama I guess that’s why they call it the blues, che amo.”

Quando sei andato all’università del Northwest, ci sei andato per studiare qualcosa mentre giocavi?

“Sarò sincero, non credo che la mia famiglia sarebbe stata in grado di farmi studiare, non potevano permetterselo. Il rugby invece mi ha permesso di andare all’università, e sono molto grato per questo. Sono andato a una buona scuola che mi ha dato abbastanza risalto da farmi ottenere una borsa di studio e permettermi di continuare a studiare. E poi sono grato anche a mia moglie per avermi aiutato a ottenere un titolo di studio. Ho fatto un Bachelor in Commerce in Human Resource Management, e poi ho studiato legge per un anno e mezzo. Venendo in Italia ho dovuto smettere, purtroppo, ma ora voglio continuare.”

Rhyno Smith con la maglia dei Cheetahs (SA Rugby)

Il futuro

Abbiamo infine parlato un po’ di futuro, prospettive, idee di carriera post-rugby.

Cosa ti manca di più del Sud Africa?

“Io e mia moglie abbiamo vissuto per un periodo a Durban quando giocavo con gli Sharks, e poi a Bloemfontein quando ero coi Cheetahs. Due posti belli per vivere, dove c’era il nostro passo. Molto meno Johannesburg, per dire. Del Sud Africa, in tutta onestà, mi mancano le cose di ogni giorno. Le salsicce ad esempio, quelle italiane sono buone ma sono diverse e mi mancano le nostre, i Boerewors. E l’oceano. Il suono che emette, le onde, mamma mia quanto mi è piaciuto vivere a Durban. Magari non i miei migliori anni in termini di gioco, ma che vita c’era là. Poi va beh, i miei amici e la mia gente.”

La cosa si è fatta sentimentale. Non pensavo che questa domanda tutto sommato un po’ scontata in un’intervista scatenasse così tanti ricordi. Ma poi ci ho riflettuto e anche io ormai vivo fuori dall’Italia da quasi 8 anni e casa mi manca ogni anno di più. Amici, sapori, odori, suoni, le cose di ogni giorno e le cose che rendono il proprio posto unico. Posso solo capirti, Rhyno.

E dunque ti vedi a rimanere a Treviso a lungo?

“Devi mettere la qualità della vita al primo posto, e qui è alta per i nostri standard. Dunque servirebbe veramente molto da parte di altri club per toglierci da qui. E se anche andassi via, probabilmente considererei di tornare qui a vivere una volta smesso di giocare.”

Insomma, Treviso gli piace proprio. E che onore che provo per questa cosa!

E un giorno ti piacerebbe allenare?

“Servirà una vera e propria opera di convincimento. Ho sempre detto che quando mi ritiro mi ritiro, -that’s it-, basta, finito tutto. Poi magari devo ritirarmi e uscire dal professionismo per desiderare di rientrarci dalla porta del coaching. Ma per ora no, è un secco no. Poi boh il mio corpo non è più lo stesso di una volta. Ad esempio quando segno una tripletta o una meta che decide una partita, devo fare un backflip. Ma ad oggi mi sento un po’ meno spavaldo.”

Se potessi, giocheresti per l’Italia?

“Ti confesso mi piacerebbe molto giocare con l’Italia, ma purtroppo non posso. Ho giocato a Sevens in Sud Africa, un po’ come Riera in Argentina, e per questo non possiamo giocare per l’Italia perché non abbiamo parenti italiani. Lui ha anche il passaporto italiano ma avendo i caps con l’Argentina Sevens non può. Se potessi lo farei volentierissimo.”

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