“Sont les filles de la Rochelle
Ont armé un bâtiment
Ont armé un bâtiment
Pour aller faire la course
Dedans les mers du Levant”
La Rochelle è forse la città francese con l’identità non solo marittima, ma più spiccatamente oceanica. La Rochelle, poco meno di 80.000 abitanti, una storia tutta particolare, fatta di legami storici col mondo anglosassone, di marinai e di tradizionale opposizione al potere centrale (vuoi anche per la comunità protestante). La Rochelle che, a partire gli anni 10 del XXI secolo, ha portato sullo scenario rugbistico europeo una squadra che poteva essere definita un underdog rispetto ai più blasonati e vincenti club d’Oltralpe (su tutti il meraviglioso e ricchissimo Stade Toulousain di Dupont e Ntamack), ma che oggi ha in bacheca una Heineken Cup vinta contro Leinster nel 2022 e ha comprato casa nei piani più alti delle competizioni a cui partecipa. In poco più di un decennio una società molto ricca di storia (il club sportivo Stade Rochelais venne fondato nel 1896, la squadra di rugby nel 1902, per opera del Console degli Stati Uniti in città e futuro presidente del club, George Henry Jackson), ma infinitamente meno vincente dei grandi club parigini o del sudovest di Francia, è salita alla ribalta della palla ovale internazionale, prima attraverso un gioco fisico che faceva di una mischia di autocarri il suo fiore all’occhiello, oggi con uno dei laboratori più interessanti in termini di gioco. I protagonisti di questa esperienza arrivano, guarda caso, da isole di vari oceani o hanno legami più o meno diretti con quel mondo anglosassone che da George Jackson va a inserirsi nell’identità del club. Perché La Rochelle non avrà la grandeur della capitale, le bacheche gonfie di trofei dei club dell’Aquitania o lo strapotere economico di Tolone e Montpellier, ma La Rochelle, anche in questo è altro. E come nella canzone “Les filles de La Rochelle” ha armato una nave per sorprendere gli altri team europei.
L’imbarco
Domenica 25 maggio 2014, stadio Chaban-Delmas di Bordeaux. Il cronometro segna precisamente 80:00 quando il mediano di mischia strappa la palla da una ruck a pochi metri dalla linea laterale, ruota il corpo verso destra, calcia l’ovale in tribuna. Al cronometro 80:01 si alza il boato. Lo Stade Rochelais batte Agen 31 a 22 dopo una partita dominata nel prima tempo (31-3) e quasi sfuggita nel secondo (parziale 0-19). In panchina Patrice Collazo, pilone ex bandiera dello Stade Toulousain, accolto nel 2011 come giovane tecnico emergente con l’obiettivo di far risalire la squadra in Top 14 il più velocemente possibile dopo la retrocessione. Collazo, insieme all’allenatore dei trequarti Fabrice Ribeyrolles, mette in campo una squadra molto pesante che vede nel dominio degli avanti nelle fasi statiche e nel gioco aperto il suo marchio di fabbrica. Insieme ai giocatori d’esperienza, la “cantera” dei gialloneri è formata dai nomi che diventeranno la spina dorsale nella squadra negli anni: Uini Atonio, Kevin Gourdon, Sazy e Levani Botia. Quest’ultimo, centro/ala/flanker figiano con un CV che recita “secondino” a Suva, oltre a essere diventato una bandiera e ancora oggi un giocatore paradigmatico è in qualche modo legato marginalmente all’Italia: il suo acquisto (facilitato dall’ala internazionale fijana Sireli Bobo) fu giustificato dalla necessità di sostituire un altro centro infortunato, tale Gonzalo Canale…

Il Rochellese
Artefice della strategia di rilancio del club è Vincent Merling, ex terza linea dello Stade Rochelais negli anni ’70, presidente dal 1991, prima e durante una carriera come imprenditore del caffè. Quando al termine della stagione 2010-11 la squadra retrocede in Pro D2 si fa promotore di un piano quinquennale, “Grandir Ensemble 2015”. Obbiettivo: piantare le radici per far entrare il club nei grandi di Francia, attraverso l’ampliamento dello stadio Marcel Deflandre, il raggiungimento di un budget di 15 milioni di euro, un rafforzamento del capitale sociale e la costruzione di una squadra in cui almeno il 30% dei giocatori provengano dai centri di formazione del club (i c.d. Crabos). Con il raggiungimento degli obiettivi del primo quinquennio, il 27 giugno 2016 il club rilancia un secondo piano di crescita, il Projet 2020 “Écrire notre histoire”, basato su quattro assi di sviluppo:
- Diventare protagonista del Top 14 e sviluppare in centro di formazione in un centro di eccellenza
- Potenziare economicamente il club e il suo budget
- Potenziamento dello stadio e costruzione del centro sportivo Apivia Parc
- Rafforzamento dell’identità del marchio, attraverso un nuovo logo e la rimozione della parola “Atlantique” dal nome sociale).
Un modello di crescita sostenibile e fortemente radicato nella città e nel territorio o, citando Merling, “une communion générale extraordinaire”, che si propone di competere con gli “alpha-dog” del Top 14 e delle coppe europee, con la famosa miscela che ogni tifoso, di ogni squadra, di ogni sport, di ogni paese del mondo aspira, ama sentirsi raccontare, ma che spesso non corrisponde ai fatti: giovani fatti in casa attraverso un centro di formazione d’eccellenza, pescare giovani di valore in quella miniera d’oro che sono le serie minori francesi, mettere nel mirino nomi molto pesanti (ad esempio Victor Vito, Brice Dulin e Will Skelton), investire su giocatori con voglia di rilancio (su tutti Plisson, passato la scorsa estate a Clermont). E sarà proprio da una squadra della Fédérale 1, terza serie francese, la FC Auch, club di un centro di poco più di 20.000 abitanti a un’ora e mezza di macchina da Tolosa, che lo Stade Rochelais porterà in riva all’Atlantico il giocatore probabilmente più forte nel suo ruolo al mondo e capitano della compagine giallonera.

L’anglo-francese
Gregory Alldritt sta a La Rochelle in modo quasi eponimico: nella città dei grandi commerci con l’Atlantico, i legami con il mondo anglosassone e culla della Francia ugonotta tanto vicina al puritanesimo inglese del XVII secolo, il capitano è uno scozzese (di padre) franco-italiano (di madre) con doppio passaporto (si, in Francia c’è lo ius soli, fra le altre cose). Esordisce in Fed1 con la FC Auch, in una squadra che poteva schierarlo insieme ad Antoine Dupont, Antoine Jelonch e Pierre Bourgarit, tutti nazionali francesi e l’ultimo suo compagno di club. Quando viene acquistato nel 2017 (nel momento in cui l’Auch fallisce e i suoi giovani migrano nelle formazioni della Top 14 di zona, chiedere al Castres) La Rochelle è nel pieno del suo processo di crescita: due salvezze al nono posto nel 2014-15 e nel 2015-16, un sorprendente primo posto alla fine della stagione regolamentare prima dei playoff nel 2016-17 e il record di 11 risultati utili consecutivi in campionato (battuto nel 2019 dallo… Stade Toulousain). Il cammino viene interrotto in semi finale da un drop all’ultimo minuto dell’apertura del RC Toulon, Anthony Belleau, che fissa il risultato sul 18-15 per la squadra della Rade. In Europa la crescita c’è, ma anche in questo caso è un’altra semifinale a interrompere l’“histoire” degli atlantici: nell’unica sconfitta di tutta la stagione al Marcel Deflandre in casa (nota a margine: un fortino pressoché inespugnabile negli anni, statistiche alla mano), passa Gloucester 16-14 con Billy Burns, oggi a Ulster, nei panni del macellaio dei Charentais con tre calci e una meta trasformata per i Cherry and White.

Il 21enne Alldritt atterra in una squadra sicuramente in ascesa nel panorama rugbistico nazionale ed europeo (perdere due finali per 2+3 punti di differenza stimola in qualsiasi persona dotata di un minimo di cuore molta empatia) dopo l’esperienza di due anni ad Auch. Di fronte a lui a numero 8 della squadra trova il veterano Kevin Gourdon e Victor Vito (internazionale neozelandese 33 volte All Black, 100 presenze in Super Rugby con gli Hurricanes, due coppe del mondo in bacheca, nessun ascendete campano nonostante cognome). Nella stagione 2017-18, che si conclude con un settimo posto in campionato e un’onorevole eliminazione a opera degli Scarlets in Champions Cup, dopo un primo posto nel girone, Alldritt colleziona 10 presenze e una meta, fornendo ottime prestazioni nel ruolo di terza-centro. Ma è proprio alla fine della stagione che, contestualmente, si conclude l’era Collazo, che lascia il club dopo sette stagioni in cui ha portato lo Stade da una dimensione di alta classifica in PRO D2, ai vertici del campionato nazionale e della maggiore coppa europea. Andrà a svernare a Tolone, in un momento di grande cambiamento per il club della Rade che stava assistendo alla progressiva uscita di scena dal rugby a XV del presidente/magnate/esteta/padre dell’all star team tri-campione d’Europa Mourad Boudjellal, senza tuttavia trovare gli stessi allori che aveva ricevuto sulle sponde dell’Atlantico.

Il nuovo direttore sportivo diventa Jono Gibbes, neozelandese, ex-seconda linea 8 volte All Black, tre volte campione d’Europa e bicampione di Pro12 come allenatore degli avanti del Leinster, campione di Francia nello stesso ruolo con l’ASM Clermont nel 2016-17, oltre a due brevi esperienze tra Ulster e Waikato. Gibbes da fiducia al nativo di Tolosa, schierandolo regolarmente come flanker nella prima parte della stagione e venendo ripagato da quelle che sono le “specialità” della casa: ball-carrying, metri percorsi, difensori battuti e mete (6 nelle prima 15 presenze). Contestualmente Brunel lo convoca in nazionale, come backup all’8 titolare Louis Picamoles. Cinque presenze, due mete alla Scozia, maglia da titolare con l’Italia. Torna a La Rochelle e lo inchiodano in terza linea tutte le partite che seguono. Un’altra semifinale persa in Francia (sempre Tolosa) e una finale in Challenge Cup a Newcastle contro Clermont. Persa. A 22 anni Gregory è una realtà del rugby transalpino e Brunel persevera chiamandolo nel team per la coppa del mondo 2019. Gioca, titolare, con la numero 8, rubando il posto a Picamoles, convincendo anche in nazionale. Scende in campo in tutte le quattro partite dei Bleus fino all’eliminazione ai quarti. Dall’esordio in maglia giallo nera contro Castres nel novembre 2019, Alldritt, che fino all’anno precedente giocava in Fédérale 1, strappa la titolarità in qualsiasi squadra giochi imponendo la sua intelligenza rugbistica e la sua fisicità, diventando se non l’incubo di tutte le difese che lo affrontano, almeno un grande grattacapo da affrontare. Ma, forse, quella pepita pescata dalla dirigenza in Aquitania ha cominciato a esprimersi al meglio solo grazie a un altro personaggio imprescindibile nella ciurma degli uomini di La Rochelle.

L’irlandese
Nel 2019 lo staff di Jono Gibbes vede partire l’ultima eredità dell’era Collazo con l’addio dell’allenatore dei trequarti Xavier Garbajosa, sostituito dall’Assistant back coach dei Crusaders. La franchigia neozelandese di Christchurch è allenata da Scott Robertson, personaggio che nella vita eccelle in due cose particolari: nel vincere ogni torneo si sono inventati nell’emisfero australe dal 2017 a oggi (2 Super Rugby, 2 Super Rugby Aotearoa, 1 Super Rugby Pacific) e nella break-dance con cui festeggia i suddetti titoli. Tali asset lo hanno appena portato a essere nominato head coach degli All Blacks a partire dal 2024. L’Assistant Back Coach di Robertson fino al 2019 è un personaggio a sua volta peculiare nella sua carriera rugbistica: nasce a Sacramento, città che si affaccia su un altro oceano, ma da famiglia irlandese; cresce a Cork, che dal mare è separata solo da un fiordo e, prima di inaugurare la sua carriera da allenatore vincendo come defence coach un Top14 con il Racing 92, può vantare una bacheca con ogni titolo di club con la maglia del Munster, una Six Nations Cup, più tanti trofei individuali da scriverci una bio a tema. Ronan John Ross O’Gara, 128 presenze e 1083 punti con l’Irlanda, arriva a La Rochelle per prendersi cura dei trequarti di una squadra che aveva fatto di una mischia distruttiva il suo marchio di fabbrica. Qualche mese di lavoro e il rugby entra in letargo come il mondo intero per la pandemia di COVID. Con la stagione 2020-21 i gialloneri tornano in campo e il lavoro di O’Gara si comincia a vedere in modo sensibile: un gioco arioso, continuo, capace di unire cariche martellanti alla ricerca dell’offload e dei sostegni, dando continuità alla manovra d’attacco. La Rochelle procede sia in Top 14, sia in Heineken Cup, e, il 2 aprile 2021, a conclusione della vittoria per 27 a 16 su Gloucester, Ronan, che ha girato il mondo anche rugbisticamente, espone alla comunità della palla ovale in un’intervista iconica quello che per lui è il gioco, quali i principi, quali gli obiettivi e perché La Rochelle, con giocatori come Alldritt, si sta spianando la strada ai successi che la attendono.

Keep Ball Alive: velocità, spazio, continuità
“It’s a mindset”, un approccio dove “there’s a big emphasis on identifying space… we are trying to get speed on the ball and keeping it alive”. Complice l’esperienza del Super Rugby dove la continuità e la velocità del gioco sono un principio irrinunciabile, soprattutto nel gioco dei Crusader, O’Gara elabora una visione del gioco che vuole superare quella che viene considerata “ruck-focused” della scuola europea. Piuttosto di rallentare l’attacco secondo l’antico adagio “meglio fare un punto sicuro, mettere a disposizione un pallone pulito e aprire” viene ricercata l’evasione alla pressione avversaria a partire dalla giocata del singolo che, eludendo anche parzialmente il placcaggio, ricicla al compagno. Gioco rischioso, ma “worthy”, richiede oltre all’organizzazione offensiva collettiva maniacale anche una buona dose di decision making del singolo atleta (forzare/non forzare; andare/non andare; scaricare un attimo prima o un attimo dopo) incoraggiata da una presa di coscienza delle singole doti di gestione del pallone e da una visione dell’allenatore secondo cui “there are always decisions to be made and something you’ll never get right, but if we get most of them right, you have a good chance […]”.
Aldilà degli assunti teorici e delle asserzioni più o meno ispirazionali dell’allenatore, il gioco di La Rochelle si caratterizza effettivamente sui principi di velocità, spazio e continuità nel gioco individuale, senza dimenticare però un’organizzazione puntuale nelle fasi di possesso e di non possesso. Non è quindi un caso che la formazione atlantica, solidamente tra i grandi nell’Olimpo del rugby transalpino, nella stagione 2020-2021 (stagione nella quale, per inciso, Alldritt e Bourgarit segnano rispettivamente 10 e 9 mete in campionato, migliori avanti della competizione per punti segnati) raggiunga le finali sia di Heineken Cup, sia del Top 14. La sfortuna, in entrambe le competizioni, fa incrociare i gialloneri con quella gioiosa macchina da guerra che è lo Stade Toulousain di Antoine Dupont. Il 22 maggio al Twickenham Stadium finisce 22-17 per i Rouges et Noires di Tolosa. Un mese più tardi, il 25 giugno allo Stade de France di Saint Denis, altra sconfitta per gli atlantici 18-8.
Al termine della stagione Jono Gibbes lascia La Rochelle firmando per l’ASM Clermont e O’Gara, il cui ruolo si era già allargato alla fase difensiva (che, come detto prima, gli aveva fruttato un Bouclier de Brennus con il Racing 92) riceve il posto di head coach, con la possibilità di applicare a fondo i principi sopra enunciati alla squadra nel suo insieme. La stagione 2021-22 sarà un piccolo capolavoro nel percorso degli atlantici, il cui gioco sarà ben radicato su due concetti: attacco e contrattacco.

Contrattacco: rush-defence e recupero rapido
Alla luce delle esperienze in Top 14 e nel Super Rugby, O’Gara organizza la difesa di La Rochelle stressandone l’aggressività e rimanendo fedele al principio che la palla, per essere tenuta viva, deve innanzitutto essere in mano alla propria squadra. In occasione dei calci di inizio/di restart, i gialloneri si schierano in una formazione 12+3, con una prima linea composta da mini-unit di 2 giocatori a formare una prima linea di difesa e 3 ricevitori profondi che coprano tutta la larghezza del campo. Il 12+3 permette, in generale, un recupero più rapido dei palloni calciati, che vengono immediatamente ricalciati in profondità, non solo per “liberare” la propria metà campo, ma anche per portare pressione con la difesa ai ricevitori avversari, nel tentativo di forzare un errore o una punizione a favore. Mentre sotto la guida di Gibbs la salita della linea difensiva privilegiava un movimento compatto senza un utilizzo di spie sul ricevitore, contendendo il pallone in un secondo momento grazie a una mischia dominante e agli eccellenti fetcher in squadra (su tutti Victor Vito, Levani Botia e, ovviamente, Gregory Alldritt), O’Gara “esacerba” il concetto di pressione. La risalita rapida della difesa, unita alle spie che si staccano dalla linea a cercare il ricevitore, mira a obbligare la squadra avversaria a ricalciare in profondità: nei propri 22 gli schemi più comuni diventano il suddetto 12+3 o un 13+2, mentre quando l’avversario calcia dai propri 22 la squadra cambia lo schema in un 11+4. Questo tipo di posizionamento, seguendo il ragionamento, garantisce una copertura totale e molto rapida del campo e transizioni estremamente veloci all’attacco su tutta la larghezza dello schieramento. Il secondo scenario è quello della cosiddetta “organised chase”: una spia sale rapida sul ricevitore seguita da 2/3 sostegni con abilità nel fetching; si tenta di forzare l’errore o una contro-ruck veloce (in particolare contro squadre che difendono con un 13+2) e, quindi, un cambio palla.

Attacco: avanti a logorare, trequarti a finire
Riconquistata la palla i giallo-verdi puntano tutto sulla velocità di avanzamento attraverso attacchi degli avanti, una delle mischie più pesanti al mondo, per dare modo alla linea dei trequarti di riformarsi. I primi 8 uomini di La Rochelle si schierano solitamente su un 1-3-2-2 molto dinamico, conducendo cariche estremamente abrasive in campo aperto, minimizzando i tempi delle ruck con un’uscita rapida del pallone per la mini-unit successiva o il famoso riciclo con offload. Nel caso il possesso del pallone avvenga nei propri 22, in particolare, i giallo-neri ricercano la formazione di una ruck stabile in mezzo al campo garantendo un’uscita della palla in asse al mediano d’apertura che ha opzioni per calciare su entrambi i lati del campo. Dopodiché la difesa sale, forza l’errore, eccetera. Nel caso di giocate da mischia chiusa, la squadra utilizza molto spesso le ripartenze del numero 8 seguito dal mediano di mischia e dalle terze linee, offrendo le diverse opzioni di gioco sopra esposte: ruck veloce, riciclo in continuità. Riguardo alle ripartenze da lineout si possono distinguere le situazioni di gioco su tre macro-zone del campo:
- Propria metà campo (meta-linea dei 10m): vengono chiamate touche a 5 con i 2 avanti in eccesso schierati in mezzo al campo ad attendere il pallone. La mini-unit carica per vie centrali per settare una kicking-platform centrale, in modo da poter lanciare il contrattacco su entrambi i lati
- Zona centrocampo: si chiama un lineout a 7 (la famosissima “completa, arbitro”) in modo da inchiodare l’intera mischia avversaria e garantire più spazio di attacco sulla larghezza ai trequarti. Dato statistico a supporto, la maggior parte delle mete durante l’Heineken Cup 2021 sono partire da questa giocata
- Nei 22 avversari: 6 uomini dentro, un avanti come primo ricevitore per creare una prima maul in uscita lontana dalla linea laterale, oppure a supporto dell’ala sul lato aperto per creare un mismatch con l’ala avversaria

Come è facilmente intuibile, questo tipo di gioco di movimento implica l’utilizzo di avanti molto mobili, in grado di sostenere le avanzate della linea dei trequarti, oltre a essere estremamente efficace nella difesa dei punti di incontro, per garantire la velocità di uscita del pallone e difendere (spesso con un solo sostegno eventuali contro-ruck). Un tipo di gioco rischioso nella sua velocità, che non casualmente ha visto come interpreti principali nelle passate stagioni la cabina di regia dei mediani Tawera Kerr-Barlow e Ihaia West, entrambi neozelandesi, entrambi cresciuti rugbisticamente nel Super Rugby. Così come non stupiscono le campagne di reclutamento sui trequarti delle ultime stagioni a guida O’Gara, con gli inserimenti di nomi come Rhule, Dulin, Danty, Leyds e Teddy Thomas: tutti trequarti dotati di grande fisicità e atletismo, capaci di integrarsi perfettamente con i movimenti degli avanti. Menzione speciale in questo assemblaggio va poi riconosciuta a un giocatore di lungo corso nella compagine Charentaise, quel Levani Botia approdato sulle sponde dell’Atlantico come joker médical di Gonzalo Canale nel fatidico 2014. Se Alldritt incarna lo spirito del gioco dei giallo-neri, Botia è lo Stade Rochelais in un metro e 82 per poco più di 100 kili di peso. La sua capacità di essersi giostrato tra ruolo di centro e terza linea ne fa il “giocatore totale” nel gioco del coach di Cork, capace di interpretare al meglio il ruolo di decisore in quella sottilissima linea che è la transizione attacco/contrattacco, grazie alle abilità palla in mano (44 presenze con la maglia deile Fiji Seven; 20 nella nazionale a XV, non per caso) e nella difesa, come primo placcatore o fetcher.
Schierato all’inizio della carriera di O’Gara come allenatore (“I don’t think there’s an inside centre in the world who can play the way he plays” al termine della famosa gara contro Gloucester dell’aprile 2021) oggi ricopre stabilmente il ruolo di flanker, da quando, a partire dalla stagione scorsa, le assenze di Gourdon, Vito e Liebenberg (tutti poi ritiratisi dal rugby giocato) richiesero allo staff tecnico un’idea brillante. La gestione di Botia è importante anche da un diverso punto di vista per capire la filosofia di gioco e di squadra di La Rochelle. Sempre nella famosa intervista post-Gloucester venne sottolineato il concetto chiave alla base del team management: “You have got to undestand the person first. Per permettere i giocatori di performare al massimo delle loro possibilità e di prendersi serenamente dei rischi è fondamentale la comprensione dell’individualità del singolo e, per l’allenatore, del comportamento da tenere per metterlo nelle migliori condizioni. Da questa premessa viene poi sviluppata l’intelligenza tattica e la capacità come team.

L’arrembaggio
Il finale della stagione 2021-22 è bollente a La Rochelle: alla qualificazione ai playoff del Top14 al quinto posto nella stagione regolamentare, in Champions Cup la ciurma giallonera termina la fase a gironi da imbattuta (3 vittorie, un pareggio) e, tra aprile e maggio, affronta ottavi, quarti e semifinale. La Rochelle supera l’Union Bordeaux Bègles (per gli amici UBB), Montpellier Hérault Rugby (per gli amici MHR) e il Racing 92 (il Racing non ha amici), in un percorso singolarmente tutto francese verso la semifinale, che fa capire quanto il campionato d’oltralpe sia, molto probabilmente, il campionato più competitivo e probante almeno dell’Emisfero Nord. Dati i trascorsi storici fortunatamente vengono evitate le vincitrici delle precedenti finali in Challenge e Champions Cup: Clermont e, soprattutto, Stade Toulosain, che viene demolito in semifinale. Che ci fossero tutti gli elementi per i quali quella semifinale avesse il profumo di una finale non c’è dubbio, dato che si affrontavano le due squadre che insieme hanno in bacheca 9 Champions Cup. Se poi la vincitrice batte 40 a 17 i campioni in carica della jeunesse dorade del rugby francese la finale sembra una formalità. Se poi in finale schiera quattordici nazionali irlandesi nel XV di partenza, si può ragionevolmente rimanere sorpresi del fatto che un club che nella stagione 2010-11 giocava in ProD2 si trovi a incrociare in finale chi, nella stessa stagione, vinceva la sua seconda Champions Cup. La partita disputata allo Stade Vélodrome di Marsiglia il 28 maggio 2022 tra lo Stade Rochelais e il Leinster vede l’applicazione dei principi del gioco di O’Gara contro i più forti dell’Emisfero nord (in termini statistici gli irlandesi si posizionavano al primo posto per carries, line breaks, difensori battuti e percentuale di placcaggi riusciti in Champions Cup nella stagione).

La scena del delitto viene organizzata sulla base di:
- Step 1: Ricerca dello spazio. Ihaia West, apertura di giornata, utilizza sistematicamente i calci a scavalcare per superare la rush defence irlandese, facendo diventare un vantaggio la salita rapida del team di Dublino per i trequarti lanciati a recuperare i calci. Non tutti i calci vanno a buon fine, ma obbligano Leinster a guardarsi costantemente alle spalle, rallentando la salita difensiva e dando più ossigeno all’attacco giallo-nero.
- Step 2: Keep the ball alive. Nell’occasione della meta di Rhule, l’ala garantisce un sostegno all’esterno all’attacco di Leyds (uno che di offload se ne intende e che sarà Man of the Match della gara), il quale si infila nello spazio tra O’Brien e Furlong superando la prima linea di difesa e scaricando all’ala sudafricana che ha tempo (e spazio) di puntare e superare Hugo Keenan e andare a marcare.
- Step 3: Contrattacco, forzando gli errori. È molto difficile vedere sbagliare una giocata a Johnny Sexton, ma la pressione esercitata sui ricevitori dalla formazione di O’Gara sui calci lunghi è stata una costante della finale, obbligando l’apertura, ma in generale i giocatori di Leinster, ad affrettare lo scarico del pallone per evitare un placcaggio delle spie. La meta di Bourgarit, che al 60’ riporta i gialloneri sotto al break dal 18-10, nasce da una salita difensiva forsennata del mediano di mischia Thomas Berjon proprio su Sexton obbligandolo a un offload su un Keenan molto decentrato con la linea difensiva risalita. L’estremo di Leinster ha poco tempo per pensare e spazio dove andare, parte palla in mano, viene placcato dagli avanti avversari, ruck disperata per evitare il tenuto, sealing-off di Gibson-Park, punizione, lineout ai 5 metri, carretto, meta.
Da non dimenticare che La Rochelle ha si offerto 7 calci di punizione a Leinster (tutti tra i pali), ma non ha concesso nessuna meta agli irlandesi nonostante minuti di cariche furiose, contro le tre messe a segno dai francesi (l’ultima, che deciderà il match, segnata dal mediano di mischia subentrante Retière dopo una serie di pick’n’go sulla linea di meta al 78’ minuto).

Lo Stade Rochelais, con un presidente super-autoctono, un allenatore irlandese che ha girato in lungo e in largo il mondo ovale, un capitano e uomo copertina anglo-francese e una ciurma di francesi, argentini, sudafricani, australiani, neozelandesi e fijani, dieci stagioni precise dopo essersi dati l’obiettivo di diventare grandi conclude la campagna nei mari europei col bottino più prezioso dopo una finale persa solo l’anno precedente. In Top14 non avranno lo stesso successo, finendo per incontrare la bête noire Tolosa ai quarti di finale e venendo sconfitti 33-28, nonostante un parziale di 21-12 nel secondo tempo dopo una prima frazione disastrosa (21-7 per i Rouges et Noires). Il Bouclier de Brennus finirà nella bacheca di Montpellier (“On avait besoin d’un Italien pour gagner le Brennus” citando l’apertura degli Heraultais, Paolo Garbisi) anche se, nel campionato delle giovanili francesi (o Espoirs) il titolo finirà proprio al Vieux-Port sull’Atlantico, a testimoniare la bontà del lavoro anche in prospettiva.
La stagione 2022-23 è oggi nel vivo e il team di O’Gara ha visto partire o ritirarsi dal rugby diversi protagonisti della stagione dell’ascesa con l’arrivo di nomi “pesanti”: dall’ala Teddy Thomas (internazionale francese) al centro Ulupano Seuteni (secondo miglior marcatore della passata stagione di campionato con 10 mete), dall’apertura Antoine Hastoy (secondo miglior realizzatore del Top14 chiamato a sostituire Ihaia West, temporaneamente domiciliato a Tolone, ma di ritorno la prossima stagione) al flanker Yoan Tanga (nazionale francese) e alla seconda linea Ultan Dillane (nazionale irlandese e veterano di Connacht). Sulla carta la squadra risulta forse ancora più quadrata rispetto agli scorsi anni e il roster sempre più funzionale a quella KBA philosophy che Ronan O’Gara ha fatto germogliare con splendidi risultati, nel rispetto di un approccio quasi kaizen, dove per crescere è indispensabile il cambiamento, che implica per forza una negazione del passato. Sia il Top 14 che la Champions Cup hanno un calendario ancora lungo e per valutare una stagione è indispensabile aspettarne la conclusione, ma il percorso di crescita, la programmazione e la perseveranza della compagine giallonera sono degli assunti supportati dai fatti. Si dice che l’ossessione di Vincent Merling sia quello di conquistare il Bouclier de Brennus, forse anche per quella dimensione molto campanilistica che hanno in Francia di dover innanzitutto primeggiare nel cortile di casa per potersi godere profondamente la vittoria. Ma si sa che i corsari non sono mai sazi di bottino, e quello migliore è quello che troverai in un mare che non hai già conquistato.
Bellissimo articolo. Un solo piccolo appunto: non “dorade”, che è l’orata…
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Ciao Enrico, grazie mille del commento è la seconda volta grazie per aver scovato il refuso 🙂
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