L’ultima volta che Munster ha celebrato un titolo celtico, era l’anno in cui Benetton e Aironi entravano nel torneo (2010/11). In campo c’era Ronan O’Gara, il capitano di Leinster era Leo Cullen, quello del Benetton era Pavanello.
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Un’attesa durata un decennio
Dodici lunghi anni di attesa, ma non quell’attesa dove arrivi a metà classifica e pensi di non avere più ambizioni. Peggio: quel tipo di attesa dove spesso arrivi in finale (o quasi) e la perdi amaramente, ingoiando il più amaro dei bocconi. Dall’inizio dell’era “celtica” (2001/02) Munster ha perso ben 5 finali di campionato. Contando che in bacheca ha 4 trofei fra Celtic, Magners, Pro12, Pro14 e URC, questo numero avrebbe potuto essere doppio. Simile destino anche in Heineken Cup, dove Munster ha vinto due volte (2005/06 e 2007/08) ma perso altrettante finali. Dalle parti di Limerick e Cork ci sono quasi abituati a questa sensazione, per loro stessa ammissione. Per parafrasare la celebre uscita di Gary Lineker a Italia ’90: “Il rugby è un gioco semplice: 30 uomini rincorrono un pallone per 80 minuti, e alla fine Leinster vince“. Curiosamente, tuttavia, gli odiati cugini di Leinster detengono da poco il record per il numero di finali perse per una squadra irlandese, avendo perso 3 finali negli ultimi 5 anni. A queste si aggiungono anche le due semifinali di URC perse di fila, entrambe per un punto, ed entrambe in casa, perché proprio due settimane fa Munster ha sconfitto Leinster all’Aviva di Dublino nelle semifinali di URC, imponendosi per 15-16 e vincendo l’incontro con un drop goal di Jack Crowley che a molti ha ricordato i fasti del primo decennio del 2000, quando quei calci li metteva Ronan O’Gara. L’attuale allenatore dello Stade Rochelais campione d’Europa ha militato con la maglia rossa dal 1997 al 2013, per un totale di 240 caps e più di 2600 punti segnati (fonte: Wikipedia). A La Rochelle, con lui, anche un altro giocatore di quel Munster del 2011: Sean Dougall, che ricopre il ruolo di contact skills coach e assistant strength and conditioning coach. Sembra quasi un segno del destino: Ronan O’Gara e soci vincono la Champions Cup per due anni di fila, battendo Leinster in finale per due anni di fila, e nello stesso momento Munster risorge dalle ceneri come l’araba fenice e vince lo URC senza nemmeno avere l’home advantage (Glasgow, Leinster, Stormers fuori casa ai playoff). Sembra quasi che qualcuno a Limerick abbia imitato Goku, chiedendo l’energia di tutti gli abitanti del sud dell’Irlanda per generare l’energia sferica più potente di sempre e sconfiggere qualsiasi nemico. Per la mistica del sud dell’Irlanda era tutto apparecchiato per vedere i pianeti allinearsi.
Dei playoff da protagonista
Quest’anno Munster è arrivata ai playoff da quinta in classifica. I playoff URC funzionano in modo simile a quelli di una conference NBA: la prima gioca contro l’ottava, la seconda contro la settima, e così via. Gli scontri sono secchi, e il favore del campo lo ottiene chi si è classificato meglio. Nel caso di Munster, la prima sfida è stata contro i Glasgow Warriors di Franco Smith, squadra-incubo di chiunque in questo URC per le capacità atletiche e tecniche dei suoi trequarti. La sfida ha però visto un cartellino rosso dato al numero 10 scozzese per un’entrataccia sconsiderata e Munster è stata brava a portare a casa il match per 5-14. Solo un mesetto prima lo scontro al Thomond Park era finito 26-38 per gli scozzesi. Lo Scotstoun Stadium di Glasgow ammutolito ha dunque visto svanire le sue chances di semifinale per mano di un Munster tutt’altro che spettacolare ma solido e organizzato. La semifinale li ha visti di fronte a Leinster, i nemici di sempre, in un Aviva Stadium con quasi 30,000 spettatori paganti. Il match è stato uno dei più begli incontri di rugby degli ultimi anni: fisico, tattica, e il dramma finale con il drop-goal di Jack Crowley che si infila fra i pali e consente a Munster di vincere la partita nei minuti seguenti. In finale, gli Stormers a Cape Town. Sembra un’impresa impossibile, ma anche in questo caso gli uomini di Rowntree mettono sul campo tutto, anche quello che non sapevano di avere, e portano a casa il match per 14-19. Anche in questo caso Jack Crowley è stato decisivo con una trasformazione tutt’altro che facile (“he has ice in his veins!”), ma i veri protagonisti sono state le terze linee e i centri dei rossi. Gavin Coombes, John Hodnett (Man of the Match), Peter O’Mahony, Malakai Fekitoa e Antoine Frisch hanno fatto una prova fisica degna di un incontro di MMA, lottando su ogni breakdown e inserendosi a tutta birra in ogni buco lasciato dalla difesa dei vee-pees. In particolare Fekitoa, leone biancoverde dal prossimo anno, è stato autore di una serie di placcaggi infernali e di un turnover vinto essenziale per rovesciare l’inerzia della gara.
Team | P | W | D | L | PF | PA | PD | TF | TA | Try bonus | Losing bonus | Pts | ||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
1 | Leinster | 18 | 16 | 1 | 1 | 580 | 363 | +217 | 82 | 42 | 13 | 0 | 79 | |
2 | Ulster | 18 | 13 | 0 | 5 | 554 | 378 | +176 | 79 | 45 | 12 | 4 | 68 | |
3 | Stormers | 18 | 12 | 2 | 4 | 531 | 391 | +140 | 69 | 48 | 13 | 3 | 68 | |
4 | Glasgow Warriors | 18 | 13 | 0 | 5 | 498 | 403 | +95 | 72 | 53 | 11 | 0 | 65 | |
5 | Munster | 18 | 10 | 1 | 7 | 470 | 357 | +113 | 61 | 43 | 9 | 4 | 55 | |
6 | Bulls | 18 | 10 | 0 | 8 | 613 | 448 | +165 | 78 | 52 | 11 | 2 | 53 | |
7 | Connacht | 18 | 10 | 0 | 8 | 456 | 426 | +30 | 64 | 58 | 7 | 3 | 50 | |
8 | Sharks | 18 | 9 | 1 | 8 | 486 | 480 | +6 | 63 | 61 | 8 | 2 | 48 | |
9 | Lions | 18 | 9 | 0 | 9 | 454 | 538 | –84 | 55 | 75 | 7 | 2 | 45 | |
10 | Cardiff | 18 | 9 | 0 | 9 | 425 | 470 | –45 | 52 | 64 | 6 | 2 | 44 | |
11 | Benetton | 18 | 8 | 0 | 10 | 440 | 533 | –93 | 56 | 74 | 8 | 1 | 41 | |
12 | Edinburgh | 18 | 6 | 0 | 12 | 466 | 467 | –1 | 70 | 62 | 8 | 6 | 38 | |
13 | Ospreys | 18 | 5 | 2 | 11 | 400 | 514 | –114 | 52 | 70 | 6 | 5 | 35 | |
14 | Scarlets | 18 | 6 | 1 | 11 | 435 | 506 | –71 | 55 | 65 | 5 | 3 | 34 | |
15 | Dragons | 18 | 4 | 0 | 14 | 391 | 534 | –143 | 46 | 70 | 5 | 3 | 24 | |
16 | Zebre Parma | 18 | 0 | 0 | 18 | 343 | 734 | –391 | 50 | 105 | 6 | 5 | 11 | |
L’ultimo successo in campionato
Per dare un senso di quanto tempo è passato, a parte il fatto che in campo c’era O’Gara, possiamo dire anche che il capitano di Leinster era Leo Cullen (ora head coach) e quello del Benetton Rugby era Antonio Pavanello (ora general manager). Nella finale di quell’anno si affrontarono le due rivali di sempre, Leinster e Munster, al Thomond Park di Limerick. Leinster, da poco campione d’Europa, fu ricondotta a più miti consigli con un sonoro 19-9 inflitto dai rossi. Fra le mete segnate da Munster spicca il nome di Keith Earls, e spicca perché proprio Earls è sceso in campo durante la finale contro gli Stormers di questo 2022/23 diventando l’unico giocatore ancora in attività della red army ad aver vinto entrambi i titoli (2011 e 2023). Nei 12 anni passati fra queste due date non è arrivato nessun tipo di argenteria dalle parti di Limerick, pur provandoci. La finale persa contro Leinster nel Pro14 del 2020/21 era una finale di pandemìa, avvenuta in inverno e prematuramente, e forse non ha lasciato il segno che ha lasciato invece quella persa contro gli Scarlets nel 2017 o contro Glasgow nel 2015. Quando sai di essere una grande del rugby, sai di aver compiuto imprese titaniche in passato, hai una bacheca ricca e dei giocatori importanti, è difficile scontrarti ogni giorno con la sconfitta. Finisci a chiederti se il problema non sia effettivamente tu, la tua stessa natura, la tua identità e il tuo modo di fare le cose. È in momenti come questo che viene fuori lo spirito guerriero della red army di Limerick. Non importa quel che succede: you stand up and fight.
Alle origini del mito
Le selezioni provinciali irlandesi vengono fondate nella seconda metà dell’ottocento, (1879 nel caso di Munster). Sono selezioni che avevano e hanno tutt’ora il ruolo di accentrare il meglio del talento locale, rappresentato dai club del rugby di base. Vere e proprie franchigie ante-litteram, un sistema che fin dal principio si è organizzato per creare una struttura piramidale dove il meglio di ogni livello confluisce nell’epicentro. Bisogna andare avanti di quasi cent’anni, al 1978, per incontrare uno dei momenti più importanti della storia del Munster rugby: la vittoria per 12-0 sugli All Blacks (qui un documentario). Fino al 2016, anno in cui l’Irlanda si impose sugli All Blacks a Chicago, quella rimase l’unica vittoria di una squadra irlandese (nazionale o non) sulla Nuova Zelanda. Si tratta di un evento che sta quasi alla radice del mantra munsteriano che recita “to the brave and faithful, nothing is impossible”. Trent’anni dopo la partita venne rigiocata per celebrare la ricorrenza, e a momenti Munster la portò a casa di nuovo, perdendo 18-16 all’ultimo momento. Un’altra celebre vittoria che fa parte dell’epica locale è quella contro l’Australia del 1992, vinta per 22-19 (in un’atmosfera rilassata). Non era la prima vittoria contro i Wallabies, ma quella volta gli australiani erano i campioni del mondo. Una terza vittoria, molto più recente, è quella di Novembre 2022 ottenuta contro gli Springboks XV. Non si trattava del Sud Africa nella sua versione più scintillante ma era comunque una squadra ricca di campioni. La partita finì 28-14 per Munster. La storia di Munster è costellata di eventi come questo: vittorie impossibili, partite incredibili, sconfitte cocenti. Tifare per Munster non è per deboli di cuore.
I tifosi e la “red army”
Tifosi, una parola spesso usata a sproposito nel mondo sportivo. Cos’è un tifoso? È qualsiasi persona che si rechi allo stadio, o è una persona letteralmente malata della squadra che va a vedere? La curiosa omonimìa con il termine clinico (malato di tifo) non aiuta. Certo è che a guardare i 5,000 tifosi giunti a Cape Town dall’Irlanda vien da pensare che l’origine del termine sia patologica. Pare che in greco la parola thyphos significhi anche “ardore”, e non c’è aggettivo migliore per descrivere la passione che traspare dai volti dei tifosi e le tifose del Munster Rugby in ogni occasione in cui ci si gioca qualcosa di importante. Se nel calcio il Teatro dei Sogni (theater of dreams) è l’Old Trafford di Manchester, nel rugby non può che essere il Thomond park di Limerick. Al fischio finale del match contro gli Stormers le telecamere hanno immediatamente virato sul settore ospiti dello stadio, dove si sono visti volti rigati dalle lacrime, urla di gioia, commozione, ma anche incredulità. Eh sì, perché dopo che ne hai perse tante così, anche dopo il fischio finale ti capita di pensare che comunque alla fine vinceranno gli altri. Emblematica l’intervista rilasciata nel post-partita da John Hodnett con a fianco Peter O’Mahony. “Yeah, look, f**k, it’s some win, in fairness, we had it tough”, dice la terza linea appena premiato come Man of the Match, mentre O’Mahony più abituato ai microfoni e alle telecamere si nasconde il volto. C’è però in questo momento tutta la filosofia che si respira dalle parti di Limerick: tempi duri, ma la speranza non è mai scesa, e sono stati premiati.
Uno sguardo al futuro
La vittoria di questo titolo era tutt’altro che scontata per l’armata rossa di Munster, che questa stagione ha perso due capisaldi del suo meccanismo offensivo e difensivo come CJ Stander e Damian De Allende. La perdita di Stander (per ritiro) è stata colmata dalla crescita esponenziale in terza linea di Gavin Coombes, uno dei giocatori più importanti di tutto il torneo. Nel caso di De Allende, invece, il ruolo è stato ricoperto con molta maestria da Malakai Fekitoa, arrivato dalle ceneri dei Wasps. Al termine di questa stagione vedranno partire Fekitoa direzione Treviso e Ben Healy (apertura) direzione Edimburgo, per perseguire la sua futura carriera come giocatore eleggibile per la Scozia. Alle aperture il ruolo sarà spartito da Jack Crowley (astro nascente) e Joey Carbery, che si porta addosso un po’ la fama di promessa non mantenuta. La sensazione è che ai centri con la partenza di Fekitoa manchi quel nome di peso che possa tenere alto il livello di competitività, mentre nel caso dei numeri 10, si tratta semplicemente di una scommessa su un giovane (Crowley) o la conferma di Carbery. Infine, sarà importante per Munster ragionare sui propri profili alle ali. Ben tre giocatori hanno più di 30 anni (Simon Zebo, Keith Earls, Andrew Conway), e qualcosa andrà fatto per svecchiare il reparto. Graham Rowntree, rilevando la squadra da Johann Van Graan di cui era assistente, ha saputo dare un’impronta sua al gruppo-squadra e vincere un titolo che mancava da più di 10 anni. Con la città in festa e i boccali pieni è tempo di guardare avanti e dirsi che forse quella maledizione sulla squadra che molti sottovoce affermavano ci fosse, in fondo, non è mai esistita.
