Non serviva perdere contro di noi a Cardiff all’ultimo minuto durante l’ultimo turno del Sei Nazioni per certificare una situazione difficile all’interno della Welsh Rugby Union: il rugby gallese naviga in acque poco tranquille. Nonostante il buon Sei Nazioni femminile, concluso al terzo posto con due vittorie (Scozia e Irlanda), il movimento si trova in circostanze difficili dal punto di vista economico e la WRU fatica a tenere dalla sua parte i sostenitori e le sostenitrici a causa dei risultati scadenti del 2022. Su tutti l’opinione di Nigel Owens, illustre ex-arbitro famoso in tutto il mondo del rugby, è che il Galles faticherà a superare la fase a gironi della prossima coppa del mondo. La nazionale maggiore maschile ha disputato il peggior torneo degli ultimi 10 anni in termini di risultati, e la nazionale U20 ha faticato a fare di meglio perdendo anch’essa con l’Italia in suolo gallese. Sembra impossibile che la squadra che ha vinto due delle ultime cinque edizioni del Sei Nazioni sia effettivamente in difficoltà, vorremmo noi i vostri problemi, verrebbe da dire da italiano, eppure alcune certezze del Galles si stanno pian piano sgretolando.

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Un ricambio generazionale molto lento

Per vedere se il Galles riesce a produrre talenti con continuità, ho preso in analisi le ultime cinque edizioni del Sei Nazioni. Si tratta sicuramente del contesto più importante per il Galles, visto che la coppa del mondo non è un obbiettivo realistico (nonostante la semifinale 2019). Inoltre, il fatto che il Sei Nazioni sia annuale mi permette di vedere la progressione dei dati in modo più continuo e meno spezzettato. Nell’edizione 2018 del Sei Nazioni il Galles si è classificato al secondo posto. In quella di quest’anno, invece, al quinto. Fra queste due edizioni, a parte due vittorie del torneo (2019 e 2021) ci sono ben 20 giocatori in comune, i quali sono:

  • Adam Beard
  • Alex Cuthbert
  • Alun Wyn Jones
  • Dan Biggar
  • Dillon Lewis
  • Ellis Jenkins
  • Gareth Anscombe
  • Gareth Davies
  • Josh Adams
  • Josh Navidi
  • Liam Williams
  • Owen Watkin
  • Rhys Priestland
  • Ross Moriarty
  • Ryan Elias
  • Seb Davies
  • Taulupe Faletau
  • Tomas Francis
  • Tomos Williams
  • Wyn Jones

Si tratta di nomi importanti che sicuramente tutti quanti conoscete bene. Mi sono a questo punto chiesto quanti di questi giocatori siano, nel giro di quattro anni, passati ad essere riserve di lusso in favore di nuovi e promettenti giovani (e.g. gente come Louis Rees-Zammit). Prendiamo ad esempio la partita giocata contro l’Inghilterra in questa edizione del torneo, persa 23-19: di questi 20 giocatori in comune con il 2018 ben quattordici erano in campo e sarebbero stati sedici se non fosse per l’indisponibilità di Alun Wyn Jones e Josh Navidi. In aggiunta, e forse ancora più sorprendentemente, ben dodici di questi giocatori erano titolari nella partita contro l’Inghilterra, e anche qui non sto includendo AWJ e Navidi. Si tratta di un turnover estremamente lento di giocatori, perché se è vero che ogni anno un po’ di nuovi giocatori (5-10) giungono in nazionale, i dati mostrano chiaramente come pochi di questi riescano effettivamente ad affermarsi. La vecchia guardia dei dragoni resiste e, forte di due Sei Nazioni vinti in cinque anni, fa la voce grossa. In alcuni podcast d’oltremanica si parla abbondantemente di questo problema, come in The Attacking Scrum, nel quale in un episodio hanno addirittura “bestemmiato” (in termini gallesi), dicendo che forse del ritorno affrettato di AWJ non c’era bisogno viste le prestazioni delle seconde linee in sua assenza. In sostanza, dal 2018 al 2022 il Galles ha sì cambiato vari giocatori della sua nazionale ma ha faticato a trovare nuovi interpreti dei ruoli. Sarà interessante vedere chi giocherà il Sei Nazioni 2023, e ancora di più chi giocherà la coppa del mondo.

Alun Wyn Jones.

Costi difficili da sostenere

Il tema che più ha tenuto banco nella narrativa rugbistica gallese recente è quello della riduzione del numero di franchigie da 4 a 3. Mantenere una franchigia costa molti soldi, nello specifico almeno 4-5 milioni di Euro all’anno, e una federazione tutto sommato piccola come quella gallese fatica a tirarli fuori solo dagli ingressi agli stadi e dagli sponsor. Uno dei modi con cui la WRU ha provato a far fronte ai costi è il famoso Parkgate Hotel, “Cardiff’s newest and finest luxury destination located just a stone’s throw from Principality Stadium”. Questo hotel era stato pensato per aumentare i ricavi durante le partite internazionali del Galles, offrendo una destinazione di prima fascia e garantendo introiti annuali. Le cifre dell’operazione non sono ancora disponibili perché si tratta del primo anno di attività, ma le prime impressioni sembrano essere quelle di una destinazione un po’ troppo posh per il tifoso medio di rugby. È risaputo che trovare posto dove dormire in città sia quasi impossibile durante le partite dei dragoni, ma c’è un certo scetticismo verso questa soluzione. Più in generale, non sarà un singolo hotel a salvare le casse della federazione. Proprio per questa ragione, si parla insistentemente della riduzione delle franchigie da 4 a 3 ma ciò che colpisce è che non sono i poco performanti Dragons a rischiare il taglio, bensì si parla di una fusione Scarlets-Ospreys. Per metterla in termini italiani, sarebbe come ipotizzare che Padova e Rovigo si fondessero in un’unica società sportiva e pretendessero che i tifosi delle due città se la facessero andare bene. Non è la prima volta che succede: già nel 2019 si era ipotizzata questa cosa. Il motivo è più che altro economico: gli Ospreys non giocano in uno stadio di proprietà ma al Liberty Stadium di Swansea, il mantenimento del quale ha un costo notevole non ripagato dai biglietti di ingresso. Inutile dire che questa soluzione sarebbe quella che meno piacerebbe ai tifosi.

Il fascino di unirsi alla Premiership

Non molto tempo fa si era parlato di un possibile ingresso delle squadre gallesi nel circuito della English Premiership. Si tratta di un’opzione territorialmente sensata e che piacerebbe a molti tifosi, che sentono sicuramente di più le rivalità con squadre come Bristol, Bath e Gloucester piuttosto che Connacht, Bulls, o Treviso. Si tratta, tuttavia, anche di un’opzione molto dispendiosa che faticherebbe a vedersi concretizzata se l’obbiettivo è risparmiare. Inoltre, come molti tifosi temono, i club di centro-classifica di Premiership inglese sono molto più attrezzati delle quattro regioni gallesi, il che significherebbe finire in una situazione non tanto diversa da quella sperimentata in URC (fuori dai playoff) con l’aggiunta del rischio-retrocessione.

Una veduta del Parc y Scarlets di Llanelli.

Che soluzione per il futuro?

Cominciamo col dire che David Moffett, artefice della creazione della Celtic League nel 2003 come CEO di WRU, ha di recente dichiarato a BBC Radio Wales che dovrebbero diventare tre perché il movimento sopravviva. Nello specifico, definisce la WRU di adesso come lo zimbello del rugby mondiale di Tier 1, e aggiunge che nella sua visione delle cose, i Dragons sarebbero da eliminare in quanto franchigia di proprietà della WRU. Unica alternativa l’acquisto dei Dragons da parte di un investitore privato. Aggiunge poi alcune considerazioni che sono un po’ il termometro del casino che c’è in Galles. La prima è che, a suo modo di vedere, lo URC è un esperimento destinato a fallire perché i tifosi non viaggiano viste le distanze, riducendo gli introiti. La seconda è che i club gallesi dovrebbero giocare nella Premiership inglese, ma vede la cosa come irrealizzabile. Infine, ma senza dubbio è il punto di vista più interessante, ha dichiarato che gli unici a non volere la creazione delle franchigie nel 2003 erano proprio i fans, che sarebbero poi dovuti andare allo stadio. Curiosamente, dei dubbi a riguardo si potevano già leggere nel 2003 da un articolo di repertorio. Questa dissonanza cognitiva è alla radice dei problemi del Galles di oggi, con i tifosi non particolarmente attaccati alle regioni e un campionato domestico (Welsh Premiership) non all’altezza del rugby professionistico. Un’altra opzione, decisamente più percorribile, è quella di creare un sistema di livelli che ridistribuisca i fondi fra le quattro franchigie in modo diseguale. Il motivo alla base di questa scelta sarebbe il desiderio di averne almeno due che possono lottare per qualcosa. Alle altre due, però, non resteranno che le briciole, una scelta che rischia di svuotare ancora di più gli stadi.

Rodney Parade, lo stadio dei Dragons a Newport.

5 pensieri riguardo “Il rugby in Galles è in grande difficoltà

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