Nonostante l’arrivo di Eddie Jones, i Wallabies rischiano di uscire dal mondiale ai gironi e stanno affrontando la peggior crisi di risultati della loro storia.
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Affidarsi agli esperti
Eddie Jones contro Warren Gatland. Wallabies contro dragoni. Galles e Australia, due nazionali che hanno si sono affrontate ai massimi livelli del rugby per decenni, ma che ieri sera hanno finito per incontrarsi sulle scale mobili, uno andando giù e uno su (è finita 40-6 per i gallesi). Il Galles, che di recente ha avuto una grande crisi interna alla Welsh Rugby Union, si è ricompattato attorno al suo condottiero di mille battaglie Gatland ritrovando smalto e solidità. L’Australia, per contro, ha convocato a corte il suo puppet master Eddie Jones, per anni coach dell’Inghilterra e senza dubbio uno dei coach australiani più influenti al mondo. Il motivo? Preparare la Rugby World Cup 2027 da giocarsi in casa, proprio in Australia. C’era, però, anche una coppa del mondo da giocare adesso, nel 2023 in Francia. Le scelte operate da Rugby Australia e da Eddie Jones stesso hanno lasciato in molti perplessi, e ora, dopo due sconfitte in tre turni, è tempo di fare un po’ di analisi. Anche perché, stando ad alcuni media, Eddie Jones è già stato contattato dal Giappone per il post-mondiale nonostante il suo contratto di 5 anni con i Wallabies.

Due protagonisti silurati subito
Che l’Australia non sia più la potenza mondiale che era negli anni ’90, quando vinse due mondiali, è chiaro da tempo. Resta, comunque, una delle più forti nazioni rugbistiche del mondo e la cosa si riflette nella sua rosa, sempre ricca di talenti. Quest’anno però Eddie Jones ha utilizzato un approccio molto drastico per iniziare già da subito a pensare alla coppa del mondo del 2027 che si giocherà in Australia: eliminare i cosiddetti dinosauri e dare già minutaggio ed esperienza a giovani atleti dal grande potenziale. Detto fatto: la lista dei convocati il 9 agosto vedeva due buchi importanti, quello dell’apertura Quade Cooper e quello del flanker-capitano Michael Hooper. In particolare nel ruolo di apertura, Jones ha voluto dare fiducia a Carter Gordon (22 anni, Rebels) e Ben Donaldson (24 anni, Waratahs). La sensazione è che EJ stia già lavorando per il mondiale del 2027, dando esperienza a due aperture giovani che nel 2027 potrebbero essere la colonna portante della mediana. Lo stesso metro non si è applicato però ad altri “attempati” come Will Skelton e Nic White.

La terra del footie
Come molti sapranno, il rugby union in Australia non è il codice di gioco del football più seguito e non è neanche il secondo. Al primo posto e al secondo posto ci sono indubbiamente il Rugby League (vera e propria cultura down-under) e l’Aussie Rules football, uno sport un po’ violento amatissimo dai locali. In questo contesto l’Australia del rugby union ha perso terreno anche per cause interne, dovute alla competizione (persa) per l’attenzione dei fan nel corso degli ultimi 10 anni. Se negli anni novanta (1991 e 1999) le due coppe del mondo vinte potevano tenere alto l’onore del rugby a 15, oggi come oggi è dura convincere gli appassionati a guardare se perdi con l’Italia e poi al mondiale le prendi dal Galles e dalle Fiji. Come dicono molti esperti in Australia, “la battaglia per i fan è quasi persa”. In tutto questo, Rugby Australia non sembra aver attuato delle contromisure drastiche per invertire la rotta e in molti, incluso sir David Campese, si dicono insoddisfatti di come le cose sono gestite. La maggioranza delle persone sembrano puntare il dito contro Hamish McLennan, chairman di Rugby Australia, e le sue decisioni.
Rock bottom for @wallabies I have been predicting this for years after seeing the lack of rugby IQ and skills in grassroots in Australia. Ive been warning “the powers that” be but nobody listens
— David Campese (@Davidcampese11) September 24, 2023
Ma quindi di chi è la colpa?
Come in tutte le cose se le si analizza bene, non c’è un solo colpevole ma più fattori che si allineano come pianeti in un evento astronomico. L’arrivo di Eddie Jones ha destabilizzato l’ambiente più che rafforzarlo avendo avuto una tournée autunnale tutto sommato decente sotto la guida di Dave Rennie nel 2022. A un anno dal mondiale, era difficile impostare qualcosa di solido e dunque Jones si è affidato ai giovani per prepararsi già alla RWC 2027. Nel frattempo, come sottolinea Campese nel tweet sopra, il grassroots rugby australiano è in grave difficoltà da anni e non è certo colpa di Jones se i nuovi talenti non sono all’altezza dei vecchi che si ritirano. La perdita di interesse della gente del posto, i minori investimenti, il ridimensionamento del movimento, e alcune scelte azzardate sono state un cocktail esplosivo che ha portato questa nazione capace di vincere due mondiali a rischiare di uscire dalla coppa del mondo ai gironi per la prima volta. Facendo tutti gli scongiuri del caso, e cercando di non sognare ad occhi aperti, se l’Italia dovesse battere gli All Blacks anche solo di un punto nella prossima sfida gli Australiani si troverebbero persino dietro di noi nel ranking mondiale. Dal loro punto di vista: un assoluto disastro.

A proposito di Italia
Ciò che sta succedendo in Australia e che in parte è successo in Galles negli ultimi due anni dovrebbe farci riflettere. Investire solo nella cima di un movimento può dare risultati nel breve termine e far scintillare la cristalleria agli occhi di chi passa distrattamente a guardare, ma non è un investimento sicuro per il futuro e finisce sempre per diventare un debito sulle spalle delle generazioni future. Il nostro campionato domestico che ha appena cambiato nome in Serie A Élite è infatti una bestia simile, fatto di club con grande storia alle spalle ma povero di investimenti e attenzioni. La creazione di due franchigie inserite nello United Rugby Championship è stata sicuramente una scelta vincente per mantenere alta la competitività e misurarsi settimanalmente coi più forti. Lo dimostra l’ultima stagione del Benetton Rugby, ormai “squadra da playoff” nella visione di tutte le altre squadre del torneo, e non più “quattro punti facili”. Tuttavia, il campionato domestico dovrebbe ricevere più attenzione e sostegno per essere davvero la lega di sviluppo di cui abbiamo bisogno. La presenza di pochi tifosi in realtà vincenti come Padova, ad esempio, è un brutto segnale. Riportare la gente allo stadio a vedere il rugby di base è essenziale per incrementare il numero di iscritti e tenere dritta la barra di navigazione verso acque di cui non conosciamo la tumultuosità.