Connacht è la più piccola delle province irlandesi in termini di abitanti, ma negli anni ha saputo diventare importante e addirittura vincere un titolo. Ecco come.

Tempo di lettura: 15′

La squadra in campo – fonte: Connacht Rugby twitter account

Parliamo di Galway

Artisti, alcuni bravi altri meno. Musicisti, alcuni magari un po’ montati. Fra gli stereotipi su Galway troneggiano quelli che la dipingono come il rifugio degli anticonformisti d’Irlanda, ed essendoci stato solo qualche settimana fa, posso confermare che si tratta di una città con un’anima ribelle che si nota fin dal primo momento. La cosa strana è che in tanti (sia turisti che locals) tendono a dirti che “fra le città irlandesi da visitare, Galway si può anche evitare”. C’è dunque, nel sangue dei galwegians, un innato bisogno di rivalsa, di affermazione nonostante lo scetticismo generale.


Un bisogno di affermazione personale in barba alla spocchia dei più ricchi ed affermati di loro.

Questo è il contesto in cui l’Irlanda ha collocato quella che è nel suo panorama la quarta franchigia in termini di capacità economiche, dove spesso i giovani si fanno le ossa con alcuni giocatori importanti a fare da guida. Negli anni però Connacht ha saputo anche stupire, come il titolo di Pro12 vinto nel 2016 in finale contro Leinster. Sono riusciti anche quest’anno nell’impresa di stupire tutti, arrivando in semifinale di URC, in un torneo che non è il vecchio Pro12 ma una sua versione sotto steroidi che ha integrato le quattro franchigie sudafricane precedentemente militanti nel Super Rugby. Con un modello di governance moderno e snello, meno soldi degli altri ma una chiara vision e un elevata conoscenza di come si sviluppa un giocatore, Connacht è diventata una squadra importante del panorama europeo. Per Connacht sono passati giocatori importanti, e al momento contribuisce attivamente alla rosa dell’Irlanda con giocatori del calibro di Finlay Bealham, Bundee Aki e Mack Hansen, oltre che a Cian Prendergast e Caolin Blade.

Bundee Aki – fonte: Irish Rugby

Importazione di talenti in modica quantità

Per scrivere questo articolo, in primis ho contattato Stephen Long, responsabile della comunicazione per franchigia di Galway dal 2020. Long ha una laurea magistrale in Sports Management allo University College di Dublino, una delle università più prestigiose del mondo celtico e anglosassone, e un percorso quasi decennale nella comunicazione sportiva in radio dell’isola smeraldo (Beat 102-103, Newstalk, Off the Ball). Fra le prime cose che ho chiesto a Stephen, c’è stato un chiarimento su come sia possibile che alcuni giocatori dall’emisfero sud (Mack Hansen, Bundee Aki) siano così felici di venire a giocare nel luogo pìù piovoso d’Irlanda, una nazione a sua volta non celebre per il bel tempo. “Devi farti andar bene quel che il clima ti tira addosso”, dicono i vari giocatori del sud del mondo, fra i quali spiccano anche Hansen, Porch, Hurley-Langton, Bolton, e Ralston, “e il cambio di cultura e di clima non è una cosa negativa”. Sempre parlando dei giocatori dell’altro emisfero, ho chiesto a Stephen se c’è un limite di giocatori non eleggibili per l’Irlanda che le franchigie possono schierare ogni fine settimana per le partite.


“Ogni fine settimana, le franchigie possono schierare un massimo di 2 giocatori non eleggibili nei 23”

Un numero molto più basso dei 7 imposti dalla FIR alle franchigie italiane. Occhio però, perché “questa regola ha delle eccezioni, per esempio non vengono contati i giocatori che provengono da isole del pacifico come Tonga e Samoa”. Con questa strategia, Connacht Rugby ha portato a Galway giocatori importanti come i sopracitati Bealham, Hansen, Aki, Porch, Hurley-Langton, Bolton, e Ralston. Alcuni di questi però, come appunto i primi tre, sono eleggibili e giocano regolarmente con l’Irlanda, e dunque non figurano nel conto dei giocatori non eleggibili schierabili.

Mack Hansen, fonte: Planet Rugby

Compenetrazione fra giovanili e prima squadra

Come ho riportato nell’inizio di questo articolo, Galway è una città di cultura fortemente identitaria. Ho dunque chiesto a Stephen se questo si riflette nell’organizzazione di Connacht Rugby, e quale sia la cosa più importante secondo lui e secondo il club per crescere organicamente e affermarsi nel panorama del rugby di URC. “Nel Connacht Rugby club c’è un fortissimo focus sulla cultura, dalla radice alla cima. Non ci piangiamo addosso, non ci confrontiamo troppo con gli altri che hanno pìù soldi o più tesserati, facciamo il nostro. Per esempio, ci sono alcuni aspetti della nostra organizzazione che le altre province pagherebbero per avere”. La provincia di Connacht, infatti, ha 588,000 abitanti. Per confronto, quella di Munster ha 1.3 milioni di abitanti, quella di Ulster 2.2 milioni, e quella di Dublino 2.8 milioni. Lavorare con quasi 5 volte meno abitanti (e dunque tesserati nei club) è più complesso: le academy hanno meno iscritti, ci sono meno ragazzini che formano il talent pool fra cui trovare il prossimo campione, si può fare meno gli schizzinosi e nessun talento è scartabile. Per questa ragione, ho poi chiesto a Stephen se ci sia molta condivisione di valori e di spazi fra i ragazzi dell’academy e i giocatori della prima squadra. “Connacht Rugby ha un’academy che comincia dall’U16, selezionando i migliori ragazzi dai club circostanti”, dice Stephen, “che sono selezionati su parametri di performance”.


“La maggior parte dei ruoli nella prima squadra ha almeno un giocatore prodotto dall’academy, individuato presto nel suo percorso di crescita”.

La formazione dei ragazzi fino ai 16 anni avviene, dunque, grazie i club ramificati nel territorio. La franchigia locale seleziona poi i migliori frutti di questo prodotto formativo, i quali vengono inclusi nell’academy di Connacht Rugby e si allenano negli stessi spazi in cui si allena anche la prima squadra. “Ci sono un numero di giocatori dell’academy che si allenano regolarmente con la prima squadra e seguono la loro tabella di marcia”. Palestra, alimentazione, sessioni tattiche, nozioni importanti che vengono apprese molto presto dai giocatori dell’academy più promettenti. “Le varie squadre “under” inoltre si allenano a giocare con uno stile di gioco tipico anche della prima squadra, cosa che facilita la condivisione; tutto questo avviene qui allo Sportsground, che lo rende facile da gestire”. Con questo sistema, Connacht Rugby riesce a identificare i talenti più promettenti molto presto e a inserirli lentamente nella prima squadra già da molto giovani.

Foto dall’alto del Galway sportsground. Fonte: The 42

L’importanza del calcio gaelico

Il calcio gaelico (peil Ghaelach, o in gergo “caid”) è una delle cose che rendono unica l’Irlanda. Si tratta, per farla semplice, di un codice di gioco particolare che prevede alcune regole simili al calcio e alcune simili al rugby. È però uno sport antichissimo (praticato fin dal 1300) che è venuto ben prima sia del calcio che del rugby, ed è la cosa più simile che abbiamo oggi all’antenato dei due sport menzionati. Questa disciplina è amministrata dalla GAA (Gaelic Athetlic Association), assieme ad altre discipline gaeliche come il Rounders, l’Hurling, e il Camogie. Potrà sembrare strano per un italiano sentir parlare di queste discipline al di fuori di eventi di rievocazione storica, ma in Irlanda sono gli sport più seguiti in assoluto e hanno una copertura mediatica pari a quella del calcio in Italia. Mi è dunque sorta naturalmente la domanda per Stephen sul crosstalk fra il mondo del rugby e la GAA in Irlanda, e nello specifico se ci sia una condivisione di bacino di potenziali talenti.


“È molto comune che un giocatore dell’academy abbia giocato anche a calcio gaelico o hurling nel suo percorso”

“Una volta entrati nell’academy devono abbandonare la GAA e dedicarsi al 100% al rugby, dato che le richieste della GAA sono molto elevate già a quell’età. Ci sono alcuni giocatori, come Jack Carty, che sono stati giocatori di calcio gaelico di successo nei loro anni. A livello domestico o locale, invece, spesso i giocatori dei club di rugby locali praticano anche calcio gaelico”. La convidisione del talent pool fra sport diversi (qui rugby e caid) è qualcosa che aiuta molto la scoperta di atleti anche per vie trasversali. In Italia questo tipo di condivisione si potrebbe avere con il calcio e il basket, molto praticati, i cui alcuni atleti meno prominenti nella loro disciplina originale a livello giovanile potrebbero scoprirsi molto abili nel rugby e portare anche delle abilità trasversali da questi sport.

Mappa di tutti i club di calcio gaelico in Irlanda, fonte: SportsJOE.ie

Continuità, cultura, determinazione

In conclusione, si potrebbe riassumere il “modello Connacht” come quello di una squadra che non ha molto a disposizione rispetto agli altri, ma lo usa molto bene. Pochi iscritti e tesserati rispetto a Dublino, magari un po’ meno tifosi rispetto a Limerick, meno soldi rispetto a Belfast, ma tanta determinazione e capacità di organizzarsi. Questa capacità deriva anche dal sapere mettere al posto giusto i profili giusti per la loro competenza. Un esempio è stato l’aver dato il ruolo di head coach nel 2018 a Andy Friend, allenatore australiano con un passato sia in Premiership (Harlequins) che in Giappone (Suntory Sungoliath), nonché nel circuito sevens con l’Australia. Friend è stato molto più che un allenatore per la franchigia di Galway. Rilevandola nel 2018 dalle ceneri della precedente gestione (terminata presto) e a soli due anni dal titolo di Pro12 vinto in finale contro Leinster nel 2016, ha saputo dare una struttura e un gioco distintivo a questa squadra. Nel 2022 Friend è stato promosso a Director of Rugby della squadra, con il ruolo di head coach dato al senior coach Pete Wilkins. Wilkins è al club da circa sei anni, conosce bene il sistema di Friend, è uomo del club, e rappresenta in modo più assoluto la continuità di progetto. Continuità: questa la parola chiave. Nessuna rottura, nessuno scossone, nessun capovolgimento o colpo di stato: ogni anno si costruisce qualcosa in più, si mette una pietra aggiuntiva in cima e ci si assicura che la torre stia in piedi e non sia un castello di carte. Il collante è la cultura societaria e la determinazione dei suoi membri nel portarla avanti ad ogni costo, e in ogni “condizione meteorologica il mondo ti tiri addosso”.

Autore

  • Matteo Schiavinato

    Sono laureato in Biologia Molecolare a Padova, ho un Dottorato in Bioinformatica a Vienna, lavoro in Università a Barcellona e mi chiedo tutti i giorni se non dovevo fare l'ISEF quella volta e studiare sport. Nel tempo libero dal lavoro mi vesto di biancoverde, conduco il podcast "Leoni Fuori", scrivo articoli sul rugby, suono vari strumenti musicali e scrivo di film d'azione.

Rispondi