Premessa: lo scopo di Carborugby con questa serie di interviste è quello di far raccontare le realtà del sud Italia dai suoi protagonisti. Le opinioni espresse nelle interviste sono da intendere nell’ottica di un dibattito sul tema, che la redazione spera di riuscire a suscitare nella comunità del rugby italiano, senza esprimere una propria posizione perché ne benefici il dialogo stesso. Le domande proposte nelle interviste sono state realizzate dal team di Carborugby e dal pubblico sui social.

Di rugby al sud ne sentiamo parlare davvero poco, di solito ogni 4 anni attorno alle elezioni federali o su articoli che sottolineano l’inadeguatezza di campi e infrastrutture. È un tema abbastanza caldo nel dibattito tra i tifosi, che si accende puntualmente quando vengono annunciate le città ospitanti dei test match della nazionale e nessuna di queste si trova sotto a Roma. Ho avuto la possibilità di vivere e giocare a rugby a Bratislava, Praga e Barcellona, ma in Italia la trasferta più lontana mi ha portato nei campi della Capitolina, lo stesso weekend in cui ho visto la nazionale battere il Galles al Flaminio. Non mi sono mai scontrato contro una squadra al di sotto di Roma, ma cosa succede nell’altra metà dell’Italia? Come si vive il rugby da quelle parti? Con questa rubrica ho deciso di andare a scoprire cosa significa vivere il rugby nel sud, dando voce a chi ogni giorno si impegna per far conoscere il mondo della palla ovale, in un paese che vive quasi solo di calcio e vede il resto come “altri sport”. L’idea di creare questa rubrica è nata perché un giocatore del CUS Catania ci ha scritto sulla nostra pagina instagram dicendoci che sarebbe venuto a Treviso per vedersi la partita degli ottavi di finale di Challenge Cup fra Benetton Treviso e Connacht. Abbiamo conosciuto quel giocatore, Antonio Virgillito, e abbiamo voluto premiare la sua passione cominciando proprio dalla sua squadra, il Cus Catania. Parlando con i ragazzi del CUS ci siamo resi conto di quanto ampio fosse questo tema. Per questo, la seconda intervista (che pubblicheremo più avanti) sará con Orazio Arancio, ex azzurro, che ci ha parlato della storia del rugby siciliano e delle sue attuali problematiche. Per rispondere alle critiche sul progetto sud e per parlarci delle iniziative della FIR, invece, pubblicheremo una terza intervista con Francesco Urbani, responsabile della federazione per il rugby di base. Le 3 interviste usciranno in successione per non appesantire troppo gli articoli e per permettere lo sviluppo di un dibattito critico sui temi discussi. Per la nostra prima intervista con il CUS Catania, hanno risposto alla chiamata Agatino “Tino” Lazzara (Team Manager), Alberto Toscano (capitano), Luca Mammana (giocatore/allenatore) e Antonio Virgillito (giocatore).

Tino Lazzara, Team Manager
Alberto Toscano, capitano
Luca Mammana, giocatore e allenatore
Antonio Virgillito, giocatore

Presentatemi il vostro club e il rugby a Catania, come sta andando la squadra e quali sono gli obbiettivi?

Tino: “Tra le squadre in Sicilia, il CUS è la realtà più storica e quella che ha una filiera quasi completa, andiamo infatti dall’under5 alla seniores sia machile che femminile, stiamo lavorando per implementare la juniores anche per la femminile. Questo è uno dei progetti che abbiamo in focus, ovvero quello di pareggiare il lavoro che è stato fatto nelle categorie dalla u15 alla 19 con la maschile e replicarlo per la femminile. Nel territorio ci sono delle altre società più piccole che hanno un focus maggiore sul rugby femminile e quindi non ci limitiamo nei nostri progetti, stiamo lavorando per poter partecipare a un torneo a 15 perché si è giocato molto a 7s o nei festival. La maschile da qualche anno milita in serie B, stiamo seguendo un percorso di crescita con l’obbiettivo di salire ad un livello superiore, ma come tutti i progetti all’interno del CUS non abbiamo fretta, perché rendiamo i nostri progetti strutturali e sostenibili. Non abbiamo mai affrettato nulla a livello progettuale per evitare di fare il passo più lungo della gamba e vanificare il lavoro di anni per non aver organizzato le attività nel tempo necessario. Abbiamo un gruppo storico di giocatori senior che nei periodi difficili come quello del Covid hanno portato avanti in maniera egregia la squadra e i risultati. Ad oggi siamo al secondo posto, ci giochiamo un campionato in cui avremmo potuto sicuramente fare meglio, ma per quello che è il progetto e la struttura dei nostri obbiettivi, è giusto fare le cose un passo alla volta.”

Femminile CUS Catania

Partecipate a tornei per le under in altre regioni con le giovanili?

Tino: “La nostra under19 per 9 anni consecutivi ha fatto il campionato d’élite, la under17 si è qualificata alle fasi nazionali, poi dove non ci sono i campionati a supporto dell’attività federale, noi comunque portiamo i ragazzi in giro per l’Italia, anche per avere un confronto con squadre diverse da quelle della regione. La under17 e la under19 hanno un percorso tecnico che le porta a superare in modo agevole la fase regionale, per le altre categorie organizziamo camp o andiamo noi come ospiti, ma non ci teniamo chiusi in regione.”

CUS Campo Estivo

Quali sono le squadre presenti a Catania e come si inserisce il CUS all’interno del contesto del rugby siciliano?

Tino: “in città ci sono diverse squadre che fanno attività rugbystica, alcune di queste sono concentrate solo con attività di promozione con la giovanile, altre militano in serie C e B. In Sicilia, ma soprattutto a Catania, la tradizione rugbystica ci ha portato a livelli altissimi del rugby italiano. Poi i contesti sono cambiati e alcune di queste società che militavano nei campionati di vertice sono ripartite dai progetti giovanili, anche perché nel passato si era puntato tutto sulle squadre senior, ma finiti gli anni d’oro e le risorse, sono quasi tutte ripartite dalle giovanili per ricostruire la base e sviluppare tutto il resto. All’interno del contesto siciliano, la nostra è una delle più storiche, nasciamo nel 1934 e dal 1947 esistiamo come CUS, poi negli anni la nostra società è quella che ha avuto più costanza proprio perché ha avuto una linearità di progetto, c’è sempre stato uno sviluppo lineare tra giovanile e prima squadra. Negli ultimi anni si è lavorato sempre di più per migliorare l’offerta formativa, quindi ogni categoria dalla under 5 alla prima squadra ha almeno 2 coach in campo, preparatore atletico e tutta la struttura a seguito. Qualche anno fa abbiamo deciso che il nostro focus fosse quello di migliorare l’offerta per garantire un rugby più competitivo e più organizzato, modificando la struttura tecnica esistente.”

Pre partita

Tante squadre in città, quindi il rugby è uno sport che si sente? Vengono trasmesse le partite di rugby nei pub?

Tino: “Ecco, su questo abbiamo creato noi l’indotto obbligando amici tra i vari pub (ride ndr). La città è molto viva, abbiamo una movida attiva 7 giorni su 7, ci sono tanti locali differenti e abbiamo gli Irish Pub che trasmettono le partite. Il nostro gruppo degli Old è composto da un centinaio di persone e loro sono una parte fondamentale del nostro club. Non siamo una realtà paragonabile a Treviso o al Veneto, ma è una città in cui, rispetto a molte altre del centro sud, il rugby è stato ed è una parte importante della società. Tutti hanno visto una partita, tutti ne hanno sentito parlare o hanno un amico che ci gioca.

Com’è l’affluenza allo stadio per le partite?

Tino: “La comunità rugbystica la trovi allo stadio, poi dipende se ci sono partite in contemporanea di altri club, ma quando c’è una partita di qualsiasi livello tra serie C e serie A, hai i rugbisti della città che vanno a vederla. Abbiamo una carenza di strutture, in questo momento c’è lo stadio storico della Amatori Catania, che è stata in passato una delle squadre che è arrivata ai livelli più alti del rugby italiano. Quando è venuta a mancare questa società, ci siamo trovati per assurdo con l’unico stadio di rugby della città chiuso per lavori. Abbiamo il nostro stadio all’interno della sede universitaria della città che è quello dove abbiamo sempre giocato, quello rimane il nostro fortino. Però sviluppare le attività all’interno di strutture già esistenti e impegnare un campo come quello della Amatori che ha un passato glorioso, ma al momento non ha una società di riferimento, potrebbe essere nello sviluppo futuro uno dei progetti da portare avanti.”

Come vengono gestiti gli allenamenti?

Luca: “Noi facciamo 3 allenamenti tecnici durante la settimana sempre anticipati da un allenamento fisico che può essere in palestra o con il preparatore atletico, di solito i giorni sono il martedì, mercoledì e venerdì e poi c’è la partita della domenica.”

Antonio te hai 20 anni, perchè tra le varie proposte a Catania hai scelto il CUS e come ti sei avvicinato al rugby?

Antonio: “Ho cominciato a giocare a 12 anni, avevo provato altri sport, ma sono sempre stato un po’ “rotondetto”, poi in prima media un professore ci fece provare il rugby, ma non aveva una squadra di riferimento, quindi i nostri genitori, anche se un po’ titubanti, si sono informati su quale fosse la struttura migliore dove iniziare a giocare. Il CUS è una struttura universitaria ed è ben organizzata, ho giocato in under12, poi ho smesso e ho ripreso in under18 élite. Da lì non ho più mollato, è stato un “amore a seconda vista”. Ho scelto il CUS per la bellezza della struttura e per la profondità della squadra, mi ricordo che in under12 eravamo veramente in tanti e c’erano ragazzi che tutt’ora sono miei amici. Mi è piaciuta molto la professionalità con cui mi sono interfacciato.”

Sezione Old Cus Catania

Quanto vi pesano le trasferte nelle altre regioni? Le cittá che avete nel vostro girone sono Benevento, L’Aquila, Roma, Messina, Salerno. State li per il weekend o giocate e tornate?

Tino: “La maggior parte le facciamo il giorno stesso. Praticare sport in Sicilia ti mette nella condizione di viaggiare, tutte le squadre di qualsiasi sport sono abituate a prendere l’aereo la domenica mattina e rientrare la sera. Qualche trasferta in cui non abbiamo copertura dei voli, ci muoviamo in pullman partendo il giorno prima. Diventa un occasione di team building e poi in realtà, proprio come diceva Antonio,

il gruppo che si crea in giovanile rimane per anni e si ritrova a giocare insieme in prima squadra, quindi finita la partita o gli allenamenti ti trovi con quelle persone e si crea una vera e propria comunità.

Il viaggiare è tosta da gestire, ma ormai fa parte della routine quindi non pesa più così tanto, anche se ricordo i voli alle 5 di mattina di qualche anno fa (ride ndr).”

Non posso neanche immaginare, io sono di Bassano del Grappa e di solito le squadre dei nostri gironi sono tutte raggiungibili in un’ora di bus tra le varie province. Non deve essere facile neanche a livello fisico doversi spostare tra aeroporti, bus ecc.

Tino: “sì in molte partite senti il fattore trasferta e tutti gli spostamenti si fanno sentire sulla prestazione, non è la parte preponderante, però capita alcune volte lo stress del viaggio, arrivare stanchi, atterri a Roma, fai 2 ore di bus per arrivare in Abruzzo…

Alberto: “Qualche minuto della partita te lo perdi (ride ndr)”

Come gestite questa situazione?

Alberto: “Ormai siamo abituati, fa parte del gioco, dello stare insieme e fa parte della trasferta. Subito nel riscaldamento ci leviamo quella stanchezza e siamo pronti a giocare. Poi come dicevo magari qualche minuto te lo perdi, ma fa parte del gioco, siamo rugbysti (ride ndr).”

Ci sono derby contro squadre di altre regioni ed esistono squadre con le quali negli anni avete legato particolarmente?

Alberto: “Quelli che abbiamo sempre sentito come derby sono stati quelli contro l’Amatori Catania quando militavamo tutte e due in serie B e tutt’ora con il Messina, perchè sono squadre interregionali e quindi la senti di più la partita. Però c’è sempre un rapporto di collaborazione, il terzo tempo lo facciamo insieme e magari anche la serata dopo il terzo tempo la passiamo insieme. Sono partite in cui nessuna delle due squadre vuole perdere o fare brutta figura questo è sicuro. Con le altre regioni a livello di collaborazione le abbiamo notate soprattutto con le under, molte delle nostre trasferte sono a Roma quindi spesso con le squadre che abbiamo affrontato, poi a fine partita cercavamo di organizzare dei tornei soprattutto con le giovanili, proprio per far trovare ai nostri ragazzi un momento di crescita. Anche in Campania, con il Benevento, abbiamo fatto vari tornei per le giovanili. Come rivalità, diciamo che da un paio di anni le partite con il Paganica sono un po’ più sentite (ride ndr).”

Quali sono i progetti per il futuro? tornare in serie A?

Tino: “Negli ultimi 7 anni siamo migliorati stagione dopo stagione, al momento siamo al secondo posto, eravamo partiti molto motivati e siamo stati primi in classifica per buona parte del campionato, ma quando non hai il professionismo questi sono campionati fatti anche da episodi e dagli impegni degli stessi ragazzi. Lavoriamo con un gruppo di atleti che sono universitari o ragazzi all’inizio della carriera lavorativa, quindi in corsa cominci a fare i conti con le esigenze di gruppo come le sessioni d’esame. Siamo una squadra ampia e questo ti permette di fare parecchio turnover, però non è semplice come potrebbe essere con un gruppo che fa quello nella vita e non ha altri impegni oltre al rugby.”

Lo spogliatoio del CUS Catania

Come gestite questo aspetto?

Tino: “Come club ci siamo posti sempre l’idea di stare a fianco dei ragazzi, abbiamo avviato e stiamo avviando collaborazioni esterne all’attività sportiva proprio per andare a seguire questi ragazzi nel futuro, perché finita l’attività agonistica c’è da pensare al dopo e come società devi avere anche la responsabilità di far presente quello che può essere il futuro. Abbiamo una rosa di tecnici che coinvolge gli stessi giocatori della seniores, tanti degli under19 iniziano i percorsi di affiancamento e si cerca di far vivere il club nella totalità, per dare non solo l’attività fine a se stessa, ma per diffondere e promuovere il rugby. Questo è alla base di tutto il nostro impegno, grazie anche a un forte gruppo di genitori che fanno i volontari in tutte le categorie.”

Quanti giocatori avete in seniores e qual è il punto di forza tra mischia e trequarti?

Luca: “La rosa conta 30 giocatori, con periodi di presenza variabile. In casa abbiamo spesso a disposizione la rosa intera, mentre fuori casa a volte facciamo fatica a raggiungere i 22 per la gara, proprio per il discorso della difficoltà delle trasferte. C’è molta attenzione verso il ragazzo, il CUS si sente responsabile del benessere dei propri atleti e mette questo come priorità rispetto alle esigenze di squadra. Per i punti di forza, abbiamo una mischia molto performante con giocatori veterani che alzano il livello, mentre per il reparto dei trequarti sono mancate delle figure fondamentali per dare le direttive nel gioco, ora abbiamo un 9 esperto e un 10 giovane di prospettiva, per questo il nostro gioco ha molto potenziale, ma abbiamo bisogno di fare esperienza per poi fare le scelte giuste nei momenti difficili. Molto spesso i risultati vengono condizionati proprio dalla differenza di utilizzo della rosa tra le partite in casa e in trasferta. Ma stiamo crescendo, per noi questo è il primo campionato come squadra di vertice della serie B, quindi ogni allenamento è importante e come dico spesso ai veterani della squadra, tutto quello che stiamo costruendo lo vedremo nei ragazzi giovani e questo deve renderli orgogliosi, è un cambio di mentalità, i giovani ti guardano e sei il loro esempio. Tutto quello che stiamo facendo rimarrà alla società e questa è la cosa più importante. Con la mancanza di risorse e di visibilità, la cosa più importante è creare un ambiente, una clubhouse dove costruire dei ricordi e crescere insieme.”

Azione di gioco

Avrebbe senso creare una selezione tra le varie squadre della cittá e provare a puntare al top 10?

Luca: “Avrebbe senso in una organizzazione con una prospettiva di futuro come quella che c’è adesso nel CUS Catania, questo significa non affrettare le cose unendo le squadre di Catania solo per arrivare più in alto possibile a livello seniores. Avrebbe un senso in una maniera equilibrata, unire le forze, avere una squadra per l’alto livello e altre negli altri campionati, con delle giovanili che possono competere nei campionati elitari. Questa, secondo me, è la prospettiva migliore.”

Tino: “Io sono pochi anni che sono tornato a vivere a Catania, quindi tutte le dinamiche del territorio le ho imparate di recente. Ho visto una cosa e Giuseppe, il nostro capo allenatore, lo dice sempre, cioè che nel nostro territorio c’è una particolarità che può essere sia un vantaggio che uno svantaggio: tanti anni fa esisteva il CUS, poi alcuni dirigenti non si trovavano d’accordo e hanno fondato un’altra società e così è nata la Amatori Catania. La Amatori ha fatto un percorso glorioso, ad un certo punto alcuni dirigenti litigano al suo interno e fondano il San Gregorio e così via. Questa logica te l’ho riassunta in 3 squadre e può essere un aspetto negativo, ma in realtà a Catania fino agli anni 90 c’erano più di venti società e questo ha fatto proliferare la diffusione del rugby. In passato in un contesto completamente differente, questo avveniva perchè ognuno aveva la forza di portare avanti il proprio progetto sostenibile o insostenibile, poi il tempo ha detto la sua. Per unire le società oggi, servirebbe una visione comune, ma è una cosa semplice da fare, anche perché si sono svecchiate le dirigenze delle società e c’è una collaborazione attiva con tutte le altre squadre. Noi come CUS ci siamo messi al centro per far capire che non c’è la volontà di prevaricare sugli altri, ma anzi c’è la volontà di mettere a disposizione gli spazi, fare attività insieme e gestire le cose in modo diverso rispetto al passato.”

Fine primo tempo

Quindi sta partendo questo progetto?

Tino: “Certo, ad esempio il progetto della femminile lo facciamo con i Briganti di Librino. Per il polo sperimentale designato dalla FIR, non eravamo stati scelti tra quelli facenti parte al polo ufficiale in una prima fase, ma poi abbiamo voluto presentare un nostro progetto che è arrivato in federazione ed è piaciuto molto, quindi ci hanno dato la possibilità di partire quest’anno, a fine stagione i risultati del nostro lavoro verranno presi in considerazione per far sì che poi questo possa divenire un polo al pari degli altri.

Non ci fermiamo e non siamo mai arrendevoli, non è che se mi dicono che non posso fare una cosa non la faccio, piuttosto la faccio con risorse mie.

Dobbiamo sempre dimostrare di poter saper fare le cose un po’ meglio degli altri. Questo nel tempo è stata la nostra forza per poter portare avanti le attività a tutti i costi e non sparire dal palcoscenico nazionale.”

Potrebbe nascere una vera e propria franchigia siciliana unendo le altre squadre dell’isola e provare a puntare al vertice? Per il nome, ci hanno consigliato “Gli Arancinəcon il simbolo -schwa per mettere d’accordo tutti.

(ridono ndr)

Luca: “Forse non è la cosa più utile adesso, per fare una cosa del genere devi avere tante realtà sparse per la Sicilia che ti creano un numero di giocatori tale da poter fare una selezione e competere nell’alto livello. Al momento è meglio diversificare e far prolificare il rugby in tutta la regione e dopo, magari, presentare un’idea come questa. Se aumenta il bacino di club e di giocatori, aumenta la competizione e di conseguenza la qualità, ma adesso non è il momento storico più adatto.”

Tino: “Considera che come attività federale, ci sono delle selezioni regionali che si muovono tra rugby a 7, rugby a 15 e under17, però sono complesse logisticamente. Abbiamo mediamente 300km da fare per un allenamento tra andata e ritorno, se poi ti muovi da Palermo diventano 600km. Quest’anno il Ragusa ha partecipato al campionato femminile a 15 facendo un’unione tra più club tra cui noi, Palermo e Messina, ma è stata veramente complicata perché le ragazze si allenavano poco insieme. Se vuoi fare un progetto strutturato e farlo come si deve, devi avere la continuità territoriale che in questo momento per provincia va più che bene, forse in futuro può essere demandata a Sicilia Est e Sicilia Ovest perché comunque c’è un bel polo tra Trapani, Palermo e Marsala, sono delle società che stanno crescendo bene facendo molta attenzione all’offerta per le giovanili. Queste società tra 5 o 6 anni avranno i numeri per competere bene. Stessa cosa avviene tra Messina, Milazzo e Barcellona Pozzo di Gotto, c’è un bel movimento anche lì, mentre in una parte sud trovi Ragusa, Caltanissetta e Siracusa poi il Catania che ha già abbastanza presenza nella sola provincia per crearsi progetti di collaborazione.”

Azione di gioco

Non si può parlare solo delle cose belle, c’è qualcosa che non sta funzionando, qualcosa che vorreste migliorare? Cosa manca al CUS Catania per fare il salto di qualità?

Tino: “Di questo ne stiamo discutendo in modo costante, noi sentiamo l’esigenza di avere più di un campo perché siamo tanti. Considera che 3 volte a settimana abbiamo 200 bambini in campo, anche perché il campo del CUS è polivalente e si praticano 18 sport differenti. Abbiamo l’esigenza di avere uno spazio diverso o aggiuntivo a quello che abbiamo oggi. Ci stiamo lavorando e il CUS è una realtà importante per la città, stiamo valutando l’opportunità dello stadio del rugby degli Amatori, speriamo che i lavori finiscano il prima possibile perché quello ha 2 campi e in questo modo ingrandisci l’offerta con spazi adeguati. Quello stadio era gestito da una cooperativa di società di cui la capofila era il CUS, però non c’era mai stata questa esigenza prima d’ora, ma la nostra attività si sta sviluppando e ora abbiamo bisogno di spazio. Negli anni abbiamo fatto tanto, il gruppo giocatori ha creato una palestra anche se il centro sportivo del CUS ha già la sua e ha già dei campetti in sintetico, ma a oggi per le nostre esigenze sportive serve un campo da rugby in più. Gli altri CUS in Italia, come CUS Milano o CUS Torino, hanno cominciato a svilupparsi proprio quando hanno iniziato a muoversi in più campi.”

Una delle cose che fa notare spesso la community del rugby in Italia è che “il rugby italiano esiste solo da Roma in su” e che quindi il meridione sia abbandonato. Come vi fa sentire questa cosa?

Alberto: “un po’ infastidisce, ma noi ci concentriamo sul nostro lavoro. Alla fine molti giocatori anche della Nazionale, ad esempio Lo Cicero, sono partiti da qui. Il sud e la Sicilia sforna giocatori, se sfruttato meglio possiamo fare ancora di più. Ci sono stati periodi in cui solo a Catania c’era un bacino di utenze enorme che, se sfruttato adeguatamente in quel momento, poteva dare tanto.”

Tino: “Considera l’ultima accademia federale che c’è stata qui circa 7 anni fa, dei 30 ragazzi che erano in accademia, a oggi 20 sono sparsi fra le società maggiori, quindi vuol dire che il territorio ha potenziale, poi quello che impatta tanto è la logistica degli spostamenti. Oggi ho sentito il presidente di una società romana che mi ha detto che l’anno prossimo la serie A gli costerà metà della serie B, poi nei fatti ogni realtà costruisce per far sì che la presenza ci sia, ma qui c’è molto più sacrificio rispetto a tanti altri perché che noi siamo in serie C o in serie B spendiamo come una serie A se non di più. Considera che facciamo 3 campionati nazionali, quindi 3 squadre intere in trasferta in aereo, che ti costano fino a 20 mila euro ogni domenica. Le risorse ci sono, ma a livello federale bisogna pensare a dei progetti reali che coinvolgano il centro sud in maniera differente. Io dico sempre la stessa cosa, se le cose che hai fatto fino a oggi non hanno funzionato, forse le devi farle in maniera diversa. Se cominci a interessarti, come abbiamo fatto noi per il polo sperimentale poi ti tocca anche tornare sui tuoi passi perché non è facile dire di no a qualcosa che hai tra le mani. A Catania, nel raggio di 5km, hai: un campo in sintetico appena finito, che è quello dei Briganti, il centro sportivo del CUS e lo stadio del rugby degli Amatori in fase di ristrutturazione. Fino a un certo punto puoi escluderti dai progetti, perché poi se l’attività non la fai sotto la Federazione, la fai con il territorio per i fatti tuoi. C’è sempre stato il rugby, non è che lo cancelli non considerandolo.”

Cus Catania in trasferta

Secondo voi la gestione del “progetto sud” ha portato a risultati concreti fino ad adesso?

Tino: “Io sono tornato da poco e ti dico che forse con Gavazzi si è arrivati ad avere 3 campi in Sicilia, ti parlo di quello che ho visto, non so se per merito della Federazione o se erano progetti del ministero dello sport. È stata fatta un’accademia, avevamo un presidente di comitato Orazio Arancio che è una persona che di rugby ne sa, è un manager sportivo di livello. Ora c’è un nuovo ciclo federale, non so cosa sarà il progetto sud in questa Federazione, perché fino a oggi non credo ci sia qualcosa.”

Luca: “A me da molto fastidio il termine “essere aiutato”, perchè è qualcosa che presuppone che tu abbia sempre bisogno di supporto. La realtà dei fatti è che per noi fare sport, fare rugby, è molto più complicato rispetto a una squadra del nord per la continuità territoriale e tutto il resto. Se veramente esistesse un progetto sud, significa che gran parte delle risorse andrebbero destinate a questo. Il 90% – 95% dei giocatori viene da Roma in su, se vuoi selezionare da un bacino maggiore devi destinare alle regioni del meridione molte più risorse per pareggiare lo scompenso territoriale. Invece il progetto sud in cosa consiste? Qualcuno che ci viene a fare visita ogni tanto e ci dice come fare le cose? Per me questo non è un progetto sud, Tino ti menzionava prima l’accademia nazionale fatta a Catania che ha portato in 3 – 4 anni 20 giocatori, tra cui Giovanni Licata, a giocare nell’alto livello italiano. Quindi è bastato dare la stessa identica possibilità che dai al nord a un territorio del sud che può essere la Campania o la Sicilia per portarti gli stessi risultati. È una questione d’interesse, ma deve essere un interesse concreto,

non dire “dobbiamo aiutare il Sud”, ma invece “il Sud a noi serve per la Nazionale.” Una Nazionale più forte che invece di scegliere tra 100 mila tesserati, sceglie su 150 mila e che probabilmente poi ha per ogni ruolo 3 o 4 giocatori sui cui decidere.

Gli atleti come siciliani per caratteristiche fisiche di lotta e di fame, non ce ne sono molti in Italia, sarò di parte, ma ho visto anche in altri sport di lotta che i siciliani sono molto presenti, abbiamo campioni olimpici di lotta e tutto il resto. Pensare di dire “voglio aiutarti” è una stupidaggine, devi dire “ho bisogno di voi” e dare tutte le risorse per aumentare il livello della nazionale.”

Antonio: “Sono d’accordo con Luca, ci sono tanti ragazzi delle under che hanno fame, voglia di crescere, imparare e prendere botte. Avere un polo sperimentale dà la possibilità a questi ragazzi di esprimersi ed è importante perché è quello che vogliono.”

L’ultima partita della Nazionale in Sicilia è stata un’Italia – Fiji nel 2017, la volta precedente era stata ben 23 anni prima, proprio a Catania allo Stadio Massimino, come ve la siete vissuta e cosa ha significato per voi ospitare un evento simile?

Alberto: “È stato un bel momento, ho portato i ragazzini al campo perché la Nazionale ha fatto alcuni allenamenti al CUS. Io stesso non ti nascondo che una cosa è vederli in TV, una cosa è vederteli lì accanto e scambiarci qualche battuta o un passaggio insieme, è stato davvero emozionante. Il fatto che fossero al CUS è stato per noi un motivo di orgoglio. Ha fatto conoscere ancora di più il rugby a una città che il rugby sì lo conosceva già, ma il CUS è universitario quindi ha coinvolto tutti i ragazzi, vedevo i miei colleghi di università che correvano per farsi le foto con i giocatori. Poi beh, vedere la nazionale di rugby giocare a Catania.. cioè secondo me abbiamo detto tutto! (ride ndr) Poi Licata ha fatto pure meta quindi orgoglio ancora di più.”

L’esordio di Giovani Licata in Italia vs Fiji al Massimino di Catania – fonte @Youtube – Gerlando D’Aleo

Una partita della nazionale adesso riuscirebbe a fare sold out al Massimino?

Alberto: “Penso di si, poi noi viviamo di sport a Catania, se non arriviamo a riempirlo, ci saranno pochi posti vuoti.”

Secondo voi cosa si può fare per cercare di riportare il tema del rugby al sud al centro del dibattito?

Tino: “A livello di contenuti media ho visto che la federazione sta facendo un ottimo lavoro, utilizzando i social in modo differente. Quello che state facendo voi ha successo perchè in generale la comunicazione sul rugby viene fatta spesso in modo obsoleto, cioè se fai comunicazione su facebook o con la mail federale, non funziona. Io sono stato coinvolto nel comitato regionale siciliano e mi scontro proprio su questo con i colleghi che fanno rugby da 50 anni che trattano temi come il “parlare ai giovani” attraverso locandine e contenuti vecchi, manca la conoscenza della comunicazione che oggi è fondamentale. Bisogna comunicare in modo differente anche con le famiglie, non dico che bisogna avere qualcuno che fa foto a ogni allenamento, ma quasi. Ho proposto di mettere un content creator all’interno dei progetti federali, così poi i ragazzi vedono i video e le foto dal campo e li condividono su Instagram e tiktok. Quello ti aiuta a comunicare e ti differenzia con quello che hai fatto fino a oggi. Il ragazzino torna a casa e può mostrare ai suoi genitori e agli amici quello che ha fatto in allenamento. È cambiato totalmente il modo di comunicare e se non ti adatti, il lavoro che fai al campo non avrà seguito. A livello federale lo stanno facendo, ma dovrebbero responsabilizzare i club o almeno capire cosa stanno facendo i club su questo tema.”

Antonio: “La comunicazione ha cambiato il mio modo di vedere lo sport. Un anno fa non seguivo nessun contenuto di rugby, guardavo sporadicamente le partite e andavo agli allenamenti. Con il podcast “Leoni Fuori” e con le altre pagine, mi accorgo che vivo il rugby in maniera totalmente opposta. Mi guardo molte piú partite, aspetto che esca l’episodio del podcast o i video di Danilo (DanPatRugby ndr). Io non avrei mai pensato di farmi il viaggio della speranza e andare da Catania a Treviso per vedermi una partita, ma ora vivo il rugby diversamente.”

Le foto dell’intervista sono state gentilmente condivise da Tino Lazzara. Alla prossima puntata, con l’intervista ad Orazio Arancio.

3 pensieri riguardo “Progetto Sud: il CUS Catania

  1. 1) Articolo molto interessante. Complimenti!

    2) Io questi ragazzi li manderei in Federazione… mi sembra che abbiano idee chiare e concrete su come far fruttare un bacino di utenza ancora poco sfruttato. Complimenti anche a loro

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