C’è stato un tempo in cui vedere una donna con un fischietto al collo faceva notizia. Ora, grazie ad arbitre di alto livello come Hollie Davidson, Sara Cox, ma anche l’italiana Clara Munarini, la tendenza sta cambiando. Se non siamo ancora all’equilibrio, siamo almeno a una svolta: l’arbitraggio femminile non è più confinato a ruoli minori o a gare “di genere”. È parte del rugby, punto. Nel rugby italiano come in quello internazionale, le donne arbitro stanno guadagnando spazio, autorevolezza e — finalmente — continuità. Non è (solo) una questione di inclusività. È una questione di competenza.

Hollie Davidson

Come si diventa arbitra

Il percorso per diventare arbitra non è formalmente diverso da quello maschile, ma la struttura e le opportunità offerte dai sistemi nazionali e internazionali possono variare molto. In Italia, l’accesso avviene attraverso i Comitati Regionali FIR, che organizzano periodicamente corsi per aspiranti arbitri, aperti a chiunque abbia compiuto 16 anni. Il programma include:

  • Formazione teorica: regolamento di gioco, gestione del campo, sicurezza.
  • Moduli pratici: simulazioni e direzione assistita di match amatoriali.
  • Valutazione finale: test scritto e osservazione sul campo.

Dopo l’abilitazione, si accede alla direzione di partite giovanili (U15/U17) e, con il tempo e le valutazioni dei tecnici federali, si può salire verso le categorie seniores. Per accedere ai livelli più alti — Serie A, Serie A Élite o contesti internazionali — è necessario entrare nel panel nazionale, gestito dalla Commissione Arbitri FIR.

Ella Goldsmith, Australia, Arbitra nel W6N e nel WXV, giovane in crescita dal Sevens e dallo Shute Shield.

Nel circuito World Rugby, il percorso è formalmente aperto a tutte le federazioni affiliate. Esistono moduli di formazione accreditati (Level 1–3), che vanno completati sia in aula che sul campo. Ma questo non basta per essere selezionati per arbitrare competizioni internazionali (come WXV, RWC, test match e tornei Sevens)…
Vi siete mai chiesti come si diventi un arbitro internazionale? Io sì… ecco quello che ho scoperto.

Come si diventa arbitro internazionale

Alla base c’è il principio della qualificazione progressiva: ogni ufficiale inizia la propria carriera sotto l’egida della propria federazione nazionale e può essere selezionato, su segnalazione e previa valutazione, per entrare nei programmi World Rugby. Da lì, attraverso un sistema di osservazioni, valutazioni tecniche e test (anche fisici), si viene eventualmente promossi nei panel ufficiali.
I principali panel sono:

  • Match Officials Squad (15s)
    È il gruppo ristretto di arbitri principali che World Rugby seleziona per test match internazionali e competizioni maggiori (Rugby World Cup, Women’s RWC, WXV, U20 Championship, ecc.). Comprende arbitri centrali, assistenti e TMO, suddivisi per specializzazione e disponibilità.
    Ogni stagione il gruppo viene aggiornato: possono essere promossi nuovi membri e possono uscire coloro che non raggiungono gli standard richiesti.
  • Sevens Match Officials Panel
    È il panel dedicato all’arbitraggio nel rugby a sette (maschile e femminile). Ha una sua struttura indipendente, con raduni specifici e programmi tecnici mirati. Gli arbitri di questo panel operano nei World Rugby Sevens Series, nei tornei di qualificazione olimpica e ai Giochi stessi.
  • TMO e Assistant Referees Panels
    Oltre agli arbitri centrali, esistono panel specializzati per i Television Match Officials (TMO) e gli assistenti arbitrali, che svolgono un ruolo fondamentale nel supportare le decisioni chiave. Non è raro che un arbitro “centrale” in fase di formazione venga prima inserito in questi panel.

Una curiosità: un arbitro può far parte di più panel contemporaneamente, ad esempio dirigere nel Sevens e nel XV, oppure essere arbitro centrale in alcune competizioni e TMO in altre.

Aurélie Groizeleau, FFR, ha arbitrato nella RWC 2021 (è stata secondo assistente nella finale), nel W6N e nel WXV

La selezione per dirigere una competizione World Rugby — dal Sei Nazioni femminile fino alla Coppa del Mondo — non segue algoritmi segreti, ma è tutt’altro che casuale. Le designazioni sono affidate a un comitato tecnico che opera con strumenti molto sofisticati, in costante dialogo con le federazioni.
I criteri valutati includono:

Etica, imparzialità e background disciplinareAnche il comportamento fuori dal campo conta. World Rugby richiede standard molto alti di integrità e imparzialità. Ogni designazione evita conflitti di interesse evidenti (ad esempio: un arbitro non dirige mai una nazionale della propria federazione, né può arbitrare due volte la stessa squadra nella stessa fase di torneo).
Valutazioni tecniche delle prestazioni recentiOgni partita diretta da un arbitro viene monitorata tramite report ufficiali. World Rugby impiega osservatori tecnici che valutano non solo la correttezza delle decisioni, ma anche lo stile comunicativo, la gestione del vantaggio, la coerenza, la preparazione fisica e l’autorità.
Livello e pressione dell’incontroVengono privilegiati arbitri che hanno già esperienza in match con implicazioni di classifica, contesti ostili, squadre fisiche o stili di gioco opposti. L’obiettivo è affidare partite ad arbitri capaci di gestirle anche dal punto di vista emozionale.
Preparazione atleticaGli arbitri devono superare regolarmente test fisici standardizzati (come lo Yo-Yo Intermittent Recovery Test o l’Agility T-Test), con soglie minime imposte per restare idonei al panel internazionale.
Competenze linguistiche e comunicativePoiché l’inglese è la lingua operativa, gli arbitri devono saper comunicare in modo chiaro e fluente, anche sotto pressione. World Rugby valuta anche la gestualità, la capacità di leadership e l’adattabilità a diversi contesti culturali.

L’arbitraggio femminile oggi

Una questione di qualità

Nel panorama internazionale, la presenza femminile tra gli ufficiali di gara sta crescendo in modo costante, ma non uniforme. I numeri raccontano una realtà in trasformazione: se nei tornei femminili più prestigiosi la parità si può dire raggiunta e addirittura superata, il percorso per una reale equità è ancora in divenire.

Doriane Domenjo, FFR, è stata assistente nel W6N 2024, nel Top 14 femminile,e nel WXV

Guardando ai principali tornei femminili degli ultimi anni — Coppa del Mondo, W6N, WXV — il dato più evidente è l’altissima presenza di donne nel team arbitrale. Nelle edizioni 2014 e 2021 del Mondiale, il 100% di arbitre centrali e assistenti era costituito da donne. Nel W6N 2023, 2024 e nel WXV 2023, la totalità delle direzioni di gara è stata affidata a donne, con l’unica eccezione della postazione TMO, rimasta sempre appannaggio maschile.
Accanto a queste cifre, va segnalato un altro elemento significativo: alcune arbitre — Hollie Davidson, Aimee Barrett-Theron, Sara Cox, Joy Neville — hanno superato la barriera delle designazioni femminili e diretto partite maschili internazionali, anche di club o nazionali senior. È un passaggio simbolicamente forte, che testimonia quanto il livello tecnico di alcune figure sia ormai pienamente riconosciuto.

Ma siamo sicuri che questi dati raccontino solo una storia positiva?
A ben vedere, il quadro è più sfumato. Le stesse statistiche che mostrano un’evoluzione, rivelano anche i suoi limiti. Innanzitutto, il sistema si regge su una manciata di profili ricorrenti. Le designazioni di arbitre centrali nei tornei WR si concentrano sempre sugli stessi 10–12 nomi, spesso coinvolti in più competizioni nello stesso anno: nel W6N 2024, l’83% delle arbitre centrali aveva già diretto nel Sei Nazioni o nel WXV 2023. È una concentrazione che riflette la qualità di queste professioniste, ma anche la scarsità del bacino da cui attingere, soprattutto in alcune federazioni.
Il secondo limite riguarda la totale assenza di donne nel ruolo di TMO e di FPRO (ovvero “Foul Play Review Officer” il cosiddetto “bunker“): tra i sei TMO designati nel WXV 2023, nessuna era donna, e lo stesso vale per le edizioni recenti del Sei Nazioni e della RWC (unica eccezione è l’australiana Rachel Horton nel W6N 2025).
È un paradosso: proprio il ruolo meno esposto, quello dove la voce conta più della presenza fisica, continua a essere saldamente maschile.

Rachel Horton, unica donna ad aver rivestito il ruolo di TMO e FPRO nelle competizioni internazionali femminili (The Courier Mail)

Infine, il nodo più profondo: la divisione funzionale di genere. Oggi nel rugby internazionale esiste una ripartizione quasi automatica — e raramente discussa — secondo cui le donne arbitrano le donne, gli uomini arbitrano gli uomini. Questo assetto non viene imposto per regolamento, ma si è consolidato come una norma di fatto. E se da un lato ha contribuito a far emergere una nuova generazione di arbitre, dall’altro ha cristallizzato un principio di separazione che blocca il confronto diretto tra stili, livelli e criteri di valutazione.
È una parità apparente, che si regge sull’equilibrio instabile dell’esclusione reciproca. Ma non c’è vera equità se una partita femminile non può essere arbitrata da un uomo con la stessa naturalezza con cui una donna potrebbe arbitrare una maschile — perché, di fatto, oggi solo la seconda ipotesi è percepita come problematica, delicata, “da valutare”.
E questa asimmetria, oltre a rallentare il percorso delle arbitre verso la piena integrazione, priva anche gli arbitri uomini della possibilità di confrontarsi con il rugby femminile — uno spazio tecnico complesso, veloce, in continua evoluzione.

Se vogliamo davvero superare le barriere, non basta moltiplicare le designazioni femminili nei tornei femminili. Serve immaginare e praticare un’arbitraggio misto, trasversale, libero da ruoli precostituiti. Dove l’autorità non è una questione di genere, ma di competenza.

Holly Wood, RFU, arbitra nel W6N, attiva in Premier 15s e nel World Rugby Sevens Series.

E in Italia? Il cammino è più lento, ma non assente. Stando a quanto è possibile stimare dai comunicati FIR e dai dati resi disponibili dai Comitati Regionali, tra il 2018 e il 2023 il numero di arbitre è cresciuto costantemente, raggiungendo tuttavia l’esigua percentuale del 10%. Ciò nonostante, le arbitre italiane non solo sono attive in tutte le categorie nazionali femminili e giovanili e, in alcuni casi, anche nei campionati senior maschili, ma hanno una buona presenza anche nei panel internazionali: in ogni competizione (femminile) di World Rugby si accerta la presenza di almeno un’arbitra italiana – ultimamente anche due.

Maria Giovanna Pacifico, FIR, annovera presenze in Serie A e nel rugby femminile d’élite, ha diretto test match internazionali.

Un ruolo in evoluzione: la professionalizzazione (parziale)

Nel rugby maschile professionistico, l’arbitro è una figura contrattualizzata a tempo pieno: analisi video, preparazione atletica dedicata, e compensi (più o meno) stabili. Ma questo modello, nel femminile, non è ancora la norma.
Chiariamoci, nemmeno tra gli uomini sono in molti a poter svolgere la professione arbitrale a tempo pieno. Ciò detto, se per i maschi ci sono anche 5 o 6 arbitri full-time per federazione di Tier 1, per le femmine ci sono 5 o 6 arbitre full-time al mondo.
Le prime arbitre ad aver ottenuto un contratto professionale con le proprie federazioni sono state Sara Cox (RFU, 2016) e Hollie Davidson (Scottish Rugby, 2017). Anche Joy Neville e Aimee Barrett-Theron sono oggi sostenute da programmi federali o da World Rugby. Tuttavia, la maggior parte delle arbitre, anche a livello internazionale, continua a svolgere altri lavori e a gestire l’arbitraggio come attività secondaria, inclusa l’Italia dove nemmeno le più note arbitre possono vivere di solo rugby, come dichiarato da Clara Munarini nel 2022.

Maria Beatrice Benvenuti (Avvenire)

Questo comporta tempi più lunghi di formazione, meno occasioni di confronto con l’élite e un ricambio più lento. Inoltre, molti tornei femminili di alto livello (compreso il WXV) non garantiscono ancora condizioni economiche e logistiche comparabili a quelli maschili. Il rischio è chiaro: una professionalizzazione solo parziale rischia di alimentare nuove disuguaglianze, proprio laddove si vorrebbe costruire una parità sostanziale. Le arbitre che oggi emergono nel panorama mondiale lo fanno spesso non grazie al sistema, ma nonostante esso.

Precious Pazani, Zimbawe, prima africana – extra-Sudafrica – a dirigere un match del W6N (Italia–Inghilterra 2024).

I volti del cambiamento: storie di arbitre

Arbitre internazionali

Per quanto poche, è impossibile menzionare tutte le arbitre che hanno rappresentato delle pietre nel rugby. Per questa ragione, e per non ridurre tutto a una tabella con nomi e una o due partite, vi racconterò qualcosa di cinque arbitre internazionali, le uniche cinque che ad oggi sono riuscite a infrangere il muro del rugby maschile…

Hollie Davidson

Scottish Rugby Union (SRU) – Classe 1992

Hollie Davidson arbitra il test match tra Sud Africa e Portogallo (Woman&Home)

Nata e cresciuta ad Aberdeen, Hollie Davidson si avvicina al rugby da giocatrice: è una ex mediana di mischia del Watsonians RFC. Dopo un infortunio e qualche resistenza, nel 2015 sceglie di passare all’arbitraggio, sostenuta dalla Scottish Rugby Union. Fa il suo debutto internazionale nel World Rugby Sevens Series nel 2017, diventando in breve tempo un volto ricorrente del rugby femminile d’élite.
Nel 2022 scrive la storia: dirige Cile – Scozia a Santiago, diventando la prima donna a fischiare un test match tra una nazionale Tier 1 e una Tier 2. Ha poi arbitrato anche nel URC, nel Super Rugby Americas, in diverse edizioni del WXV e in match maschili a livello di club.
A livello femminile, ha diretto alcune delle partite più importanti del panorama internazionale (Francia vs Nuova Zelanda – RWC 2021, gironi; Inghilterra vs Canada -RWC 2021 semifinale; Francia vs Inghilterra – W6N 2022; Francia vs Australia (Dunedin, WXV 2023; Galles vs Francia – W6N 2024). Durante il W6N 2025 ha arbitrato la partita d’esordio del torneo tra Irlanda e Francia. Non è mancata anche come assistente e TMO in match di altissimo livello: nel 2022 è stata seconda arbitra in Irlanda vs Galles e Inghilterra vs Galles durante il Sei Nazioni, e ha ricoperto il ruolo di TMO in diverse gare maschili e femminili.
È nota per uno stile deciso ma pacato, con comunicazione chiara e una gestione molto “pulita” delle fasi statiche.
Davidson è oggi una arbitra full time per Scottish Rugby e parte del panel World Rugby. È considerata una delle principali candidate a dirigere la finale del prossimo Mondiale femminile.

Sara Cox

Rugby Football Union – Classe 1990

Sara Cox arbitra la partita di Premiership tra Harlequins e Worcester Warriors (Sky Sports)

Nata nel Devon, Sara Cox ha iniziato la sua carriera rugbistica come giocatrice per club come Exeter, Saracens, Cullompton e Plymouth Albion. Dopo un infortunio all’età di 17 anni, ha deciso di intraprendere la carriera arbitrale.
Nel 2014, ha arbitrato alla Coppa del Mondo Femminile in Francia. Due anni dopo, nel 2016, è diventata la prima donna al mondo ad essere assunta come arbitra professionista dalla Rugby Football Union (RFU). Nello stesso anno, ha diretto la finale della Women’s Premiership tra Richmond e Saracens e ha partecipato come unica rappresentante inglese al torneo di rugby a sette durante le Olimpiadi di Rio 2016.
Il 25 settembre 2021, ha segnato un’altra pietra miliare diventando la prima donna ad arbitrare una partita della Premiership Rugby, dirigendo l’incontro tra Harlequins e Worcester Warriors al Twickenham Stoop. Nel giugno 2023, è stata insignita del titolo di MBE (Member of the Order of the British Empire) per i suoi servizi al rugby.
Sara Cox è riconosciuta per il suo stile di arbitraggio autorevole e la sua capacità di gestire con calma e precisione le dinamiche di gioco, rappresentando un modello ispiratore per aspiranti arbitre nel rugby internazionale.

Joy Neville

Irish Rugby Football Union – Classe 1983

Joy Neville (Sky Sports)

Se oggi un’arbitra può sognare di dirigere una finale di Coppa del Mondo, è anche grazie a lei. Joy Neville ha fatto molto più che aprire la strada: l’ha percorsa da protagonista, in campo e fuori.
Ex numero 8 della nazionale irlandese, con cui ha vinto il Sei Nazioni 2013 con Grande Slam, Neville ha chiuso la carriera da giocatrice con più di 70 caps e un carisma che non si è mai spento. Appesi gli scarpini al chiodo, ha iniziato quasi per sfida a dirigere partite nei tornei scolastici, ma in pochi anni è diventata una presenza costante nelle grandi competizioni europee — maschili e femminili.
Nel 2017, è stata la prima donna ad arbitrare un match di Challenge Cup maschile (Bordeaux vs Enisei), e pochi mesi dopo ha diretto la finale del Mondiale femminile tra Inghilterra e Nuova Zelanda. In quello stesso anno, World Rugby l’ha nominata Arbitro dell’anno, seconda donna nella storia a ricevere il riconoscimento dieci anni dopo Sarah Corrigan nel 2007.
È entrata anche nella storia della United Rugby Championship, del Pro14 e della Champions Cup come prima donna a coprire il ruolo di TMO in partite di alto livello maschile. Ma il punto più alto — almeno per ora — è arrivato nel 2023, quando è diventata la prima donna selezionata come TMO per la Coppa del Mondo maschile. Nelle immagini dell’Allianz Riviera, dietro agli schermi di Francia-Namibia o di Scozia-Tonga, c’era lei.
Neville è nota per una comunicazione diretta, autorevole ma empatica, e per una grande intelligenza situazionale. Il suo stile ha influenzato un’intera generazione di arbitre.

Aimee Barrett-Theron

South Africa Rugby Union – Classe 1987

Aimee Barrett-Theron (Netwerk24)

Nata a Città del Capo, Aimee Barrett-Theron ha avuto una carriera poliedrica nel rugby, giocando come estremo, centro o mediano d’apertura. Ha rappresentato il Sudafrica a livello Under-20 nel 2008 e ha fatto parte della nazionale maggiore tra il 2008 e il 2012, partecipando alla Coppa del Mondo Femminile 2010 in Inghilterra.
Parallelamente, ha eccelso nel rugby a sette, rappresentando il Sudafrica in tre Touch World Cups, una Coppa del Mondo di Rugby a Sette e alle Olimpiadi di Rio 2016, dove ha fatto parte del panel arbitrale.
Nel dicembre 2016, è stata inserita nel National B panel dell’Associazione degli Arbitri di Rugby del Sudafrica, diventando la prima donna nella storia a raggiungere questo traguardo. Ha continuato a infrangere barriere, diventando la prima donna sudafricana ad arbitrare partite in competizioni maschili di alto livello, tra cui la Craven Week, la Varsity Cup, la Currie Cup, il Super Rugby e l’United Rugby Championship (URC).
Nel settembre 2024, ha raggiunto un traguardo storico diventando la prima donna ad arbitrare 40 test match internazionali (seguita una settimana dopo da Sara Cox), dirigendo l’incontro tra Inghilterra e Black Ferns a Twickenham.
Aimee Barrett-Theron è riconosciuta per la sua dedizione e professionalità, rappresentando un modello di eccellenza nell’arbitraggio internazionale.

Kat Roche

USA Rugby – Classe 1990

Kat Roche arbitra il test match tra Fiji e Australia (World Rugby)

Tra le voci nuove del fischietto internazionale, Kat Roche è forse la più nitida. Americana della Pennsylvania, ex giocatrice, è entrata nel mondo arbitrale dopo l’università grazie a un programma di sviluppo giovanile di USA Rugby. E da lì non si è più fermata.
Ha esordito nel circuito internazionale nel World Rugby Sevens Series, poi è passata stabilmente al rugby a XV, dirigendo incontri della Major League Rugby maschile, della Premier Rugby Sevens e dei test match femminili del continente americano. Nel 2021, ha arbitrato USA vs Canada a Glendale — il primo derby nordamericano diretto da una donna statunitense.
È diventata un punto di riferimento per l’arbitraggio nel Nord America: ha diretto nel WXV 2023 (tra cui Sudafrica–Giappone) e nel Women’s Six Nations 2022 (Irlanda–Galles a Dublino), ed è stata designata anche in Coppa del Mondo 2021 (giocata nel 2022), dove ha ricoperto ruoli da assistente e quarto ufficiale in più partite, inclusa la prestigiosa Francia–Inghilterra a Whangārei.
Kat Roche ha uno stile dinamico, moderno, con una comunicazione molto diretta, apprezzata per la capacità di leggere le partite con lucidità. È anche una figura mediatica: è attiva nella promozione del ruolo arbitrale tra le nuove generazioni, ospite frequente di podcast e seminari, e protagonista di iniziative World Rugby per l’equità di genere nella formazione tecnica.

Arbitre nazionali

Abbiamo visto prima che le arbitre in Italia sono solo il 10% del totale, eppure le nostre donne si sono imposte nel panorama internazionale, costruendo carriere paradigmatiche. Anche in questo caso, non posso raccontarvi di tutte loro, ma solo di qualcuna e ho scelto, per le eccellenti carriere internazionali, di raccontarvi di Clara Munarini e Lauren Jenner.

Clara Munarini

Federazione Italiana Rugby – Classe 1990

Clara Munarini (OA Sports)

Parmarese, laureata in Economia, Clara Munarini entra nel mondo dell’arbitraggio nel 2012 quasi per caso, seguendo un corso organizzato dal Comitato Regionale FIR. In meno di tre anni dirige la sua prima finale di Serie A femminile, e nel 2017 esordisce come internazionale in occasione dell’European Women’s Trophy a Ostrava.
Da lì, il salto è rapido: nel 2019 debutta nel Sei Nazioni femminile con Galles–Inghilterra a Cardiff. Da allora, è stata una presenza costante: nel W6N 2022 dirige Scozia–Francia ed è assistente in due partite chiave. Nel 2023 e 2024 è di nuovo sul campo, e nel 2025 World Rugby le assegna ben tre partite del torneo (due come ufficiale di gara e una come primo assistente), segno della piena fiducia acquisita. Per questo, sabato 15 marzo la FIR le ha consegnato il cap che la Federazione ha istituito per i suoi arbitri che hanno diretto almeno un test del Sei Nazioni, maschile o femminile (il cap è stato consegnato anche a Andrea Piardi e verrà consegnato a Lauren Jenner).
Il suo percorso non è tutto qui. Nel 2021 diventa la prima donna ad arbitrare una partita del massimo campionato maschile italiano (Peroni TOP10): Viadana–Colorno. L’anno dopo è scelta per dirigere la finale di Coppa Italia maschile, un traguardo storico per il movimento arbitrale nazionale.
Nel 2022, Munarini partecipa alla Coppa del Mondo femminile in Nuova Zelanda, dirigendo USA–Giappone e Scozia–Nuova Zelanda. È oggi l’unica italiana (donna o uomo) stabilmente inserita nel panel internazionale di World Rugby.

Lauren Jenner

Federazione Italiana Rugby (FIR) – Classe 1995

Lauren Jenner (1News)

Lauren Jenner è una delle più giovani arbitre nel panel World Rugby, ma il suo curriculum ha già lo spessore di una veterana. Nata e cresciuta a Waikato, ha iniziato ad arbitrare a 18 anni, passando rapidamente dal rugby scolastico al circuito provinciale. A soli 23 anni viene selezionata per arbitrare il Farah Palmer Cup, massimo campionato femminile neozelandese.
Nel 2019 entra nel radar internazionale con la Oceania Rugby Championship, e l’anno dopo fa il suo esordio nei tornei World Rugby Sevens. La svolta arriva nel 2022, quando viene scelta per la Coppa del Mondo femminile: dirige Galles–Australia, Francia–Figi e la semifinale Inghilterra–Canada. È uno dei nomi più presenti anche nel WXV 2023, dove dirige Inghilterra–Canada nella fase finale.
Nel W6N 2023 e 2024 è tra le pochissime arbitre extraeuropee selezionate, dirigendo partite di peso come Scozia–Galles e Francia–Inghilterra.
Dotata di una presenza forte ma composta, Jenner si distingue per rapidità di decisione e fermezza nei punti d’incontro. In patria è già considerata l’erede naturale di arbitre come Glen Jackson e Ben O’Keeffe.

Ma perché se è nata e cresciuta in Nuova Zelanda, Lauren Jenner è accreditata presso World Rugby come arbitro FIR?
Il legame di Jenner con la Federazione Italiana Rugby (FIR) nasce nel 2022, quando si trasferisce in Italia a seguito dell’ingaggio del marito, il rugbista Scott Scrafton, presso il Benetton Rugby di Treviso. A seguito di questo trasferimento, Jenner si è tesserata presso la commissione nazionale arbitrale della FIR, rappresentando così l’Italia negli incontri internazionali.

È davvero l’era delle arbitre?

I numeri crescono, le designazioni si moltiplicano, i profili sono sempre più preparati. Ma dire che siamo entrati nell’“era delle arbitre” è un’affermazione ovviamente provocatoria.
Sì, il cambiamento è in atto. Non più una manciata di pioniere, ma una generazione intera di arbitre che si formano, si confrontano, si affermano. Donne che oggi dirigono test match internazionali, finali mondiali, partite maschili. E non ci arrivano “nonostante” siano donne — ci arrivano perché sono brave.
Eppure, la piena parità è ancora un orizzonte, non una realtà. Le arbitre sono ancora una netta minoranza nelle federazioni. I ruoli di vertice tecnico restano in gran parte maschili. E anche nel linguaggio (non solo sportivo) l’autorità femminile resta spesso un corpo estraneo, qualcosa da legittimare con prove supplementari.
Ma le cose stanno cambiando, anche perché le arbitre portano qualcosa di diverso. Un approccio comunicativo meno gerarchico, una lettura empatica del gioco, una capacità — spesso coltivata a caro prezzo — di lavorare in contesti ostili senza perdere lucidità. Non sarà l’etichetta di “era” a fare la differenza. La differenza la fanno le competenze, le opportunità e la possibilità di emergere senza dover dimostrare due volte il proprio valore. Quando una donna arbitra una finale e nessuno ha più bisogno di farlo notare, forse sarà davvero l’era delle arbitre.

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