Premessalo scopo di Carborugby con questa serie di interviste è quello di far raccontare le realtà del sud Italia dai suoi protagonisti. Le opinioni espresse nelle interviste sono da intendere nell’ottica di un dibattito sul tema, che la redazione spera di riuscire a suscitare nella comunità del rugby italiano, senza esprimere una propria posizione perché ne benefici il dialogo stesso. Le domande proposte nelle interviste sono state realizzate dal team di Carborugby e dal pubblico sui social media.

Dopo aver intervistato il CUS Catania e Orazio Arancio, ho deciso di parlare con Francesco Urbani, responsabile FIR per il rugby di base. Il contatto di Francesco mi è arrivato tramite Silvia Gaudino, membro della commissione per il rilancio del Sud.

Francesco Urbani – fonte @NPR

Sei il responsabile per il rugby di base, cosa significa e cosa fai nel tuo lavoro giornaliero?

“Il mio ruolo è quello di coordinare l’attività dei comitati regionali per tutti gli ambiti, è chiaro che poi è più orientato di più verso i campionati e le attività giovanili, ma fondamentalmente un po’ tutto quello che rientra nell’attività di base. Coordino i tecnici regionali che sono i riferimenti della FIR sul territorio, collaborando con la struttura politica dei presidenti e dei consigli per armonizzare il lavoro e sviluppare le progettualità sui vari territori. All’interno di questo ambito, essendo l’attività del progetto Sud molto mirata al rugby di base, anzi principalmente mirata al rugby di base perché è da li che bisogna ripartire, è chiaro che si è deciso di far rientrare il progetto Sud sotto l’egida della struttura del rugby di base che vede oltre a me, la presenza di Maria Cristina Tonna che si occupa del settore femminile e la presenza di Francesco Grosso che si occupa di promozione e sviluppo. Questo è l’organigramma del rugby di base che coordina anche le attività del progetto Sud.”

Maria Cristina Tonna – fonte DonnaModerna
Francesco Grosso – fonte @Gazzettadellosport

Quali sono gli aspetti che la FIR ha identificato come strategici per lo sviluppo del rugby al Sud?

“Il progetto è abbastanza complesso e completo, si è orientato a 360 gradi e ha previsto vari ambiti e step su cui intervenire. Si parte da situazioni di risorse dirette ai club e questo anno ci sono stati dei fondi straordinari messi a disposizione per l’intero rugby di base con l’aggiunta di fondi esclusivi per il Sud. Questi sono stati tradotti in fondi diretti a disposizione dei club, chiaramente attribuiti verso le progettualità che i club sviluppavano. Ogni club ha presentato un progetto che è stato valutato a seconda di quelli che sono gli obbiettivi e a seguito dell’approvazione del progetto, sono stati usati i fondi per i club che ne avevano diritto. Questo rientra nelle risorse dirette, poi è chiaro che non si può vivere solo di risorse dirette, bisogna intervenire anche sulla struttura di quella che è una società, quindi gran parte del progetto Sud passa attraverso la formazione. È fondamentale lavorare su questo ambito e per formazione la intendiamo nel senso più ampio, quindi formazione degli allenatori attraverso la presenza di un formatore nazionale, Andrea Cavinato, che visita le regioni a rotazione tutte le settimane e si occupa sia della formazione dei giocatori con attività di selezione con un target sui 16/17 anni e contestualmente a questo organizza corsi per gli allenatori, quindi fa parallelamente formazione dei tecnici e formazione dei giocatori. C’è poi un corso di formazione per le altre categorie come il mini rugby che noi identifichiamo dalla u13 in giù e in questo caso abbiamo Alessandro Cialone che è il coordinatore di “promozione e sviluppo” per l’area Sud e lui organizza corsi di formazione per tecnici in base all’attività sportiva dei ragazzi in campo. Abbiamo strutturato anche i corsi di formazione per i dirigenti e questo è un tema caldo… faccio una precisazione: non si fanno cose diverse al Sud, queste sono esigenze che possono essere sovrapposte alle altre regioni d’Italia, ma è chiaro che lì ci sono altre problematiche e quindi c’è bisogno di più intensità sulle azioni che si fanno. Bisogna muovere più massa critica e cercare di coinvolgere a livello numerico allenatori e dirigenti. Per questo è stato creato un percorso di formazione per dirigenti, questo chiaramente da remoto perché è molto più difficile far spostare i dirigenti dei club, però sono state affrontate varie tematiche a partire dalla gestione della società e delle risorse umane, la comunicazione, sull’organizzazione degli eventi e sul marketing. C’è stata addirittura una parte legata agli addetti stampa dei club. Sono stati già effettuati 16 blocchi di formazione dalla stagione scorsa di 2 ore ciascuno, divisi sulle varie tematiche e ce ne saranno sicuramente degli altri da qui alla fine dell’anno. Inizialmente abbiamo scelto noi quelli che potevano essere gli argomenti generali che pensavamo potessero essere utili, ma chiaramente nel percorso abbiamo raccolto feedback tra i partecipanti, le società e i comitati regionali e quindi la seconda parte sarà sugli argomenti suggeriti dal confronto con il territorio. Poi c’è tutta la parte che rientra in “formazione e sviluppo“, quindi sostegno ai club per le iniziative scolastiche, le progettualità di open day e tutte le situazioni che possono creare dei momenti mirati al reclutamento, la promozione e lo sviluppo del rugby. Su questo, oltre al coordinatore Alessandro Cialone, abbiamo inserito 4 ragazzi nuovi che si dividono nelle varie zone e sono a supporto della commissione. Questo significa che ogni società ha un riferimento di zona e ognuno di questi ragazzi gestisce una trentina di club, supportandoli con le attività con le scuole, con la stesura e consegna dei progetti scolastici e con l’organizzazione degli eventi. Siccome l’orientamento è stato molto spinto sull’attività scolastica, questi ragazzi non sono stati inseriti nell’anno sportivo, ma nell’anno solare, questa è una piccola novità, quindi hanno preso servizio a Gennaio fino a Dicembre, perché se con le scuole cominci a lavorare da fine Agosto o Settembre arrivi tardi e altri progetti sono già stati presentati. Quindi questi ragazzi nel periodo estivo oltre a lavorare con le attività estive che fortunatamente al Sud sono sempre presenti, lavorano anche sulla programmazione con le scuole. Poi c’è il progetto congiunto con le Fiamme Oro, il progetto “rugby e legalità“, questo è un altro bel segnale che si da, sono le città coperte dai reparti mobili quindi Palermo, Catania, Taranto, Bari, Napoli, Reggio Calabria e Cagliari. Attraverso questa collaborazione i reparti mobili mettono a disposizione un numero di agenti che vengono formati dal nostro personale e insieme ai club del territorio vanno a fare attività nelle scuole insieme agli educatori, con attività di propaganda e educazione alla legalità sia in aula che in campo. In questo progetto si sposano i valori di quello che fanno loro e quello che fanno i giocatori, è un connubio veramente interessante. Ho partecipato ad alcune delle feste di fine anno scolastico con questo progetto e sembrava che gli agenti avessero fatto gli educatori da una vita. Questa è una fetta molto importante, perché oltre all’aiuto materiale è anche un aiuto formale, quando entri con il biglietto da visita della polizia di stato, anche le scuole che prima non ti volevano fare entrare cambiano idea e questo aiuta chiaramente con i rapporti tra istituzioni. Poi un altro progetto importante è quello di sostengo per la nascita di nuovi club, uno dei problemi del Sud è quello della densità collegato alle difficoltà di spostamento e logistiche. Aumentare il numero delle squadre accorcia le distanze e rende più semplice la possibilità per i ragazzi di giocare la domenica e fare attività congiunte. C’è una parte di fondi destinata a questo, quindi l’analisi di progetti di società che nascono e i loro obbiettivi, approvazione del progetto e finanziamento. Al momento ne sono già nati 7: 2 in Sicilia, 3 in Calabria, 1 in Puglia e 1 in Abruzzo.”

Presentazione del progetto “rugby e legalità” – fonte @Sportale

Quindi al momento intendi dalla nuova presidenza?

“Dall’inizio di questa stagione sportiva, quindi 7 club hanno avuto diritto a questo incentivo per la nascita in zone meno dense.”

Mi hai parlato di fondi, qual è il budget che la FIR dedica per il rugby al Sud?

“C’è stato un budget di 4 milioni di euro generale in tutta Italia e un budget aggiuntivo di 600 mila euro ad uso esclusivo dei comitati e delle società del Sud.”

Dalla Campania ci chiedono cosa sta facendo la FIR per le piccole società del Sud.

“Hanno a disposizione delle persone di riferimento in “Promozione e Sviluppo” oltre alle strutture regionali, perché non ci dimentichiamo che ogni comitato regionale ha una sua struttura di riferimento composta dal tecnico regionale e i tecnici a supporto, quindi già una rete molto ramificata e presente sul territorio. Quindi oltre a questo, abbiamo messo a disposizione delle figure specializzate in questo ambito, perché il piccolo club non ha bisogno di grandi cose, ma ha bisogno di aiuto per quello che riguarda l’attività di promozione e reclutamento, quindi l’obbiettivo è aumentare i numeri e crescere con le squadre. Questa è la parte più importante, in più c’è stata la possibilità di sviluppare progetti personalizzati e ricevere fondi diretti. Questo secondo me è un cambio di paradigma importante, cioè non partire da una progettualità centrale e adattarle alle esigenze dei club, ma valutare il progetto del club stesso e, se si ritiene valido, anche se ha un indirizzo diverso da quelle che possono essere le linee generali, comunque finanziarlo perché se il progetto è valido deve essere finanziato.”

Qual è secondo te fino ad adesso il risultato più importante raggiunto dalla FIR con la nuova presidenza per il rugby al Sud?

“Per me la cosa importante è legata ai numeri, ho fatto un’analisi globale guardando il numero di tesserati di tutti gli ambiti partendo dagli allenatori ai giocatori del mini rugby, perché se parliamo di sviluppo, parliamo di tutte le componenti. A Febbraio 2020, quando abbiamo interrotto le attività c’erano circa 11.500 tesserati globali sulle regioni del Sud, poi sono andato a vedere Ottobre 2021 quando abbiamo riaperto il cancello e la situazione era sui 7.500 tesserati globali. Ottobre del 2022 la misurazione ci ha detto che eravamo sui 7.500/7.600, quindi abbiamo stabilizzato la situazione di partenza aumentandola di qualche tesserato. Ad oggi siamo tornati sui livelli di Febbraio 2020, perché siamo a 11.200 contro gli 11.500 che erano quelli di Febbraio 2020.”

Quindi il più grande risultato è stato quello di riportare la gente a giocare a rugby al Sud post pandemia

“Esatto, quindi riportare entusiasmo e tutte le componenti che servono per sviluppare il rugby: dai ragazzi e le ragazze che giocano, ai dirigenti, gli arbitri ecc. Sicuramente questo è stato un buon risultato, ma è il frutto del risultato più importante che è la visione che ha dato questa nuova governance che è quella di presenza sul territorio. Quando ti parlavo delle figure che abbiamo inserito, non è che c’è la necessità di creare doppioni, ma c’è proprio la volontà di FIR di essere sul territorio. Mi sono reso conto che viaggiando ed essendo presente, è li che chiunque riesce a prendere informazione e capire quali sono le vere esigenze. Solo in questo modo FIR può capire quello che realmente avviene, quello di cui c’è bisogno, può adattare quelle che sono le progettualità messe in piedi e fare quello che è necessario per lo sviluppo. Credo che già questi siano due passaggi importanti, non per ultimo, credo sia stata la prima volta che sia stato messo un budget solo ed esclusivamente per le regioni del Sud.”

Per quanto riguarda la presenza sul territorio, dalla Sicilia ci chiedono cos’è stato il progetto Sud oltre alle conferenze su Zoom. Chiaramente me lo hai appena spiegato dandomi tutto il quadro complessivo, ma riguardo a questa critica come risponderesti?

“Ti posso dire che sono stati fatti più di 40 allenamenti per i ragazzi dell’under17 e quelli del mini rugby, quindi momenti di formazione in loco su tutte le regioni. Ogni regione mediamente ha una presenza sulla formazione dei giocatori di almeno una volta ogni 3 settimane, dove c’è più bisogno una volta ogni 15 giorni e dove serve di meno una volta al mese. È una presenza costante e continua dei nostri formatori sul territorio e quindi come dicevo la presenza non è solo attraverso Zoom, ma anche attraverso le persone che sono sul territorio.

Andrea Cavinato allo Stadio della Vittoria di Bari – fonte @Bariinrete

Ho visto che Cavinato e Pratichetti hanno fatto corsi di formazione anche al centro sperimentale di Catania

“Ti dirò di più, per noi diventa fondamentale riconoscere tutti i territori, questo è stato un altro grande segnale che abbiamo dato. È vero che ci sono dei territori in cui c’è più massa critica e necessità, ma la presenza deve essere comunque costante, poi quello che cambia è quello che fai. Nel territorio che ha un esigenza più orientata verso lo sviluppo dei giocatori e la formazione farai un tipo di lavoro, mentre in una realtà che ha meno massa critica e giocatori farai un altro tipo di lavoro. Per noi diventa fondamentale che la presenza sia costante e continua, anche il Sud che è diverso rispetto a tutto il resto d’Italia, al suo interno è ancora tanto eterogeneo con tutte le realtà che ci sono, è una “nazione nella nazione”, potremmo definirla così.”

Sui social una delle domande più frequenti quando vediamo le assegnazioni per i test match della nazionale è: perché non vengono fatte partite della nazionale al Sud?

“Perché in questo momento sono aumentate le richieste da parte dell’organo internazionale che organizza le partite per quanto riguarda la potenzialità delle strutture, i campi da gioco e tutte le situazioni da mettere a disposizione per l’organizzazione della partita. Diventa più difficile in questo momento trovare al Sud degli stadi e delle realtà che possano rispondere a tutte le richieste internazionali. Chiaramente legato a questo ci sono anche gli investimenti necessari, però è sicuramente un obbiettivo di FIR nell’immediato portare attività non necessariamente seniores, ma anche con le nazionali giovanili ci sono delle regole un po’ più lasse che ti permettono di tornare giù”

Si questa è una domanda molto frequente sui social perché vediamo la nazionale giocare al Plebiscito, al Franchi o al Ferraris ma anche il Sud ha i suoi stadi importanti come il Massimino, il San Nicola a Bari ecc.

“Non conta solo lo stadio di per sé, le richieste sono molto più dettagliate, si parla addirittura di spogliatoi per i raccattapalle e ci sono delle situazioni un po’ esagerate. Bisogna poi trovare la volontà da parte delle istituzioni per ospitare questi eventi, diventa difficile perché già si alza l’asticella da un lato e noi dobbiamo “imporci” quando dobbiamo avere a che fare con le istituzioni e quindi è più difficile permeare poi per riuscire ad organizzare. In un momento di emergenza è chiaro che delle situazioni complicate necessitano di più tempo per essere organizzate, quindi questo farà si che è questa cosa sia solo spostata ma l’intenzione c’è.”

C’è un piano per la costruzione di strutture nel Sud? Per questa domanda ti chiedo di parlarmi del caso di Palermo.

“L’attenzione per l’impiantistica è generale, tante problematiche che ho riscontrato al Sud le ho viste anche nelle realtà del Nord. Si è deciso di agire in modo globale, è stato fatto un bando per quanto riguarda l’impiantistica ed è già stata fatta una prima mandata di questo bando, adesso probabilmente verrà riaperto per distribuire le risorse che sono a disposizione e questo è chiaramente mirato per quelle società che hanno già una struttura e devono intervenire su quella struttura per rimodernare gli spogliatoi, fare una palestra o gli impianti di illuminazione. Su questo non ci sono situazioni particolari, ma perché c’è un intervento a livello nazionale. Per quanto riguarda Palermo, è una situazione complicata perché ci sono di mezzo anche le istituzioni e il comune, si sta ragionando a 360 gradi anche con componenti che esulano il discorso FIR, ma c’è la volontà di trovare un accordo per l’utilizzo di un’infrastruttura da mettere a disposizione per le società del territorio che si stanno battendo tanto. Sono stato molte volte a Palermo e loro nonostante le difficoltà continuano a sviluppare rugby sia a livello maschile che femminile, quindi sicuramente sono attivi anche loro sul territorio per aiutarsi e aiutarci a trovare una soluzione, quindi devo dire che secondo me siamo quasi in dirittura di arrivo per quella soluzione.

Foto dalla pagina instagram del Palermo Rugby – fonte ASD Rugby Palermo

Si era parlato del centro federale a Malvagno, una delle critiche che si è letta nei commenti è che riguardo alla proporzione dell’attività rugbystica di Palermo rispetto a Catania, avrebbe avuto più senso crearlo a Catania o in altre città che avrebbero avuto più benefici da questo tipo di intervento

“Si però li bisogna capire l’opportunità che ti si presenta, perché li in quel momento si era presentata l’opportunità di poter prendere e gestire un campo di quella portata, che comunque è un campo che è situato in una zona buona di Palermo, di fianco al parco della Favorita, anche se poi la zona interna non è delle migliori e andrebbe riqualificata, però di per sé il contesto è buono. Bisogna capire quali sono le occasioni che si presentano e le esigenze che si hanno. Se si fa il ragionamento “quanti numeri hai?” e in base a quello c’è bisogno di un campo, la cosa non regge, però nel momento in cui c’è un’opportunità anche se poi si è visto che c’erano delle problematiche anche burocratiche, ma al di là di quello quando si presenta un’opportunità come quella di Palermo che comunque ha un vissuto storico e ha una solidità, è chiaro che ci può essere il passaggio di provare ad investire in quella situazione lì.”

Il campo Malvagno, Palermo – fonte Leviedeitesori

Uno dei temi più caldi che ci hanno raccontato in Sicilia, è il fatto che in campagna elettorale il rilancio del Sud era stata messa come la priorità, poi rispetto a quanto è stato fatto o almeno quello si è visto, è arrivato poco. Come viene vista da parte della FIR questa critica?

“Bisogna sempre capire cosa si intende per poco e cosa si intende per fatto e non aver fatto. Noi abbiamo preso una linea del fare, di essere presenti nell’attività del quotidiano. Chiaro che questo tipo di attività non ti rilascia la notizia eclatante, ma è costruire mattone dopo mattone ed esserci a sostegno. Questo determina un percorso che piano piano va avanti. Io ti ribalto la domanda, sfido chiunque a dire che non ha trovato a disposizione, qualora avesse bisogno di un tecnico che nel giro di poco fosse presente nella struttura o un tecnico che ha raccolto delle esigenze, una persona addetta che sia stata a disposizione e che abbia accantonato delle richieste. Alla fine è questo, abbiamo fatto delle manifestazioni con le Fiamme Oro e vanno bene, serve anche quello, il momento pubblicitario, il lancio e far vedere quello che si sta facendo. Noi abbiamo scelto il quotidiano, la via del lavoro continuativo, la via dell’essere presenti a 360 gradi su tutti gli ambiti. Chiaro che l’ambito della formazione e del sostegno tecnico non sono cose percettibili dall’opinione pubblica, è naturale. Però ripeto,


“sfido chiunque a poter dire che non ci sia stata da parte di FIR la presenza quotidiana e continuativa sul territorio del Sud per la crescita, questo credo nessuno potrà mai dirlo.”

Quindi potrebbe essere che ci sia un problema di come viene raccontato? Perché se il lavoro quotidiano c’è forse manca il racconto di questo lavoro tramite i social.

“Beh si, non sono un grosso esperto in materia, su questo sei più bravo tu (ride ndr), però è vero che molte volte conta più il racconto di quello che si fa e forse questo un pò lo stiamo pagando, ma proprio per la scelta di essere più presenti operativamente. Però si, si può migliorare la comunicazione sicuramente anche se non è il mio ambito, perché è vero che se una situazione non viene percepita la colpa non è solo di chi non riesce a percepirla, ma anche di chi non la riesce a comunicare bene. Quindi probabilmente l’evoluzione che possiamo fare è come stiamo facendo oggi, anzi ne approfitto per ringraziarti per questa opportunità che ci hai dato e come stiamo facendo oggi trovare il tempo per raccontare, raccontarsi e rispondere alle domande. Questa è una cosa su cui possiamo migliorare tanto e anzi, ci hai dato un buono spunto oltre che l’opportunità anche per il futuro.”

Ma infatti io e gli altri ragazzi del team leggiamo di rugby ogni giorno e proprio il fatto che di rugby al Sud se ne parla veramente poco, mi ha spinto ad approfondire questo tema, anche per quelle persone che magari vogliono avvicinarsi al rugby al Sud e non ne sentono parlare

“Ma infatti è molto importante e apprezzato, perché come si dice nella formazione “saper fare e far sapere” (ride ndr) non entrambe le cose. In questo dobbiamo migliorare sicuramente.”

Un’altra delle critiche che è emersa, è il fatto che in Italia ci perdiamo sistematicamente tutto il bacino di giocatori del Sud perché non hanno le strutture ed infrastrutture necessarie per mettersi in mostra ed eventualmente salire di livello.

“Mah su questo ti dico che le strutture ci sono, perché comunque il centro di formazione di Roma ha sempre raccolto i talenti del Sud e questo anno è rimasto ed è andato in continuità con quelli che erano gli anni precedenti sulla formazione. L’attenzione c’è sempre stata perché il punto di riferimento c’è, è chiaro che qui si vive un duplice problema che oltre che sportivo, c’è anche un esodo sociale generale. Si fa fatica un po’ al Sud a trattenere i ragazzi sia a livello sportivo che a livello generale. Questo rende la situazione molto più fluttuante e nel momento in cui si costruiscono dei gruppi e delle squadre, si fa fatica a dare continuità. Però per anni secondo me c’è stato il problema inverso, questi ragazzi che avevano del talento e delle possibilità fortunatamente sono stati intercettati e gli è stata data la possibilità attraverso i centri di formazione generali, ma anche molti club che si sono organizzati con le accademie che accogliessero e valorizzassero i ragazzi. Secondo me è proprio questo che si dovrebbe ridare, quindi delle opportunità forti, delle situazioni concrete e consolidate al Sud, fa si che anche i migliori talenti possano andare via, ma nel momento in cui hanno potuto fare tutta la formazione in casa loro e poi arrivati a certi livelli e a una certa età, è chiaro che poi le scelte sono fatte in quel senso. Secondo me stiamo andando in quella via con questi percorsi di formazione, portando li le persone creando momenti di aggregazione, attività di stage di più giorni e tutte le situazioni che possano gratificare i ragazzi in casa loro, senza sentire la necessità di trovare uno sbocco altrove.”

Parliamo di Sicilia, uno degli aspetti più critici per i club sono le trasferte in aereo e la questa disparità con i club del nord, sostenendo che a situazioni diverse ci dovrebbe essere un tipo di supporto diverso da parte della FIR per riuscire ad alzare il livello.

“Il sistema di contributo per i club che giocano in serie A e B è collegato ai rimborsi chilometrici e in tutte le parti d’Italia ci sono realtà che si spostano. È chiaro che la situazione delle isole in questo sono particolari nella particolarità avendo questo handicap in più, però li sono previsti dei contributi fissi ogni domenica per gli spostamenti via aereo. È chiaro che non sono sufficienti e non sono sufficienti a 360 gradi al di fuori del Sud. Tante realtà sono in difficoltà economica e devono affrontare situazioni meno disagevoli di questa, ma comunque devono affrontarli. L’attenzione c’è su questo punto, a livello seniores si parte attraverso questa forma di rimborsi e a livello juniores si cerca di creare delle situazioni più agevoli, cercare di andare quando si può anche in deroga sul numero di squadre nei campionati e cercare di organizzare le attività in modo che si debbano fare meno spostamenti. In questa fase post pandemica abbiamo lavorato sull’aspetto regolamentare ed organizzativo, sia sul numero di giocatori, sia sul numero di partite da svolgere durante l’anno. Siamo andati ad alleggerire i regolamenti e poi abbiamo percorso la strada delle deroghe e degli adattamenti a i regolamenti, per il Sud questo è stato un passaggio molto importante perché tramite la conoscenza del territorio siamo riusciti a conciliare qualcosa. Poi da questo a dirti che abbiamo risolto i problemi del Sud, no, ci sono ancora i club che hanno problemi, ma i problemi sostanziali non li risolvi dall’oggi al domani. Quando una società non ha un campo, quando una società dista 300 km dall’altra società e deve andare a fare un festival. Queste cose non le risolvi con la bacchetta magica o con i 1000/5000/10000 euro se ce li avessi. Devi andare a costruire qualcosa e quindi passare attraverso la crescita dei club esistenti, la nascita di nuovi club chiaramente con i contributi e i sostegni. Indirizzare le risorse e cercare di non sprecarle, perché poi fondamentalmente l’altro obbiettivo è quello di ottimizzare le risorse e fare si che siano efficaci, piuttosto che vengano sprecate o che non abbiano il ritorno che ci si aspetta.”

Una cosa che ho chiesto sia ad Arancio che al CUS è questa: dato che uno dei problemi più grandi sono i costi, perché non unire le varie società per creare una franchigia catanese dalle giovanili alla seniores. Come entrerebbe in gioco la FIR in un progetto come questo?

“La FIR in questo caso specifico è già entrata in gioco, infatti nel caso di Catania siamo partiti con il polo sperimentale u17. Da quest’anno perché inizialmente non c’erano le condizioni per partire con gli altri poli, ma poi strada facendo la FIR ha seguito il percorso e sicuramente c’è stata la volontà dei club che si sono seduti ad un tavolo, hanno parlato, si sono messi d’accordo e hanno messo in campo questo progetto e lo stanno sviluppando. La FIR ha fatto quello che doveva fare, quindi ha creato le condizioni, ha seguito, ha fatto da garante su questo progetto e ha dato il contributo che viene dato per far partire questo progetto sperimentale. Il compito di una federazione non può essere quello di imporre le cose, ma deve essere quello di essere pronta quando si creano le condizioni, perché è l’organo garante, l’organo terzo. Molte volte questa esigenza nasce tra vari motivazioni, le più grandi unioni nascono purtroppo quando i club sono alla canna del gas e sono in difficoltà. Quando un progetto nasce non con l’obbiettivo di costruire, ma di salvare il salvabile allora diventa difficile da realizzare. Altra cosa è se un progetto nasce con un obbiettivo sportivo e di crescita come è successo a Catania. Non è che dovessero fare un campionato o dovevano giocare delle partite, è nato per fare un percorso di formazione e aumentare il livello di formazione dei ragazzi e di creare qualcosa li. La federazione in questi casi deve essere attenta a intercettare queste cose ed essere pronta per seguire questi movimenti che si creano e dare il supporto giusto, ma oltre al supporto, la parte più importante che può fare è quella di garante, perché la federazione può essere super partes rispetto a queste situazioni e quindi smussare tutti quegli angoli che negli anni si sono creati tra i vari club della città.”

Sulla base di questo e in base alla tua esperienza personale, perché non si riesce a creare in una regione del Sud il modello del Romagna Rugby FC?

“Conosco un po’ quella realtà (ride ndr). Mah perché fondamentalmente bisogna capire sempre la genesi dei vari territori. Molte volte i secondi e terzi club nelle varie città perché nascono? Non perché c’è un esigenza, ma perché c’è un contrasto, delle liti e per senso di rivalsa si crea un’altra società. Già questo di per se fa si che diventa difficile che poi si creino delle situazioni sinergiche tra questi club. In Romagna è successo l’inverso, era una zona un po’ depressa, c’era qualche società, c’era poca storia, ma però c’era tra i vari giovani la voglia di mettersi in gioco. Li c’è stata la visione del fondatore del progetto, Giovanni Poggiali, che cercava nell’identità territoriale della sua terra, la Romagna, uno sviluppo dal punto di vista sportivo seguendo anche altri ambiti, perché comunque La Romagna si sente in qualche modo una regione a se. Quindi trovare un’identità anche a livello sportivo che potesse avere un senso. Il progetto, l’obbiettivo e l’identità che tu dai alla tua idea, è questo che serve per far nascere l’unione tra i club. Quanti club hanno delle situazioni simili e quanti hanno contrasti? È difficile avere una visione comune o comunque va costruita nel tempo. Credo che su questo adesso, con la nascita dei nuovi poli di formazione si può cominciare a ragionare e fare un percorso culturale, creando la cultura della collaborazione senza il fine sportivo, perché se ci metti fin da subito il fine sportivo nel momento in cui le cose vanno bene, va tutto bene, ma lo sport è così e non sempre le cose vanno bene. Creare la cultura della collaborazione a livello giovanile, quindi dire “siamo pochi io, pochi tu, ci mettiamo insieme e lavoriamo”. La federazione ci da sostengo con dei tecnici, ci da sostegno economico, oppure ci da sostegno con il materiale, ma comunque è presente. Poi cominci a capire che il club che ti sta di fianco non è pazzo (ride ndr), ma è fatto di gente normale che può essere di aiuto e di sostegno. In questo modo, piano piano, si possono creare sinergie. Il problema di molte unioni è che sono nate all’inverso, per la necessità del momento senza una visione comune. Nel momento in cui un club diventa superiore all’altro e trova autonomia, è chiaro che non è più destinato a cercare più la collaborazione.”

Francesco Urbani con il Romagna RFC – fonte NPR

Infatti da Catania mi hanno raccontato che i vari club sono nati da vecchie divergenze dirigenziali, quindi da una parte bene perché poi il rugby si è diffuso con più squadre, dall’altra male perché crei divergenze e odio fra i club già a livello giovanile. Quindi la FIR nel caso in cui ci sia un progetto buono di collaborazione può intervenire e aiutare un eventuale franchigia a crescere?

“Certo, oppure la FIR, nel momento in cui si rende conto di queste situazioni, può intercettarle e indurle, chiaro che non la può imporre. Le strutture territoriali e il sistema che abbiamo serve a questo, a capire quali sono le realtà dove c’è terreno fertile e andare a seminare per fare quello che dicevi tu adesso, cercare di cominciare a mettere rete solo per il fine della formazione dei giocatori quindi partendo dal settore giovanile. Poi è chiaro che ci vuole del tempo, però da li puoi andare a costruire qualcosa di duraturo.”

Una domanda che ci è arrivata dal pubblico è perché al Sud non si punti al Rugby7s, meno giocatori in campo e più squadre.

“Sinceramente non me la sono mai posta, secondo me il 7s fa fatica a decollare in tutta la nazione, perché fondamentalmente siamo ancora legati al rugby a 15, è chiaro che è un discorso culturale. Nel momento in cui si cominciano a creare campionati, delle strutture e un’attività con una finalizzazione sportiva, allora li si può cominciare a ragionare anche al Sud e sviluppare. L’orientamento di FIR, in questo poco tempo da quando è in piedi questo nuovo consiglio, è proprio questo, cioè cercare di dare un identità all’attività 7s. Non dico che ci siano stati errori o non errori, in passato si puntava tanto anche all’attività 7s seniores per poterla sviluppare, noi comunque stiamo ripartendo dalle attività giovanili quindi si fa il 7s in under17 e under19. In questo modo vai a colmare l’esigenza che c’è e come dici tu, al Sud con il 7s puoi fare un campionato, mantenere l’identità del tuo club e fare tante cose, quindi cominciandolo da giovane è chiaro che poi mano a mano arrivi a sviluppare quella passione che è un po’ diversa dallo sport che pratichi. Anche questo è un percorso che si sta riprendendo, ma che parte dalle giovanili perché se non crei cultura e non crei movimento, come puoi arrivare ai risultati?”


La prossima tappa del nostro progetto Sud sarà la Campania, con l’intervista al mediano di mischia delle Zebre e della nazionale italiana Alessandro Fusco.

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