Era il 16 Marzo del 2024, e l’Italia aveva chiuso il proprio 6 Nazioni con un bottino di 2 vittorie ed un pareggio, mostrando un gioco equilibrato, divertente ed a tratti maturo. Era l’inizio, secondo molti, di quello che avrebbe dovuto essere il ciclo di consacrazione della nazionale azzurra come competitor nel 6 Nazioni, e non solo, sotto la guida di Quesada e di una generazione di talenti, forse, mai vista prima.

Tempo di lettura: 10′

La presentazione del 6 Nazioni 2025 – Six Nations

Dove eravamo rimasti?

Gonzalo Quesada accettò l’incarico come Head Coach della nazionale prima della RWC 2023, entrando effettivamente in carica soltanto al termine della competizione. Così facendo l’Italia allineava, per la prima volta da anni, il ciclo quadriennale che va da un mondiale a quello successivo con le altre nazioni. Questo ci permetterà di tirare le somme, confrontandoci con le altre nazioni partendo da una base temporale condivisa. La prima sfida di Quesada fu quindi proprio il 6 Nazioni 2024, e dopo un esordio positivo contro l’Inghilterra – vittoriosa per 24 a 27 all’Olimpico di Roma – ci fu un piccolo passo falso contro l’Irlanda: una sconfitta senza appello per 36 a 0.

Leggi anche:
Cosa aspettarsi da Gonzalo Quesada (archivio 2024)

Da questo momento in poi le cose andarono soltanto in crescendo, con il pareggio in Francia per 13 a 13 e le celebri vittorie contro Scozia – 31 a 29 all’Olimpico – e contro il Galles a Cardiff. Proprio quest’ultima partita mostrò un dominio azzurro mai visto in un match del 6 Nazioni, tanto da alimentare aspettative e speranze per un’Italia potenzialmente in lotta per la vittoria in un futuro non molto prossimo. Il successivo tour estivo nel pacifico fu complesso, complici le complicanze logistiche e la necessità da parte di Quesada di conoscere ancora meglio i giocatori, non furono introdotte grandi novità in squadra. Infatti sia a livello di rosa che di sistema di gioco non ci furono grossi stravolgimenti, anche se la strada tracciata si rivelò abbastanza palese.

Leggi anche:
Mattone su mattone

Gli highlights di Samoa-Italia, il test match giocato in estate 2024.

Quesada infatti propose sin da subito un gioco differente da Crowley. Il gioco di Quesada è maggiormente strutturato, composto in parti uguali da attacco, difesa e gioco al piede, con quest’ultimo aspetto che è passato dall’essere quasi proibito ad essere ora uno dei pilastri del gioco azzurro. Il tour portò con sé una brutta sconfitta – nonostante le attenuanti – con Samoa, una brutta vittoria contro Tonga ed una convincente vittoria contro il Giappone, cementando fondamentalmente il livello azzurro come quello di tier “1,5”, e cioè una nazionale superiore alle tier 2, ma non ancora stabilmente a livello delle superpotenze del rugby, con segnali importanti di un’evoluzione che tutti gli esperti non vedevano l’ora di osservare.

La convincente vittoria contro il Giappone a Luglio – YouTube Federazione Italiana Rugby

L’Italia si affacciava quindi ai test di Novembre con molto entusiasmo e con molte aspettative, nonostante gli avversari non fossero proprio i più semplici da affrontare. Il calendario infatti proponeva come avversarie le seguenti nazionali: Argentina, Georgia e Nuova Zelanda. Tre match importanti, ognuno per un motivo particolare. Il match contro l’Argentina doveva essere il banco di prova, quello in cui mostrare di essere competitivi anche contro una nazionale in grado di sconfiggere Australia, Nuova Zelanda e Sudafrica soltanto pochi mesi prima. La partita contro la Nuova Zelanda avrebbe invece dovuto fare da benchmark e valutare i progressi fatti in un anno di mandato di Quesada, soprattutto dopo la debacle della RWC 2023 sotto la guida di Crowley. Il match però più importante di tutto il Novembre azzurro era quello contro la Georgia, in cui in palio – secondo tifosi ed opinionisti del mondo ovale – c’era la credibilità della nostra partecipazione al 6 Nazioni e l’orgoglio per riscattare la sconfitta di Batumi del 2022.

Leggi anche:
La pazienza è la virtù dei forti: ora l’Italia c’è davvero

La sfida contro l’Argentina mostrò una netta differenza a livello di punteggio tra le due squadre – 18 a 50 – ma non così netta a livello di gioco espresso. Più che altro gli azzurri si rivelarono un po’ arrugginiti, con qualche errore di troppo e degli automatismi non ancora ben oliati, a differenza di un’Argentina appena uscita da un Rugby Championship più che positivo. Il secondo match sarebbe stato quello della verità. Italia-Georgia si giocò a Genova, con un primo tempo aggressivo della Georgia in cui l’Italia non ha saputo sfruttare le occasioni avute, ed un secondo tempo in cui l’Italia riuscì a rimontare un passivo importante – 6 a 17 – e vincere per 20 a 17. La settimana successiva gli azzurri giocarono una grande partita contro gli All Blacks a Torino, mettendo in difficoltà i neozelandesi – i titolari, questa volta – per buona parte del match. Quest’ultima partita dimostrò come il gioco di Quesada abbia bisogno di tempo ed automatismi rodati per raggiungere il proprio massimo potenziale, ed è una questione che analizzeremo.

Leggi anche:
Italia e Georgia: rivali o sorelle?

L’Italia a Torino sforna una grande prestazione contro gli All Blacks – YouTube Autumn Nations Series

Il 6 Nazioni delle grandi aspettative

Quindi: dopo il 6 Nazioni migliore della storia e delle Autumn Nations Series in crescendo, ci si aspettava un’Italia da subito competitiva per quest’ultimo 6 Nazioni, in grado di mettere in difficoltà sin da subito la Scozia, in grado di sconfiggere il Galles e di mettere in difficoltà, e perché no, battere, una tra Inghilterra, Francia ed Irlanda. Insomma, l’opinione pubblica ovale si aspettava una squadra in grado di combattere per il terzo/quarto posto nel torneo. Aspettative forse più dettate dall’entusiasmo che da veri e propri dati tangibili. Infatti, se le prestazioni azzurre sono andate pian piano in crescendo, non si può certamente dire lo stesso delle prestazioni della Benetton Treviso, e cioè dell’ossatura portante della nazionale.

La stagione di Treviso è tutt’ora caratterizzata da alti e bassi, con un gioco poco efficace e molto dipendente dalla giornata dei singoli campioni presenti in campo. Inoltre molti giocatori chiave, come Michele Lamaro, sono al ritorno da un infortunio ed ancora alla ricerca della propria forma migliore. Senza contare l’usura dei giocatori militanti all’estero, trattati con poco riguardo nei confronti dei loro impegni con la maglia azzurra. Insomma, per rispettare le aspettative sarebbe dovuto tutto andare secondo i piani, ma gli azzurri hanno anche un nuovo sistema difensivo da finire di implementare dopo l’addio di Goosen e l’arrivo di Hodges dalle Zebre a Novembre 2024.

Marius Goosen a colloquio con Quesada – sarugbymag.co

Nuovi sistemi in rodaggio

E forse proprio quest’ultimo aspetto è stato ciò che ha messo più in difficoltà l’Italia durante tutto il torneo, un sistema difensivo che ha fatto fatica ad entrare nella testa della squadra, e che ancora deve probabilmente raggiungere il proprio massimo. Anche in questo 6 Nazioni gli azzurri hanno avuto un percorso di crescita, sicuramente intervallato da picchi negativi importanti, ma complessivamente parrebbe esserci un qualcosa in più. Infatti l’Italia chiude il 6 Nazioni avendo vinto l’unico match che era necessariamente da vincere, ha dimostrato di poter essere a tratti competitiva contro chiunque e di riuscire a mettere a segno più punti di quanto mai fatto in tutta la storia del torneo, pareggiando i risultati del 2000 e 2001. Ciò che forse ha maggiormente deluso è l’aspetto mentale ed attitudinale in alcuni momenti della partita, come l’inizio contro la Scozia, il secondo tempo contro gli inglesi ed i cartellini ricevuti contro l’Irlanda. Ma in realtà le basi da cui ripartire sono più che buone, ed ora le analizzeremo assieme e cercando di capire come sono andati attacco, difesa e breakdown.

Leggi anche:
Venticinque anni di Sei Nazioni

La delusione di Lamaro e Vintcent, colpevoli di due errori grossolani, costati un giallo ed un rosso – TNT Sports Rugby

La difesa: più croce che delizia

L’Italia ha messo a segno il maggior numero di placcaggi di tutto il torneo – 839 – con una percentuale pari al 85,5% di riuscita, pienamente nella media del torneo. Di questi placcaggi ben 88 sono stati dominanti, miglior dato per distacco, se confrontati con i soli 39 dell’Irlanda, ultima in questa classifica. Certamente questi dati dimostrano che l’Italia si è trovata spesso a dover difendere e che a livello individuale non è sicuramente mancato il gesto del placcaggio. Quindi cos’è mancato alla difesa azzurra? Per capirlo dobbiamo cercare di intuire qual è il sistema, l’idea dietro il sistema difensivo di Hodges.

Contro la Scozia l’obiettivo era certamente quello di mettere quanta più pressione possibile a Finn Russell e McDowell,e quindi avere una difesa aggressiva a rubare spazio e contemporaneamente chiudere verso l’interno. Questo però risultò quasi controproducente, in quanto è un sistema che richiede molta abitudine, e l’Italia non ha avuto modo di implementarlo a modo prima del torneo. Cercando infatti questa pressione gli azzurri cercavano di creare una linea densa subito dopo il placcaggio, quasi ignorando le ruck, senza rallentare l’uscita del pallone, così facendo però la Scozia ci ha messo in difficoltà con il ritmo, sfruttando delle ruck velocissime, assorbendo così la difesa e trovandosi poi molti spazi al largo.

Chiudere gli spazi

Un altro problema riscontrato nell’incontro contro la è sempre dovuto a questa salita aggressiva ed a chiudere verso il centro del campo, un po’ in stile sudafricano. Una salita simile infatti concede spesso spazio all’esterno visto che l’ala andrà a chiudere verso l’interno, e per ovviare a questo problema si fa conto sul workrate dei centri, ed in generale della linea interna, che devono ricucire quello spazio esterno, chiudendolo. In più di un’occasione l’Italia ha provato a farlo, ma ha quasi ecceduto in questa azione, facendosi prendere l’interno da un “semplice” side-step. L’esempio più lampante è la meta in prima fase di Huw Jones in cui Graham manda al bar Brex, Menoncello e Garbisi con un solo movimento, proprio prendendoli in controtempo. Contro l’Inghilterra invece si sono evidenziate altre criticità: la prima è lo scarso collegamento tra gli interpreti difensivi.

Al minuto linkato si può notare l’errore della linea difensiva azzurra – Guinness Men’s Six Nations

L’incostanza nella linea di difesa

Quello che è stato un pregio nella difesa del 6 Nazioni 2024, e cioè la capacità di tenere ben connesse la linea vicino alla ruck con la linea di difesa più esterna, e che ci ha permesso di tenere a bada la Francia, nella partita contro l’Inghilterra in quest’ultimo torneo si è rivelato un difetto. Certamente un problema grave, dettato ancora – forse – da una scarsa coesione del gruppo squadra, che proprio prima del match inglese ha avuto davvero pochi giorni di lavoro a ranghi completi. Un altro problema evidenziatosi durante tutto il torneo è la mancata capacità di ricreare una linea difensiva efficace in seguito ad un linebreak. Quasi sempre le mete sono arrivate nelle fasi immediatamente successive ad un linebreak. Il ritardo nella creazione della linea porta di conseguenza ad avere una salita scarsa, con poche possibilità di fare placcaggi dominanti e rallentare così il pallone. Insomma, una cascata di conseguenze che non possono portare a nulla se non a subire una meta, soprattutto quando si è in difficoltà fisica, come nel secondo tempo contro l’Inghilterra. Al contrario, a vedere l’Italia difendere all’interno dei proprio 22 metri, o ancor di più vicino alla propria area di meta, si direbbe che la difesa sia funzionale e che costringa gli attaccanti a fare gli straordinari per riuscire a segnare. E non sempre gli è riuscito.

Proprio contro gli inglesi si è evidenziata la difficoltà nel ricreare la linea difensiva e riguadagnare momento avanzante – Guinness Men’s Six Nations

L’attacco è meglio di ciò che sembra

Nonostante non si siano viste le giocate dalla propria area dei 22, movimenti da cineteca e gesti tecnici eccezionali, in questo 6 Nazioni 2025 l’italia ha eguagliato il proprio record di punti segnati in una sola edizione – ben 106 – che durava sin dal 2001. Anche questo paragrafo potrebbe essere riassunto con due parole: in crescendo. Partendo infatti da una fase di attacco un po’ disordinata e macchinosa della partita contro la Scozia sino ad arrivare alle partite contro Inghilterra e Francia, dove nonostante le difficoltà gli azzurri hanno saputo segnare ben 3 mete, costringendo gli avversari a mettere in campo tutta la propria artiglieria.

La partita contro la Scozia è stata forse la peggiore dal punto di vista offensivo, un match in cui gli azzurri hanno trovato molte difficoltà a costruire azioni multifase, soprattutto a causa di una gestione difficoltosa del breakdown. In questo match infatti l’unica meta è arrivata da un intercetto di Brex, frutto più di una buona difesa che di un attacco efficace. Contro Francia ed Inghilterra, soprattutto nei primi tempi, l’Italia è stata in grado di gestire maggiormente il gioco a proprio piacimento, guadagnando territorio ed accelerando quando necessario. Una statistica particolare riguarda infatti il numero di carries, in cui l’Italia si trova in fondo alla classifica con soli 433 carries in tutto il torneo, ma risulta essere invece in terza posizione per quanto riguarda i metri guadagnati per singolo carries: 3,63 metri.

Da questi dati si può dedurre che l’Italia è una squadra a cui non piace mantenere il possesso troppo a lungo, soprattutto nel proprio campo. Invece, quando si è trovata nella metà campo avversaria ha potuto contare su delle fasi statiche più che buone, che hanno garantito possessi di qualità. Infatti gli azzurri sono riusciti a segnare ben 3 mete da prima fase, due contro la Francia ed una contro il Galles, tutte in conseguenza di una mischia chiusa. Certamente l’attacco è uno dei punti di forza degli azzurri, ma è anche un’area in cui hanno mostrato più potenzialità inespresse.

Godiamoci assieme tutte le mete azzurre del Six Nations 2025 – Jen Rugby Videos

Forti in aria, in difficoltà a terra

Quando Crowley era alla guida della nazionale, il gioco era completamente sbilanciato su una fase offensiva fatta di possesso palla e di gioco ad altissima velocità, sfruttando le caratteristiche fisiche, atletiche e tecniche dei giocatori a disposizione. Certamente un tipo di gioco entusiasmante, ma non sostenibile per un lungo periodo, come ha poi dimostrato la RWC 2023. Un possesso di palla elevato richiede infatti un workrate ed una precisione nel punto d’incontro che sicuramente non erano – e tutt’ora non sono – il fiore all’occhiello della nazionale italiana. E questo piano di gioco estremo si rivelò essere un’arma a doppio taglio, poiché una volta analizzato e trovate le contromisure risultava inefficace e lasciava gli azzurri senza reali alternative con cui colpire.

L’implementazione di uno specialista del breakdown come German Fernandez e l’integrazione di un kicking game strutturato ha permesso agli azzurri di proporre un gioco più maturo, strutturato ed adattabile a diverse situazioni ed avversari. Se per quanto riguarda il breakdown ci sono stati dei miglioramenti, ma la situazione resta ancora altalenante, non si può dire lo stesso del gioco al piede. L’Italia è infatti seconda per kicks in play, dietro soltanto all’Inghilterra. Dato che ben denota la volontà di comandare il territorio, piuttosto che il possesso.

L’uso intelligente del piede

Ma il kicking game proposto da Quesada non ha soltanto l’obiettivo di allentare la pressione su di sé, bensì di ribaltarla sugli altri e di continuare ad essere sul piede avanzante. Un lavoro importantissimo, e la partita contro l’Irlanda lo testimonia, è quello fatto a partire dai box kick. I giocatori coinvolti sono infatti 3: il mediano che effettua il calcio, una spia – spesso un’ala – a mettere pressione e placcare il ricevitore ed un fetcher, pronto a contendere il possesso una volta che la spia ha messo a terra colui che ha ricevuto la palla.

Questo compito, ad esempio, contro l’Irlanda è stato affidato a Ioane in coppia con una delle terze linee, ed ha portato i suoi frutti. Ha infatti costretto l’Irlanda a ripiegare nel proprio campo, non riuscendo però a costringerla al fallo anche per meriti della squadra del trifoglio (come certificato da Dan Sheehan in zona mista, ndr). E se questa strategia ha in qualche modo pagato contro una corazzata come l’Irlanda, contro il Galles ha restituito interessi considerevoli. Complice anche la situazione meteo, la partita con i dragoni è stata vinta proprio grazie ad un gioco al piede preciso ed un piano di gioco “all’inglese”. L’obiettivo degli azzurri è stato sin da subito quello di consegnare il pallone ai gallesi, e lasciare quindi a loro l’onere di controllarlo in condizioni complicate.

Leggi anche:
La continuità in mediana ha elevato il gioco al piede azzurro

Godiamoci l’ottima gestione della partita sotto al diluvio di Roma contro i dragoni – Guinness Men’s Six Nations

Migliorare il breakdown

Possiamo quindi dire che il gioco al piede è divenuto un asset per questa nazionale, sul breakdown c’è ancora ampio spazio di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda la fase di attacco, in cui i sostegni non sempre riescono ad essere efficaci, soprattutto per una carenza nel timing di attacco nelle ruck. In fase difensiva invece i problemi si sono visti soprattutto contro Francia e Inghilterra, dove i nostri giocatori non sono minimamente riusciti a rallentare i punti d’incontro avversari, permettendo così avanzamento continuo a due squadre molto fisiche e difficili da fermare.

La prestazione nel breakdown ha forse avuto la sua migliore espressione nella partita che tutti avevamo immaginato come la più impegnativa in questo spaccato di gioco: quella contro l’Irlanda. In questo match gli azzurri, con un Manuel Zuliani sugli scudi, hanno dato del filo da torcere agli irlandesi, concedendo pochissimi falli in ruck, nessun tenuto a terra e rallentando adeguatamente le ruck avversarie, non concedendosi così di macinare gioco alla velocità a cui possono e sanno far male.

Zuliani, autore di una grande prestazione, in azione contro l’Irlanda – Bastille Post

Un gioco “da grandi”

Ci è sempre stato detto “No buoni per il rugby” e che il gioco strutturato non fa parte del nostro DNA e del nostro bagaglio rugbistico. Ci siamo sempre trovati a giocare da underdog, affrontando le partite con la consapevolezza di dover tirare fuori il coniglio dal cilindro anche solo per sperare di restare attaccati al punteggio. Ma il vento sembra essere cambiato con l’arrivo di Quesada. Un allenatore che può capire cosa si prova ad essere quello che gli altri considerano il cucciolo sfortunato della cucciolata. Sa benissimo, lui assieme a Fernandez, cosa ci vuole per dimostrare a tutti che con il duro lavoro e con l’attitudine giusta nessuno potrà più permettersi di prendere sottogamba questa squadra. Quesada ha sin da subito creduto in questo gruppo ed ha sin da subito proposto la propria idea di rugby, un rugby completo, consapevole e strutturato, che non lascia nulla al caso. Non ci resta che aspettare, attendere e lasciare che questo ciclo raggiunga il suo massimo potenziale, che è ancora ben lontano dallo stato attuale.

Un pensiero riguardo “Siamo davvero delusi?

Lascia un commento