Rabbia, perché ogni volta dobbiamo difenderci dalle accuse di non meritarci la sedia su cui siamo seduti. Fretta, perché vogliamo levarci da questa situazione il prima possibile. Frustrazione, perché sembriamo non riuscirci mai davvero anche quando vinciamo. Forse queste parole riescono a riassumere le sensazioni provate dai tifosi italiani soppesando il risultato di Genova contro un’ottima Georgia. Risultato figlio della bruciante sconfitta di Batumi, di due anni in crescita, di una squadra ancora giovane benché più matura, e di tante, a volte troppe, aspettative. Perché ogni volta che affrontiamo la Georgia fatichiamo ad essere noi stessi?

Da Batumi a Genova 

Guardavamo il mondiale di calcio dal divano, senza una squadra da tifare. Se ne andava la regina Elisabetta II dopo un regno durato 70 anni. Mario Draghi rassegnava le dimissioni. Iniziava la prima estate normale dopo la pandemia. Mirco Spagnolo segnava la famosa meta della vittoria del Top10 col Petrarca. Marzio Innocenti iniziava il secondo anno di mandato. Tommaso Menoncello terminava la sua prima stagione da pro. Se questi eventi vi sembrano lontani nel tempo, pensate che nello stesso momento si giocò la famosa partita di Batumi del 2022. 
Con la Georgia ci giochiamo molto da molto tempo, da quando ha iniziato a impensierire le big e a dimostrare che non sono distanti da noi. Del resto, “perché l’Italia gioca nel Sei Nazioni e loro no?” è una domanda lecita, alla quale dire che “l’Italia ne possiede un settimo” risponde solo in parte (nota: 1 su 7 perché oltre alle sei squadre c’è anche CDC). Viene da chiedersi “c’è davvero la volontà di includere una nuova squadra nel rugby di primo livello?”Where there’s a will, there’s a way, dicono in Inghilterra, ma questa volontà non sembra esserci a tutti i livelli del gioco. La “fame” di scalpi importanti dei caucasici è totalmente comprensibile, sotto questo aspetto.

Le immagini dal tunnel prima della partita (Tier 2 Rugby)

Non siamo così diversi

Sostengo da tempo la tesi che Italia e Georgia dovrebbero parlarsi di più e scornarsi di meno. Invece di cercare di prendere l’una il posto dell’altra, dovrebbero fare testuggine per aiutare le squadre del rugby Europe ad avere più scontri con quelle di livello superiore. Il rugby europeo sta crescendo, Portogallo e Spagna sono subito dietro i georgiani e fanno bella figura con le squadre più forti. Non più di 24 anni fa la Georgia eravamo noi, che ora ci sentiamo quasi in diritto di pontificare su chi merita e non merita l’accesso al rugby di prima fascia. Forse è su questo che si basa la rivalità: da parte nostra, la paura di perdere la priorità acquisita. Da parte loro, la paura di non guadagnarla mai. Ma nel complesso, secondo me, Italia e Georgia sono più simili che diverse e, in questo gioco, l’Italia dovrebbe farsi portavoce delle federazioni lasciate fuori dall’Acropoli, invece che primo argine.

Gli istanti finali della partita che ha visto la Georgia trionfare al Principality di Cardiff, come fu per l’Italia, nel 2022 (Guernsey press)

Anche guardando solamente al lato sportivo della gara, ci sono diversi pattern simili fra le due nazionali nelle due sfide di Batumi e Genova. L’Italia del 2024 è una versione maturata di quella del 2022, con alcuni innesti giovani e alcuni atleti usciti dal giro. A Batumi il gruppo azzurro era di fronte a una partita internazionale dove la pressione di vincere era tutta su di loro e non era concesso accontentarsi di una buona gara, cosa a cui siamo più abituati per via del Sei Nazioni. La Georgia del 2024 è invece una versione meno esperta di quella del 2022, con un forte ricambio generazionale, che sta maturando in questo momento anche grazie a queste sfide.

Nel match di Genova, i georgiani non hanno saputo conservare il vantaggio acquisito cedendo sotto i colpi di artiglieria di un’Italia meno spumeggiante ma più abituata a durare ottanta minuti (fa strano dirlo, lo ammetto). Ma è proprio questo il punto: non siamo abituati a vincere perché abbiamo poche occasioni di condurre una gara. Questo, a mio modo di vedere, è figlio anche delle chiusure come quella della World League che si profila all’orizzonte, dove i cambi di tier sono bloccati fino al 2030.

I festeggiamenti a Batumi dopo aver battuto l’Italia (SA Rugby Magazine)

Per paragonare meglio le due sfide abbiamo radunato le formazioni titolari delle due squadre nelle due sfide. I 15 titolari del 2022 sono o avrebbero potuto tranquillamente essere i titolari di questa domenica, il che indica la continuità che abbiamo avuto a livello di rosa. Considerando i 23 convocati, invece, notiamo che ci sono alcuni giocatori che erano nella rosa dell’Italia nel 2022 e che non lo sono nel 2024: Marco Fuser, Toa Halafihi, Edoardo Padovani, Ion Neculai, Ivan Nemer, David Sisi, Giovanni Pettinelli e Renato Giammarioli.  Di questi, solo Mori è ancora realisticamente nel giro della nazionale. Per Neculai, Halafihi e Nemer c’è ancora qualche speranza, mentre gli altri si sono ritirati o sono scesi di livello. 

Nel caso della Georgia, invece, si notano vari titolari del 2022 in panchina nel 2024, segnalando un ricambio generazionale in corso in molti reparti. Più di tutto colpisce che la mischia della formazione caucasica del 2022, per intero, non era in rosa domenica. Nei trequarti qualcosa in più, ma nella sostanza la Georgia del 2024 assomiglia all’Italia del 2022: nuova, fresca, capace di creare problemi a tutti, ma ancora inesperta. 

PositionItaly 2022Italia 2024Georgia 2022Georgia 2024
1Danilo FischettiDanilo FischettiGuram GogichashviliNika Abuladze
2Gianmarco LucchesiGiacomo NicoteraShalva MamukashviliVano Karkadze
3Simone FerrariSimone FerrariBeka GigashviliIrakli Aptsiauri
4Niccolò CannoneNiccolò CannoneNodar CheishviliMikheil Babunashvili
5Marco FuserDino LambLasha JaianiGiorgi Javakhia
6Federico RuzzaSeb NegriOtar GiorgadzeIlia Spanderashvili
7Michele LamaroMichele LamaroBeka SaghinadzeGiorgi Tsutskiridze
8Toa HalafihiRoss VintcentBeka GorgadzeTornike Jalagonia
9Alessandro GarbisiAlessandro GarbisiVasil LobzhanidzeVasil Lobzhanidze
10Tommaso AllanPaolo GarbisiTedo AbzhandadzeLuka Matkava
11Edoardo PadovaniMonty IoaneAlexander ToduaAlexander Todua
12Marco ZanonTommaso MenoncelloMerab SharikadzeTornike Kakhoidze
13Juan Ignacio BrexJuan Ignacio BrexGiorgi KveseladzeGiorgi Kveseladze
14Tommaso MenoncelloJacopo TrullaAkaki TabutsadzeAkaki Tabutsadze
15Ange CapuozzoMatt GallagherDavit NiniashviliDavit Niniashvili
16Giacomo NicoteraGianmarco LucchesiGiorgi ChkoidzeLuka Nioradze
17Ivan NemerMirco SpagnoloNika AbuladzeGiorgi Akhaladze
18Ion NeculaiPietro CeccarelliLuka JaparidzeLuka Japaridze
19David SisiRiccardo FavrettoLado ChachanidzeLado Chachanidze
20Giovanni PettinelliManuel ZulianiSandro MamamtavrishviliLuka Ivanishvili
21Renato GiammarioliAlessandro FuscoGela AprasidzeGela Aprasidze
22Alessandro FuscoLeonardo MarinLashma KhmaladzeTedo Abzhandadze
23Paolo GarbisiGiulio BertacciniDemuri TapladzeDemuri Tapladze
I Black Lion celebrano il titolo della Rugby Europe Super Cup (Sudamérica rugby)

Fare sistema per sopravvivere

Negli ultimi anni il sistema georgiano ha messo in piedi una franchigia (i Black Lion) che gioca un campionato internazionale di buon livello e che contribuisce alla nazionale con vari interpreti. Se vi suona familiare è perché lo abbiamo fatto anche noi e per le stesse ragioni: tenere il passo dei migliori, nel rugby, è impossibile se ci si basa solo sui club senza avere le finanze di Francia, Inghilterra o Giappone. Nessun’altra nazione del panorama rugbistico ce la fa senza franchigie. 

La differenza principale che si è vista con l’Italia è stata a livello fisico: nonostante la gestione volutamente lenta e ragionata dei punti d’incontro da parte degli azzurri, al 55’ del secondo tempo i giocatori caucasici hanno cominciato a faticare a tenere il ritmo del match, soffrivano di crampi e ricorrevano spesso al fuorigioco o al fallo tattico per guadagnare qualcosina, in apnea. Dal punto di vista tecnico, però, la qualità media degli interpreti georgiani si è alzata notevolmente rispetto alla sfida con l’Italia del 2018 che terminò 28-17 per gli azzurri. La Georgia ha impostato un percorso federale simile a quello italiano per poter crescere fino a raggiungere un nuovo livello tecnico e strutturale, creando una filiera di produzione di atleti capaci di mettere in difficoltà chiunque, nel giorno giusto. Per i giocatori italiani, giocare in URC ha significato un passo in avanti fisico notevole. Per i georgiani, la Rugby Europe Super Cup ha significato la riduzione del gap fra i georgiani “francesi” e quelli “domestici”.

Immagini di repertorio di una partita dei Black Lion in Rugby Europe Super Cup (Rugby Europe)

Come per la Serie A Élite in Italia, la Georgia ha anch’essa un suo campionato domestico (il Didi 10), un campionato cadetto, e delle leghe regionali sottostanti. I migliori giocatori prendono poi parte alla Rugby Europe Super Cup con la maglia dei Black Lion. Avendola vinta già due volte, nel 2022 il Sud Africa ha esteso l’invito ai Black Lion a partecipare alla Currie Cup, un evento storico per il rugby georgiano, segno di quanto sia cresciuto nel tempo. I Black Lion sono poi stati invitati a unirsi alla Challenge Cup dal 2023-24 come squadra invitata assieme ai Toyota Cheetahs. Questo discorso, al momento, sta venendo sollevato anche per la vincitrice della Serie A Élite almeno da parte dei tifosi. Vedremo se l’EPCR avrà interesse nel permetterlo.

Rugby di umili origini 

La palla ovale nel caucaso ha origini remote, che possono esser fatte risalire a un antico sport chiamato palla campo o lelo burti, da cui anche il soprannome Lelos, e il nome che danno alle mete (lelo). In questo sport le squadre hanno un numero imprecisato di giocatori e si contendono un pesantissimo pallone (7 kg). Curiosamente, da una storia simile nasce anche il nostro rugby union football, ovvero la versione del football giocata nella città di Rugby (dal folk football). 

Un po’ come accadde in Italia, specialmente in Veneto, anche in Georgia furono delle persone che avevano vissuto in Francia a portare la cultura di questo sport anglosassone nel caucaso. Sotto l’unione sovietica si svilupparono vari club a partire dagli anni 60, fra cui la Dinamo Tbilisi, squadra pluridecorata nei campionati dell’era della falce e martello. Se nell’URSS metà dei club di rugby erano in Georgia, dopo l’indipendenza a inizio anni 90 il paese si trovò con una federazione propria e un grande capitale umano di giocatori da gestire. Pochi soldi, trattori agricoli usati come macchine da mischia, sacchi di iuta e jeans per praticare i placcaggi, e solo due palloni a disposizione. Da questo contesto povero, però, ne è uscita una federazione capace di adattarsi alla modernità e di dotarsi di allenatori capaci come Richard Cockerill per portare il rugby georgiano più in alto.

Investimenti e politica

Da questo contesto povero, però, ne è uscita una federazione capace di adattarsi alla modernità e di dotarsi di allenatori capaci come Richard Cockerill per portare il rugby georgiano più in alto. Questo è avvenuto soprattutto grazie agli ingenti investimenti del miliardario ed ex-presidente georgiano Bidzina Ivanishvili (in carica nel periodo 2012-2013), il quale dispone di un patrimonio netto di quasi 5 miliardi di dollari al 2024. Ivanishvili è un oligarca che ha costruito la propria ricchezza sul finire dell’unione sovietica. È segretario onorario di “Sogno Georgiano”, il partito che governa il paese caucasico da più di dieci anni e che alle recenti elezioni ha scatenato polemiche e scontri nel paese con accuse di brogli elettorali. Pur non volendo parlare di politica in questo articolo, è difficile non vedere un legame fra la crescita del rugby in Georgia e quella del profilo pubblico di Ivanishvili. Proprio grazie a questa partnership, la federazione rugby georgiana dispone di un budget equivalente a circa 14 milioni di sterline, 10 dei quali vengono dal governo. Grazie a questi soldi, negli ultimi 10 anni sono stati costruiti centri di allenamento di prima categoria e sono stati coinvolti esperti mondiali per elevare il livello interno di competitività, culminando proprio nel 2022 con le vittorie su Galles e Italia, le prime storiche contro squadre del Sei Nazioni.

Un comizio di Sogno Georgiano (Il Post)

L’asse con la Francia 

È noto a tutti che molti giocatori georgiani della nazionale militano in Top14 (qui una lista molto comprensiva). Si tratta di una condizione dovuta sia alla qualità degli interpreti, sia a uno storico collegamento fra le due nazioni. Se, da un lato, fu proprio dalla Francia che il rugby arrivò nel caucaso, al giorno d’oggi per i cittadini georgiani è relativamente facile andare in Francia a lavorare, dato che la Georgia fa parte del Council of Europe, un’associazione pan-europea che si occupa di collegare i paesi e ridurre distanze e frontiere. A ragion di questo, molti giocatori promettenti hanno preso le vie degli espoirs di vari club importanti, portando il proprio talento dove aveva maggiore possibilità di brillare. 

Andare in Francia per i ragazzi georgiani è un’occasione incredibile di apprendere il rugby nel luogo dove lo si gioca al livello più alto, in club con strutture all’avanguardia e circondati di campioni. Molti ragazzi italiani negli ultimi 2-3 anni hanno fatto lo stesso, accasandosi negli espoirs di Stade Français (Gasperini), Montpellier (Sante), Clermont (Mey), Oyonnax (Odiase) e altrove. Lo stesso è stato per giocatori già maturi come Allan, Garbisi, Lucchesi, Nicotera e Mori. Altri, come Ceccarelli e soprattutto Capuozzo, avevano un legame con la Francia molto più personale. Di certo non si può non vedere un parallelo anche in questo: il campionato francese è una palestra rugbistica di eccellenza, e ai nostri migliori atleti è caldamente consigliato andarci se si presenta l’opportunità. 

Davit Niniashvili con la maglia del Lione (Dicodusport)

Uno sguardo al futuro 

Nel 2000 l’Italia ha faticosamente conquistato l’accesso al Five Nations facendolo diventare “Six”. Il torneo più vecchio del mondo apriva le porte agli azzurri, nazione che era in grande crescita sportiva, aveva conquistato scalpi importanti, rinnovandosi e aprendosi a nuovi mercati. L’Italia arrivava a quell’appuntamento forte di un campionato nazionale dove avevano, nel tempo, giocato campioni del mondo e dove varie squadre come Benetton, Rovigo e Milan si giocavano il titolo con un rugby di livello molto buono per il momento storico in cui si trovava. Da qualche anno, ci troviamo di fronte ad una dinamica molto simile in Georgia. C’è, tuttavia, una differenza importante da sottolineare: il campionato domestico che sottostà al movimento dei lelos non è comparabile all’Eccellenza italiana degli anni ‘90, la quale fu la vera ragione per cui l’inclusione dell’Italia pareva più logica. Il problema principale di aprirsi a una nuova federazione, oggi, è di natura più prettamente gestionale: a sette squadre il torneo durerebbe davvero tantissimo, come avevamo diagnosticato nel nostro studio sulla fattibilità di includere gli Springboks nel Sei Nazioni (se ne era parlato due anni fa).

La crescita di federazioni come Georgia, Spagna e Portogallo pone diversi grattacapi alle eminenze grigie del rugby europeo, perché si tratta di mercati estremamente golosi ma al contempo comporterebbe la rottura di un orologio che funziona benissimo. Il fascino del Sei Nazioni è anche la sua relativa immutabilità: prima di includere l’Italia, era stato Five Nations per vari decenni. Ma allora qual è la configurazione con la quale vinciamo tutti? Allargare il torneo, sostituirlo con un europeo quadriennale, o iniziare l’allargamento prima a partire dai club? La strada intrapresa sembra essere l’ultima, con l’inclusione dei Black Lion in Challenge Cup. Nei prossimi cinque anni, però, il mondo del rugby sarà sempre più di fronte a questo dilemma, e dovrà decidere se fare o meno la rivoluzione.

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