Dopo avervi parlato di Sicilia con il CUS Catania, di Campania con l’Amatori Napoli e di Puglia con il Tigri Bari, oggi vi portiamo in Calabria, una regione senza squadre iscritte ad un campionato FIR. Tre ragazzi, Matteo Malomo, Andrea Paolini e Fausto Orsomarso, decidono di rimboccarsi le maniche e di creare un progetto per far ripartire tutto il rugby calabrese partendo da Cosenza.
Come sta andando il rugby in Calabria? Quante sono le società attive al momento?
Matteo Malomo: Come prime squadre, in questo momento in Calabria non c’è nessuno. La nostra società nasce proprio per questa mancanza. La Calabria ha avuto tantissimi club, tra cui quello della Reggina che ha militato in serie A, mentre a Cosenza ci sono due squadre che hanno militato in serie B. Prima c’erano più di 10 squadre che giocavano anche con gli under, mentre ora ci siamo ritrovati a non avere nessuno. Negli anni 80 il Cosenza in serie B era uno dei centri rugbistici della Calabria.
Renato Foco: Abbiamo avuto grandi soddisfazioni con le under, poi vuoi per il tessuto sociale o per altre problematiche che probabilmente hanno tutte le società da nord a sud, ci siamo ritrovati nel buio più totale. Abbiamo creduto tanto nel bacino giovanile, infatti Francesco (Ruffolo ndr) lo abbiamo cresciuto fin da quando era piccolo e poi lui è arrivato dove è arrivato (Colorno in Serie A Élite, ndr) perché è stato bravo lui e anche per la sua indole da calabrese (ride, ndr). Io seguo tutte le sue partite e non so se lo avete visto giocare se avete visto che cos’è!
Quindi non ci sono società attive in Calabria, voi sarete l’unica?
Matteo Malomo: Di società attive a livello di campionati di prime squadre nessuna, mentre per le giovanili ce ne sono 6, ma nessuna fa un campionato, hanno un under 12 e under 14 ma non hanno i numeri per poter giocare. Prima esistevano anche due squadre femminili, una al CUS e una con il Rende, ma sono finite anche quelle. Siamo al punto zero del rugby in Calabria e siamo pronti a ripartire.

Spiegatemi come è successo, come avete deciso di ripartire da zero?
Matteo Malomo: Noi avevamo una squadra, il rugby Rende, poi per una serie di vicissitudini abbiamo finito il campionato in 11 persone. Quindi cosa è successo, abbiamo deciso di metterci noi due, io ho 26 anni e lui (Andrea Paolini ndr) 20 anni e ci siamo messi a riunire tutti i giocatori della provincia di Cosenza, perché appunto in passato c’erano molte squadre non solo a Cosenza, ma anche in tutti i paesini limitrofi. Non riuscivamo a credere che tutti i giocatori delle 8 squadre vicino a noi fossero spariti. Semplicemente serviva qualcuno che gli facesse venire la voglia di giocare, per farli mettere in discussione, per fargli tornare quella malattia che non va mai via che è il rugby. Siamo stati un anno senza giocare e stavamo uscendo pazzi (ride ndr).
Renato Foco: il rugby Cosenza è stata sempre la società cardine e le giovanili erano denominate rugby Rende, che è una città vicino a Cosenza, inoltre avevamo il terzo polo che era l’università. Fino al 2012 il rugby a Cosenza è stato attivo, eravamo in serie C ma ai playoff di serie B ci siamo arrivati, chiaramente a un livello magari basso, ma ci siamo sempre divertiti. Poi è venuto a mancare il presidente Giovanni Guzzo, che è stato un gran presidente e purtroppo da allora si sono create più squadre satellite all’interno di Cosenza. Io lavoravo con il CUS e ho fatto il corso per allenatore andando a Parma, loro giocavano con il Rende. Poi le varie si sono sciolte per vari motivi che se ci mettiamo a spiegarli non finiamo più e ora stiamo riprendendo con il rugby Cosenza, grazie anche al nostro rapporto con Francesco (Ruffolo ndr), che io posso vantarmi di aver cresciuto fino a una certa età.
Quindi state rimettendo in piedi quella che era la società più importante
Matteo Malomo: Cosenza è dove è nato tutto e la stiamo riprendendo per avere una nostra identità molto forte. Stiamo creando una specie di franchigia perché ci sono ex giocatori del CUS, del Rende e di varie squadre che si sono uniti tutti nel nostro progetto.

È molto interessante per me, perché ho fatto la stessa domanda anche nelle altre interviste, se ci sono varie squadre una vicina all’altra perché non si crea una franchigia per collaborare insieme? Tutte mi hanno detto più o meno la stessa cosa, cioè che ci sono rancori e campanilismi secolari…
Matteo Malomo: Assolutamente, poi fa ridere perché vai a chiedere “ma tu perché odi questa persona?” e non lo sanno. Noi siamo due ragazzi “nuovi” che giocano a rugby da quando hanno 10 anni e ci siamo messi semplicemente a creare dei rapporti con tutti i giocatori. Nessuno ha qualcosa contro di noi, nessuno può trovare una scusa tra rancori e storie passate, grazie a questo abbiamo avuto una risposta pazzesca e la voce si è sparsa, ci sono ragazzi che ci scrivono perché vogliono unirsi a noi. Le squadre del territorio si sono unite e hanno deciso di partecipare al progetto anche con il settore giovanile.
Andrea Paolini: il sistema franchigia all’interno della stessa città è possibile solo quando non c’è più nulla, altrimenti ci vanno di mezzo l’orgoglio, la cultura e tutte le storie che ci sono state prima. Un altro esempio è Bologna dove dopo un declino del rugby, si sono messe insieme le squadre e ora sono in serie B.
Qual è il vostro progetto per i prossimi 5 anni?
Matteo Malomo: noi abbiamo fatto questa riunione all’inizio in cui siamo detti “si facciamo questa squadra, ma dove vogliamo arrivare?” Ci siamo messi un progetto ambizioso che è quello di arrivare alla serie B nei prossimi 3 anni e poi fare una cadetta. A noi due si è aggiunto un altro ragazzo che è un nostro ex compagno di squadra e che fa il tesoriere, Fausto Orsomarso che ha 19 anni. Unendo le forze siamo riusciti a contattare sponsor per fare in modo che i ragazzi non pagassero nulla e siamo riusciti ad ottenere un campo, sono tutti piccoli step per questo progetto ambizioso. Poi per noi è assurdo che dalla Calabria con il rugby escono sempre meno giocatori, Francesco può raccontarti quanto sia stato difficile arrivare dov’è ora, ma c’è solo lui e per noi è grave. In un territorio così grande ci sono sempre meno ragazzi con l’ambizione di fare un percorso sportivo per raggiungere l’alto livello.
Andrea Paolini: il vero obbiettivo, oltre alla serie B, è proprio quello di fare un salto di qualità nel movimento calabrese, per dare anche ai ragazzi la possibilità di uscire grazie al rugby perché adesso questa possibilità non c’è.
Matteo Malomo: Vogliamo anche andare ad aiutare le altre squadre, collaborare e fare dei progetti insieme. Noi ad esempio non vogliamo una giovanile perché vogliamo lasciare i ragazzi alle loro squadre, aiutarli nei loro club e poi eventualmente accoglierli da noi in prima squadra.

Quindi di fatto, voi siete la franchigia del rugby calabrese per il movimento italiano in questo momento, che è un onore e un onere importante
Matteo Malomo: praticamente si, ma la sentiamo questa responsabilità (ridono ndr).
A livello di numeri come siete messi?
Matteo Malomo: in questo momento abbiamo una trentina di ragazzi che si allenano settimanalmente, ma è un numero in costante crescita perché ogni giorno ci scrivono ragazzi che ci chiedono se possono unirsi al progetto. Abbiamo poi la fortuna di avere il CUS dell’università di Cosenza che è la più grande della Calabria e ha deciso di collaborare con noi, quindi anche lì c’è un bacino enorme di atleti.
Quindi questo sarà il vostro primo anno come iscritti ad un campionato di serie C?
Matteo Malomo: si esatto, ora ci stiamo preparando, il progetto è nato a ottobre. Saremo nel girone sud e andremo a giocare contro squadre campane e della Basilicata, poi eventualmente ci sono i playoff anche con le squadre siciliane e pugliesi.
Quali sono le iniziative che state portando avanti per farvi conoscere nel territorio?
Matteo Malomo: stiamo andando nelle scuole e nei licei per attrarre ragazzi per le squadre con le giovanili in un movimento che è oggi è completamente assente, non c’è nessuna under 18 in Calabria. Successivamente andremo anche all’università per fare dimostrazioni e per giocare là qualche partita.
Parlando di rugby in Calabria, dopo il boom degli anni 80, ora come è visto il rugby?
Andrea Paolini: Negli anni 80 era davvero uno degli sport più importanti, chiaramente non ai livelli del calcio, ma comunque si sentiva molto. Il problema è che non si è voluta cogliere tutta questa responsabilità e quindi non c’è un’eredità da cui far proseguire tutto quello che si era costruito prima. Questo è l’anno zero del rugby calabrese.
Matteo Malomo: la Calabria per la sua posizione è perfetta per il movimento del Sud, è un peccato farla morire così, non dare seguito. Molti dei ragazzi di Reggio sono andati a giocare a Messina proprio perché non c’è un movimento seniores. Ora tocca a noi dare il nostro contributo e fare qualcosa. La nostra priorità è stata quella di non far pagare nulla ai ragazzi per venire a giocare, il rugby è uno sport di tutti e tutti devono avere la possibilità di giocare e divertirsi, specialmente ora che stiamo ricominciando è importante far passare i messaggi positivi che il rugby ti può dare. Nella nostra squadra abbiamo ragazzi di 37 anni e ragazzi che ne hanno 17, abbiamo un’età media di 26 anni.

Quindi voi due che avete 20 e 26 anni e il tesoriere che ne ha 19 siete i presidenti attuali della società?
Matteo Malomo: si, la cosa è nata proprio da qui. Quando si è sciolta la squadra ci siamo parlati e ci siamo chiesti quale fosse la nostra forza più grande. La nostra forza più il grande è il rapporto che abbiamo con i nostri compagni, per le partite dell’Italia ci troviamo in 20 persone a casa mia. La nostra forza sono i nostri compagni che credono in noi, anche i giocatori più grandi che ci hanno visto prendere in mano questo progetto e per loro è stato un sinonimo di coraggio.
Renato Foco: Io in primis!
Matteo Malomo: ci siamo detti ok, parliamone con i compagni, spieghiamo il progetto e tutti erano entusiasti. Bene, ci serve un allenatore, “Rená tu che fai?” (ride ndr).
Andrea Paolini: non è un peso essere così giovani perché è una responsabilità che ci siamo presi, ma c’è un movimento generale che deve ripartire e a farlo devono essere i giovani, poi siamo 3 amici quindi lo senti ancora di più e ti viene quasi voglia di perdere tempo con tutta la burocrazia. Non è nemmeno stato visto come un fatto di una società poco seria, abbiamo reclutato 4 collaboratori tecnici compreso Renato il nostro allenatore.
Quindi ora avete una club house ed il campo, come funziona?
Matteo Malomo: Abbiamo preso il campo Macrì, che è un campo che era stato fatto apposta per il rugby. C’è una squadra di calcio che ci gioca e noi siamo lì a “combattere” per riappropriarcene; poi c’è la nostra club house, che è quella storica del rugby Cosenza con tutte le foto degli ex giocatori, è un posto magico.

Francesco ti chiedo di raccontarmi la tua storia da Cosenza, poi immagino l’accademia, la nazionale u20 e Colorno
Francesco Ruffolo: io non ho fatto accademie, sono sempre stato fuori dai radar di Brunello, Cavalieri e della u20, non sono mai stato chiamato. Sono partito da Cosenza da piccolo, a 8 o 9 anni, magari Renato si ricorda meglio, perché lui è stato il mio allenatore ma anche il mio punto cardine perché quando non avevo voglia veniva lui sotto casa a spronarmi a prendermi di forza per portarmi al campo.
Renato Foco: mi è toccato ascoltare la musica trap in macchina, non hai idea di cosa ho dovuto sopportare!
Francesco Ruffolo: alla fine io ho conosciuto il rugby grazie a mio fratello, poi tra i vari sport ho scelto il rugby. Quando avevo 14 anni siamo andati a giocare a Palmi e Renato mi disse di impegnarmi e fare bella figura perché c’era Giovanni Russo che lavora per la FIR. Ho giocato una bella partita e ho fatto del mio meglio e ad agosto mi chiamò per dirmi che ero un giocatore interessante e il rugby Colorno poteva essere una bella opportunità per me. Io ero gasatissimo, nel giro di una settimana ho fatto tutto, cambiato scuola, fatto i bagagli e sono partito. A 14 anni lontano dalla mia famiglia e dai miei amici, lasciare tutta la mia zona di comfort per andare in una città diversa, clima diverso e cultura diversa perché da nord a sud ci sono proprio delle differenze nel modo di vivere. Tu a 14 anni ti ritrovi completamente spiazzato. Quindi alla fine io ho fatto le giovanili con il CUS Cosenza e poi l’under 16 l’ho fatto qui a Colorno che siamo arrivati in finale regionale persa contro il Ravenna, poi il secondo anno di under 18 girone élite con i vari Lapo Frangini ecc. Io non sono mai stato preso in considerazione nelle accademie, avevo un fisico diverso e una mentalità diversa. Mai fatto neanche le selezioni. Scoppia il Covid, mi sono operato alla spalla e sono rientrato a marzo nel 2022, quell’anno abbiamo vinto lo scudetto ed eravamo io, Odiase, Mey, Mattioli… insomma eravamo una bella squadra. Ho avuto la fortuna che Brunello, Dolcetto e Cavalieri sono venuti a vedere un quarto di finale di contro le Fiamme Oro e poi mi hanno chiamato per un unico raduno di fine maggio per fare poi il 6 Nazioni u20. Io quel raduno non lo faccio perché la settimana prima mi ero fatto male alla spalla…

Però Francesco dai, pure te con sti infortuni…
Francesco Ruffolo: (ride ndr) ma davvero, la sfortuna al massimo! Io comunque ho continuato a giocare nonostante quell’infortunio e con l’altra spalla lussata. Abbiamo vinto la finale scudetto a Calvisano e lì era venuto Brunello. Dopo la partita mi ha detto che nonostante io non avessi fatto nessun tipo di raduno o altro, ero un giocatore di grande prospettiva e mi ha convocato a quel 6 nazioni in cui le ho giocate tutte e alla fine mi sono operato alla spalla.
Cosa succede esattamente con la convocazione al raduno u20?
Francesco Ruffolo: io ero all’oscuro di tutto, ti arriva una chiamata e ti chiedono le credenziali, poi ti arriva una mail con le convocazioni senza sapere nulla. Io ho conosciuto gli allenatori e i giocatori direttamente al raduno del 6 nazioni. Mi hanno fatto i test per assicurarsi delle mie condizioni fisiche ed avevano più paura loro di me per gli infortuni alle spalle. Al raduno ho conosciuto i vari Brunello e Cavalieri e proprio Brunello mi disse queste parole che me le ricordo come se fosse ieri, mi disse “guarda Ruffolo tu sei un gran bel giocatore di prospettiva, noi non riusciamo a capire come ci sei sfuggito dai radar” per me venire da Cosenza e poi sentire questo discorso era proprio l’apice (ride ndr) “purtroppo la tua condizione fisica è quella attuale però continua così perché sei un gran giocatore e ci saranno sicuramente altre occasioni” questo perché ero uscente dalla u20 quell’anno. Poi in campionato c’è stata la semifinale di ritorno e la finale e lui è venuto a Calvisano, dopo la partita non mi disse nulla, mi chiamò il giorno dopo per chiedermi dei miei esami di stato per assicurarsi della condizione scolastica, poi mi disse che gli ero piaciuto e che voleva portarmi a Treviso per quel 6 nazioni u20 e quindi ho partecipato al torneo.
È davvero interessante come percorso perché ho parlato con Alessandro Fusco delle Zebre e lui mi diceva che per lui e Licata le accademie sono state l’unica rampa di lancio possibile per arrivare all’alto livello, altrimenti sarebbero rimasti lì.
Francesco Ruffolo: per farti capire io da Calabrese se avessi voluto fare l’accademia sarei dovuto andare a Roma.

Quindi al momento se c’è un giocatore con un gran potenziale nel rugby calabrese, che possibilità ha per poter fare il salto di qualità e arrivare all’alto livello? È una questione di coincidenze di chi viene a vedere la partita o c’è un percorso effettivo?
Andrea Paolini: è un fatto di possibilità e probabilità. Io sono in questo progetto per dare la possibilità di dare ai ragazzi di crescere e uscire.
Matto Malomo: o hai qualcuno come Renato che ti viene a prendere a casa e ti porta al campo e in giro o è quasi impossibile (ride ndr)
Renato Foco: la Calabria ha grande potenziale, avendo allenato Francesco da piccolo, vederlo indossare la maglia della nazionale… io ho preso l’aereo per andare a Treviso, non ti posso descrivere l’emozione! Per un ragazzo che viene dalla Calabria, un ragazzo che ho sempre spinto per andare a giocare, ho parlato anche con sua mamma e le dicevo di non preoccuparsi. Io ci ho sempre creduto. C’è un altro ragazzo che è cresciuto da noi e che ora è nella u18 del Colorno e si farà vedere e poi Lorenzo Santelli che è arrivato al Gran Parma, accademia di Tirrenia e nazionali giovanili. Francesco per noi è il punto di riferimento, se abbiamo un ragazzino forte gli diciamo prendi esempio da lui. Vogliamo organizzare anche un riconoscimento qui a Cosenza, andare via di casa a 14 anni, lasciare tutto, vincere il campionato u19, nazionale u20, perdere di un punto contro Rovigo le finali di campionato. Era un punto? Non mi ricordo più, pure i soldi degli abbonamenti per vedere le partite ho dovuto mettere (ride ndr). Francesco è un’ispirazione, guardatelo giocare, è uno spettacolo, un trascinatore.
Matto Malomo: è il nostro orgoglio ed è la figura che dobbiamo portare ai giovani per dirgli che ce la possono fare se si impegnano. A tanti ragazzi che magari non sono arrivati al livello di Francesco, ma che comunque hanno fatto l’esperienza fuori, il rugby gli ha cambiato la vita. Ragazzi che magari qui in Calabria per il loro stato sociale, per le famiglie e il contesto erano molto limitati, grazie al rugby hanno fatto esperienze significative che non avrebbero mai fatto.
Avete mai pensato di fare una collaborazione o un progetto tra Colorno e la squadra che sta rinascendo adesso a Cosenza?
Francesco Ruffolo: il fatto è che la squadra è davvero nuova, io ho saputo del progetto a gennaio ma poi quando scenderò a Pasqua la prima cosa che farò è andare a conoscere tutti (ride ndr). Sicuramente si potrebbe fare qualcosa con il rugby Colorno, non ti nego che magari sarà complicato, ma può essere un obbiettivo.
Passiamo al progetto Sud della FIR in Calabria, cosa sta facendo la federazione per darvi una mano e per supportare la crescita del movimento calabrese?
Renato Foco: È una bella domanda, soprattutto perché quando si parla di FIR bisogna sempre fare una scissione tra quello che è la FIR e quello che è il comitato regionale. Noi non abbiamo mai avuto un comitato regionale, c’è una delegazione, perché per fare il comitato c’è bisogno di tot società e una prassi burocratica. In Calabria siamo sempre stati poveri dal punto di vista di risorse e come modo di lavorare. Ti faccio un esempio e non voglio fare polemiche, c’erano le squadre regionali e Francesco non è stato nemmeno convocato nella squadra regionale u14, quindi ci sono sempre state dinamiche strane, di gelosie fra club. Poi comunque c’è da dire che stiamo ripartendo da zero, è come se avessimo formattato tutto e ora questi siamo, anche a livello di allenatori non abbiamo molte risorse. Le vere risorse sono questi ragazzi qui che si sono rimboccati le maniche e con coraggio hanno lavorato per poter garantire agli atleti di giocare gratis, di avere un campo, gli spogliatoi con le docce e una club house. La FIR può partire da questo, a Cosenza c’è questo. Abbiamo tanti ragazzi pieni di passione, trascinatori, siamo fatti così noi calabresi.
Mi fa sorridere perché quando ho parlato con il CUS Catania, il capitano Luca Mannana sostanzialmente mi ha detto che l’Italia perde sistematicamente metà del suo potenziale bacino di giocatori perché guarda da Roma in su. Mi diceva che per come sono fatti i siciliani, c’è una passione, una voglia di lottare e di riscatto impressionante, ma i giocatori sono fuori dai radar. L’idea di fare queste interviste è anche quella di darvi uno spazio per farvi conoscere e farvi sentire.
Renato Foco: e certo, Brunello si è scusato con Francesco perché nessuno lo aveva mai notato prima (ride ndr).
Matto Malomo: ora è davvero impossibile perché non ci sono partite, non c’è un campionato, non c’è nulla. Come fa un ragazzo a farsi notare? Se a 14 anni è alto 2 metri e pesa 150kg magari qualcuno se ne accorge, ma se non ci sono le squadre che giocano, come fai?

Come pensate di farvi conoscere da questo punto di vista? Metterete le partite su YouTube?
Matto Malomo: si ci abbiamo già pensato e useremo i vari canali social. Vogliamo far capire che c’è qualcosa che sta nascendo che coinvolge tutta la Calabria, dare la possibilità a tutti di crescere insieme a noi, non vogliamo essere l’unica società della Calabria per me questa sarebbe una sconfitta.
C’è un dialogo già adesso con gli altri club?
Matto Malomo: si e sia il CUS che lo Spirito Santo che è una squadra giovanile ci hanno aperto le porte, sono felicissimi di questo progetto. Altri purtroppo ci hanno chiuso le porte, non hanno voluto nemmeno parlare con noi. Siamo stati accusati di andare a prendere giocatori da altri club, ma il punto è che non c’è stata nessuna squadra in un anno, quindi non abbiamo tolto niente a nessuno, anzi, stiamo cercando solo di ricreare.
Andrea Paolini: Poi anche organizzare tornei di 7s o di beach rugby, sono eventi che portano persone, c’è il campo, la club house e si fa festa insieme, sono tutte iniziative che ti portano a farti conoscere.
Matto Malomo: considera che con il beach rugby ci saranno due eventi grossi in Calabria, avremo due squadre della nostra società, due squadre dalla Sicilia, due campane e una di Roma. Saranno due eventi importanti per farci conoscere anche dagli altri club.

Qui mi sento di darvi un consiglio, io vengo da Bassano Del Grappa e da noi ogni anno si fa un torneo di touch che si chiama “Dodici Banconi”, è un torneo in cui i 12 bar più importanti della città fanno una squadra con ragazzi, ragazze, old e tutti quelli che vogliono giocare. Si creano dei gruppi di persone che magari non hanno nemmeno idea di cosa sia il rugby, ma vanno ad allenarsi insieme per settimane, si conoscono, fanno aperitivi, foto e video con la palla ovale. Poi il giorno del torneo ci sono più di mille persone che parlano solo di rugby ed è una grande festa per tutti.
Vi faccio un’ultima domanda per quanto riguarda il progetto Sud, secondo voi di cosa avreste bisogno da parte della FIR per poter crescere?
Andrea Paolini: da Roma in giù c’è stato poco coinvolgimento, sicuramente ci servono più risorse proprio umane, più tecnici per fare in modo che il movimento cresca. Vorrei che ci fosse più attenzione su quello che è il movimento giovanile, perché alla fine alla seniores ci pensa il club, mentre per la giovanile penso sia importante dare la possibilità ai ragazzi di poter uscire grazie al rugby. In questo momento un ragazzo se deve scegliere tra calcio e rugby, sceglie il calcio perché con il rugby non ha alcuna possibilità di uscire.
Renato Foco: considera una cosa, io per il corso di allenatore ho speso i miei soldini, mi sono messo lo zaino in spalla e sono andato da solo a farli. Questo può essere un aiuto concreto della FIR. Noi non abbiamo allenatori, come li crei gli allenatori? Facendogli fare i corsi e aiutandoli perché i corsi costano.
Matto Malomo: non possono essere fatti su Zoom, uno deve andare nel posto e vedere una realtà più evoluta della tua, devi capire come funziona una squadra che magari gioca in un campionato di serie A o di Serie A élite per poi portarlo a casa e aiutare la tua squadra.
Andrea Paolini: se hai un allenatore che magari si ha il patentino ecc, ma ha allenato sempre e solo in Calabria, come pretendi di fare il salto di qualità? Noi da questo punto di vista stiamo parlando con vari contatti per mandargli i nostri allenatori, ma è una cosa che nel lungo termine non potremmo mai permetterci.
Quindi voi mandate i vostri allenatori a seguire gli allenamenti di altre squadre vicino a voi? Quali sono i club con cui siete gemellati?
Andrea Paolini: ci ha dato sostegno il rugby Bologna e poi io ho chiesto al CUS Milano che mi ha dato più che altro consigli su alcune cose dal punto di vista societario. Questa discussione sugli allenatori è viva anche in altri parti d’Italia, per me ci vorrebbe una scuola di allenatori magari a Roma, ma anche per gli arbitri, i corsi sono su Zoom, quando dovresti essere in un campo con una situazione di gioco reale per capire come gestirla e cosa fischiare.
Francesco tu sei arrivato a Colorno a 14 anni in uno dei club più strutturati d’Italia e lo hai visto crescere poi negli anni, come ti immagini questo tipo di percorso del club riportato a Cosenza?
Francesco Ruffolo: quando sono arrivato a Colorno la situazione era abbastanza analoga a quella che ha adesso il rugby Cosenza, mi spiego, quando sono arrivato la prima squadra stava facendo i playoff per salire in Top10 e dopo due anni ci sono riusciti. Poi siamo arrivati ultimi, penultimi, poi quinti e l’anno scorso siamo arrivati per la prima volta ai playoff, quindi ho proprio visto la crescita del club anche a livello di numeri, di materiale ecc. Così può essere anche per il rugby Cosenza, è nata ora, giocatori ci sono e ne stanno arrivando sempre di più, i fondi li stiamo trovando e li troveremo, la voglia e il progetto ci sono. È tutto solido, ci vuole solo il tempo per raggiungere i vari obbiettivi. Quello che ti hanno detto loro, di arrivare alla serie B in 3 anni, io sono più che sicuro che ce la faranno perché a Colorno l’obbiettivo erano i playoff in 3 anni dalla promozione in Top10, in 3 anni ci siamo arrivati.
Ho parlato con il rugby Bari e con Mauro Bergamasco nell’ultima intervista e anche loro hanno lo stesso obbiettivo della serie B. Bergamasco mi ha detto più o meno le stesse cose, che la squadra c’è, ci sono le idee, la voglia e tutto, mancava la giusta direzione per lavorare su questo obbiettivo. Per arrivarci non bastano i giocatori, ma il club stesso deve essere funzionale all’obbiettivo.
Io punterei tantissimo sul fatto della franchigia calabrese, perché se siete l’unica squadra a rappresentare tutta la regione nel vostro campionato, quando giocate contro squadre campane, pugliesi e siciliane, voi non siete più il Cosenza rugby, voi andate in campo come rugby Calabria e immagino che nei discorsi prepartita in spogliatoio questo carichi abbastanza a livello di onore e di orgoglio.
2 pensieri riguardo “Calabria anno zero: intervista al Rugby Cosenza con Francesco Ruffolo”