Ogni volta che viene segnata una meta la scena avviene quasi al rallentatore, con il rumore del pubblico che si fa via via più lontano e ovattato, la visione periferica che si offusca, il giocatore o la giocatrice con la palla che in un gesto plastico evita l’ultimo placcaggio ed effettua il grounding. A quel punto lo stadio esplode in un urlo, il tempo torna a fluire a velocità regolare, e si viene come travolti da un treno di caos celebrativo di migliaia di persone festanti. A me succede anche un’altra cosa: mi vengono in mente canzoni. Ciascuna meta ha una precisa colonna sonora nella mia testa, quando la vedo e quando la rivedo. La velocità o meno dell’azione, la fisicità, gli scontri, gli offloads, tutti questi elementi contribuiscono a definire un preciso mood che si tramuta in una specifica traccia che definisce perfettamente quel momento. Ho provato a riassumerne alcune che mi sono venute in mente durante questo Sei Nazioni 2022, scegliendone una per round.

Round 1: Garry Ringrose chiude la pratica per l’Irlanda contro il Galles
Dopo una partita sostanzialmente dominata dall’Irlanda, siamo sul 24-0 per i verdi al 60′ di gioco. Il Galles sembra non averne più, e anche l’Irlanda ha rallentato il gioco. Ma ecco che su un raggruppamento gallese poco distante da centrocampo la palla viene persa in avanti. La squadra irlandese non se lo fa ripetere due volte: con una lunga serie di passaggi veloci formando un arco perfetto degno della miglior sequenza di Fibonacci porta la palla sull’altra fascia, Gibson-Park apre per Mack Hansen che scarica subito su Bundee Aki, il quale a sua volta non pecca di egoismo e apre per l’accorrente Garry Ringrose il quale si invola verso la linea di meta. Il gallese Liam Williams prova a fermarlo ma cade nella trappola e abbocca alla finta di corpo di Ringrose, che finta un passaggio verso l’ala ma poi rientra e va a schiacciare la meta del 29-0. È pieno giorno a Dublino ma è notte fonda per i gallesi. Sarò stereotipato, ma la galoppata di Ringrose è ben sottolineata dal riff principale di I’m shipping out to Boston dei Dropkick Murphys.
Round 2: Darcy Graham pianta i piedi e mostra a tutti che la Scozia c’è
La partita fra Scozia e Galles è stata combattuta, fisica, dinamica. Fino all’ultimo secondo potevano vincerla entrambe le squadre. Il momento che per me esemplifica la partita più di tutti è stata la meta di Darcy Graham nel primo tempo. Dopo 17 estenuanti fasi vicine alla linea di meta del Galles, Ali Price fa un gesto appena percettibile verso la sua destra. Sembra chiamare uno schema, ed in effetti così è: estrae la palla dalla ruck e apre per Tuipulotu, che è almeno la quarta opzione a destra in termini di distanza, ma il siluro terra-terra di Price lo raggiunge senza problemi. Tuipulotu intelligentemente scarica all’indietro per Finn Russell che si trova giusto alle sue spalle, il quale spara un altro missile di 15 metri verso l’ala dove Darcy Graham accorre veloce. Una volta afferrato il pallone non è semplice andare a meta, ci sono due placcatori gallesi pronti a rovinargli la pettinatura. Eppure Graham punta i piedi, avanza 2-3 metri in diagonale senza uscire dal campo, e schiaccia la palla oltre la linea mostrando una forza incredibile. La follia di questi due passaggi così rischiosi ma così efficaci, e la forza con cui Darcy Graham resiste al contatto, stanno bene con Contact dei Foreign Beggars in sottofondo.
Round 3: la pioggia di mete francesi che si abbatte sul cielo di Edimburgo
Questa non è una meta, ma una collezione di mete. Una più bella dell’altra: dinamismo, fisicità, presenza, posizione, tattica, c’è tutto. Non sono in cuor mio riuscito a sceglierne una sopra le altre e ho dovuto metterle tutte quante insieme nel calderone della celebrazione. Questa partita è senza dubbio stata una delle più belle del torneo. Si tratta di una vera e propria danza sportiva, fatta di movimenti codificati, incontri, e scontri pensati al millimetro e provate mille volte prima della partita da ciascun giocatore. Il suggello finale è la meta di Penaud che raccoglie il calcio che arriva dalla zona centrale della 22. A costo di sembrare banale, c’è una sola traccia che esemplifica come devono essersi sentiti i tifosi francesi durante questa partita e durante quella finale contro l’Inghilterra, ed è My Heart Goes Boom dei French Affair. Qualcuno di loro l’avrà sicuramente ballata in qualche discoteca di periferia di Saint Denis attorno alle tre di mattina nella sala revival.
Round 4: Sam Johnson suggella un’azione dirompente della Scozia a Roma
Una meta che chiunque vorrebbe vedere la propria squadra segnare. Il tallonatore scozzese George Turner si invola sulla fascia più veloce di quanto dovrebbe fare uno con la numero 2 sulle spalle, e trebbia il povero Callum Braley che si trova sul suo percorso con una spallata ben assestata. Da lì si aprono le acque come di fronte a Mosè: dopo una decina di metri scarica su Ali Price che riesce a tagliare il campo in diagonale fino a davanti ai pali. Mancano ancora una quindicina di metri alla meta e si forma un raggruppamento. La palla esce dalla ruck in modo disordinato ma l’accorrente Darcy Graham, onnipresente quest’anno, lo raccoglie prontamente. Graham scarica la palla su Finn Russell, appena alla sua sinistra, il quale non si sa come ma riesce in 0.2 secondi a vedere ben 4 uomini scozzesi semi-liberi sulla fascia sinistra, colpevolmente liberi a causa di una difesa italiana ben precaria in quell’incontro. Il gioco da lì è facile: Sam Johnson si invola verso la linea di meta e nessuno può fermarlo. Questa meta è suona bene sulle note di Stop the Rock degli Apollo 440.
Round 5: Ange Capuozzo ed Edoardo Padovani la sistemano a Cardiff
Il momento più bello degli ultimi sette anni per un tifoso italiano di rugby. La partita è sul 21-15 per il Galles e siamo a due minuti dalla fine. Siamo ormai tutti convinti che anche questa volta andrà come sempre, l’ennesima sconfitta con successiva analisi critica del momento buio del rugby italiano. E invece no: Pietro Mennea si impossessa del corpo di un ragazzino magrolino italo-francese che gioca con la 15 la sua prima partita da titolare con l’Italia, ed ecco che nasce il mito di Ange Capuozzo: mezzo campo in slalom fra i placcatori gallesi increduli di fronte all’anguilla che non riescono a fermare, e poi l’offload per Edoardo Padovani che, ancora più incredulo, appoggia la palla centrale quasi sotto i pali per il 21-20. Paolo Garbisi trasforma poco dopo e si scioglie come neve al sole per la vittoria più bella di tutte. È l’ottantesimo, l’arbitro ha fischiato, è finita: 21-22 Italia. Ora ripensate a questa sequenza ascoltando Firebat, questa traccia di Megahit, un ragazzo di Budapest con cui ho avuto il piacere di scambiare due parole a Vienna in un club una volta dopo un suo concerto. Quando parte la traccia riesco a immaginare il momento in cui Capuozzo riceve il pallone, e poco dopo quando la traccia parte, il momento in cui decide di aprire ilgas. Quella corsa di 40 metri è tutta nella chitarra.