Lo avrete notato in molti: sono sempre di più le squadre i cui giocatori indossano dei paradenti particolari. Si tratta di paradenti intelligenti sviluppati dalla ditta gallese SWA, i.e. Sports & Wellbeing Analytics. Ciò che rende questi paradenti speciali è la loro integrazione con un sensore che permette di registrare dati relativi agli urti durante una partita, sia essa di rugby o di hockey, o addirittura un incontro di MMA. Questa tecnologia, chiamata PROTECHT, sta rapidamente rivoluzionando l’approccio delle squadre verso l’uso dei propri giocatori. In un bell’articolo del Guardian di Settembre 2021, Michael Aylwin sosteneva la tesi che l’uso di questi paradenti avesse aiutato e non poco gli Harlequins a vincere il titolo della Premiership, rimanendo intatti fisicamente grazie a una rivoluzionata gestione dei carichi dovuta proprio ai dati raccolti con questi paradenti. Tramite i vari dati raccolti da questi paradenti, i data scientists della SWA sono stati in grado di arrivare a delle conclusioni più generali riguardo a quali fasi del gioco causano più danni, e stanno rapidamente cambiando la percezione che abbiamo della pericolosità di certe situazioni.

Una catastrofe imminente
Le parole di Ryan Jones a inizio settimana di questo Luglio 2022 hanno scosso un po’ tutti. L’ex-capitano del Galles, 41 enne, si è aperto alla stampa riguardo ad una diagnosi di demenza precoce. Jones ha visto le sue capacità cognitive deteriorarsi rapidamente fino alla diagnosi di Dicembre 2021, al punto che ora si dichiara seriamente impaurito di come evolverà la sua situazione. La frase che colpisce dell’intervista è quando dice “rugby is walking eyes closed into a catastrophe”, segno di quanto poco si stia ancora facendo per prevenire i danni dovuti al sostanziale inasprimento degli scontri fisici fra giocatori sempre più grossi, sempre più fisici, sempre più veloci, aggressivi e monolitici. Sia chiaro, a tutti (me compreso) il rugby piace anche per la sua fisicità, ma non è quello il punto. La fisicità e il contatto possono essere controllati, educati, e indirizzati in modo che le conseguenze non superino la botta forte o, alla peggio, l’occasionale osso rotto. Ma quanto i problemi riguardano il cervello e la capacità dell’atleta di intendere e di volere, bisogna tutti fermarsi e fare un passo indietro. Perché seguiamo questo sport? Perché lo pratichiamo? Perché ci affascina? La risposta non può essere “perché si rischia di danneggiarsi irreparabilmente”. Bisogna, dunque, trovare delle soluzioni moderne a questo problema prima che, come dice Jones, la catastrofe sia intorno a noi.

Il paradenti intelligente è un primo passo
La tecnologia PROTECHT sviluppata da SWA (che non ci sta pagando per scrivere questo articolo!) è fatta apposta per prevenire il sovraccarico di urti subito da una giocatrice o da un giocatore di rugby. Tramite un software associato ai vari paradenti, lo staff della squadra può monitorare cose come il cumulative head loading, gli impatti più forti e chi li ha subiti, il numero totale e relativo di impatti di ciascun giocatore, un differenziale da settimana a settimana, e tante altre cose. Tramite queste cifre, l’allenatore può capire chi sta subendo troppi urti e chi invece è all’interno dei parametri di sicurezza, anticipando i problemi invece che vederli avvenire davanti ai suoi occhi. Si tratta di una tecnologia che compie un importante passo in avanti nella gestione del carico di ciascun interprete del gioco in allenamento e partita. Come dicono anche sul loro sito, questa tecnologia non si sostituisce al medico. Non ti dice se c’è concussion o meno, non ti dice se puoi rientrare o meno dopo un urto. Quello che fa è quantificare l’urto, metterlo in relazione con gli urti precedenti subiti, e aiutare l’esame medico nel prendere una decisione. Se ad essa si assoceranno protocolli ben definiti e valori di soglia calcolati su gruppi significativi di atleti, sarà possibile prevenire molti più problemi che in passato. Questo perché i danni cerebrali da urti continui non sono necessariamente qualcosa che si manifesta in una volta, con dei chiari sintomi, e che si può curare. Sono spesso problemi che emergono nel tempo, silenziosamente, e dunque è fin troppo facile evitare di fare prevenzione perché i sintomi si vedono dopo anni.

Le ruck sono molto più pericolose di quanto pensiamo
Leggendo l’articolo del Guardian che ho citato prima, si leggono delle parole di Chris Jones, head of science di SWA: “my perception of, say, a ruck is that it’s one event. Actually it could be five, because I’ve been tackled, I’ve recoiled, hit the floor, someone’s come in and kneed me in the head, which hasn’t been seen, someone else has come in, and so on”. Il vantaggio di avere un paradenti intelligente come quelli equipaggiati con la tecnologia PROTECHT è che il paradenti raccoglierà l’intensità di ciascuno di questi urti, individualmente, e permetterà una ricostruzione adeguata di cosa è successo. Jones poi continua, spiegando come l’uso dei dati raccolti in tempo reale dai paradenti sia più efficace del misurare la confusione dell’atleta dopo il singolo urto. Un atleta, infatti, potrebbe passare l’HIA (head injury assessment) dopo un duro colpo alla testa ma essere molto sovraccarico stando ai dati del paradenti. Se si dovesse giudicare solo il singolo urto, il giocatore verrebbe rimandato in campo. Se invece si dovesse usare entrambe le lines of evidence (paradenti e medico), il giocatore potrebbe essere messo da parte per sua salvaguardia. Questo semplice approccio potrebbe salvare decine di giocatori da problemi psicologici e cognitivi negli anni a venire, anche se nel momento qualsiasi rugbista insulterebbe il medico e pretenderebbe di tornare in campo perché “non è niente, solo un graffio”.

In conclusione: cosa c’è oltre ai colpi alla testa?
Un dato allarmante che vorrei portare in superficie in conclusione, è quello relativo al numero di colpi diretti alla testa fra quelli che recano danno al cranio. Sempre nell’articolo del Guardian, si legge che sono stati raccolti dati su già più di 60,000 urti, e solo il 32% di questi è un urto per contatto diretto alla testa. In altre parole, due urti su tre di quelli che hanno azionato il sensore del paradenti applicando una forza sul cranio non derivano da contatti diretti alla testa. Questo mette tutto in una luce diversa: finora abbiamo sempre guardato ai contatti diretti alla testa come i responsabili di un potenziale danno cerebrale, quando invece ogni singolo urto conta, ed è la somma delle forze applicate da ciascun urto a dover essere monitorata, non solo il singolo contatto pericoloso. Tramite l’uso di paradenti come questo, sarà possibile monitorare in tempo reale quali giocatori stanno rischiando e quali meno, magari permettendo agli staff medici di consigliare una sostituzione. Come ben sappiamo, non è solo la rilevazione dell’urto il problema, ma anche la cultura che ci sta intorno. Anch’essa deve cambiare: a parte il giocatore che sminuisce dicendo di star bene, anche l’allenatore deve imparare a fare a meno dei suoi pezzi pregiati se i dati suggeriscono un sovraccarico. Se dovessero essere ufficializzati gli utilizzi di questi dati a scopo della direzione di gara, i medici devono restare il più possibile indipendenti, per non vedersi costretti a mentire su un dato rilevato. Idealmente, sarebbe bello che un arbitro venga avvisato magari dal TMO se un giocatore sembra avere valori fuori scala, senza che vi sia un evento scatenante che ne giustifica la richiesta di HIA. Molto deve cambiare, e non solo a livello tecnologico, prima che il rugby si metta in sicurezza, ma speriamo che questa sia la direzione giusta.