Un problema vecchio come il rugby 

L’idea che la mischia rovini lo spettacolo nel rugby è vecchia come il rugby stesso. È talmente alla base delle divisioni interne del nostro sport che è una delle differenze più evidenti fra rugby union e rugby league, le due versioni di rugby giocate nel mondo. Non si tratta della ragione per cui i due sport si separarono nel 1895, cosa che avvenne più per ragioni di denaro e compensazione dei giocatori che per divergenze sul regolamento, ma è comunque un aspetto del gioco su cui i due codici di rugby si dividono alla radice. 

Se vi interessa il tema della grande scissione che ha portato i giocatori “operai” del nord dell’Inghilterra a formare la propria “lega” di rugby con compensi economici e regole diverse, da cui il nome rugby league, vi suggerisco di leggere Rugby’s greatest split di Tony Collins.

Una mischia fra Argentina e All Blacks (Vozpópuli)

Il discorso si è riacceso 

Recentemente, Matt Williams, l’ex allenatore australiano della Scozia dei primi anni duemila, ha dichiarato che la mischia andrebbe depotenziata per favorire lo spettacolo. Nell’articolo, a parte menzionare le gambe depilate dell’arbitro per poi dire che non è detto come critica, Williams suggerisce che la mischia sia sostanzialmente noiosa e non aiuti ad appassionarsi al gioco. La mischia viene presentata come lenta, macchinosa, poco spettacolare per i non-addetti ai lavori.
Il mondo del rugby union si è indignato e non ha tardato ad arrivare la “vendetta” di qualcuno che si è divertito ad editare la sua pagina Wikipedia, che oggi ricorda che «Matt Williams (born 1960) is an Australian former rugby union coach who is best known for having led the Scotland men’s national rugby union team to 14 losses in 17 games between 2003 and 2005, with a win rate of just 17.65%». 

Matt Williams all’epoca in cui allenava la Scozia (All Rugby)

È “league” o è “union”?

Gli appassionati di rugby league considerano il rugby union noioso, con troppo poco running game, troppo spezzettato fra raggruppamenti, mischie e falli. Gli appassionati di rugby union, per contro, vedono il league come una versione depotenziata del loro sport: meno giocatori, limite di fasi, niente mischie, solo tanta corsa e placcaggi che sembrano un po’ troppo alti ai nostri occhi “union”. Questa distinzione è essenziale per capire la reazione “di pancia” del mondo union alle parole di Williams. Una conciliazione fra i due codici è praticamente impossibile, anche se stiamo assistendo sempre più a giocatori e allenatori che cambiano codice. C’è dunque un avvicinamento “organico” fra i due codici, dettato sicuramente anche dal professionismo arrivato nello Union dal 1995, dopo esser stato permesso nel League già cent’anni esatti prima. Però un conto è avvicinarsi organicamente, un altro è cambiare la propria identità. 

Gli spettatori giovani sembrano mancare

Il rugby union sta vivendo una crisi tutta sua: quella di doversi svecchiare per attrarre nuove generazioni. Altri sport sembrano crescere più rapidamente, attrarre di più i giovani, catturare maggiormente quelli che sono gli interessi delle nuove generazioni. In un contesto “a scopo di lucro”, come tutti gli sport professionistici, si tratta di una red flag importante che va analizzata per tempo. Uno dei discorsi più cavalcati nel mondo del rugby è quello di favorire l’inserimento di nuovo pubblico; le modalità implementate da World Rugby sono quelle della revisione del regolamento con la finalità di migliorare lo spettacolo ed eliminare i “punti morti”, per evitare che gli spettatori più giovani scrollino al prossimo video. Negli ultimi dieci anni si è assistito a una vera e propria ri-stesura del regolamento del rugby in tanti aspetti, dal goal line drop out alla 50:22 passando per il rosso da 20 minuti e il quick reset delle mischie. Tutte modifiche chiaramente improntate all’aumentare le situazioni di gioco rotto e ball in play.

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L’emblema del rugby union: la “chiusa”

“Bassi, lega, via”. I comandi arbitrali di ingaggio della mischia chiusa che hanno sentito tantissimi amanti del rugby in Italia che hanno giocato a qualsiasi livello. “Crouch, bind, set”, per quelli che seguono il rugby internazionale (e qualcuno magari ancora ricorda le vecchie formule d’ingaggio “crouch, touch, pause, engage” e prima ancora “crouch and hold, engage”). Giratela come volete, ma le 3-4 “buzzwords” del rugby sono queste. Sono 3-4 parole ma riassumono un aspetto estremamente caratteristico del nostro sport: quel momento elettrico dove gli avanti si abbassano, i piloni ghignano l’uno all’altro, le seconde linee si legano, le terze danno una pacca sul culo alle seconde e si legano a loro volta, e al set comincia la battaglia. È il rugby union, end of story.

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Una mischia fra Argentina e Australia. ESPN

La mischia decide ancora le partite 

Possiamo affrontare il discorso dal punto di vista romantico e sarebbe già efficace, ma forse il modo giusto è quello analitico. La mischia ordinata è usata nel rugby union per dirimere questioni inerenti a infrazioni considerate non troppo gravi come passaggi in avanti o palloni ingiocabili. Per questo motivo, di mischie in una partita ce ne sono di più rispetto ai calci di punizione (a grandi linee una decina di mischie contro 4-5 calci di punizione). Il Sud Africa sulla dominazione in chiusa ha costruito la propria narrativa nazionale, e grazie ad essa ha costruito gli ultimi due successi mondiali. Proprio nell’ultimo mondiale in Francia, e proprio contro la Francia, Damian Willemse riceve un calcio nella propria 22 e chiama il mark. Poggia la palla a terra, e chiede mischia. Una decisione al limite dell’incredibile, essendo la partita sul 19-19 al 35’. Eppure quella scelta è più tattica di quanto si pensi: come disse coach Rassie Erasmus successivamente, la Francia non ti dà tante mischie perché preferisce dominare al piede. Chiedendo mischia, la palla la introdusse il Sud Africa e gli avanti francesi furono costretti prima ad avanzare fino al punto della mischia, poi a inevitabilmente perderla, e infine dover correre dietro ai trequarti sudafricani per mezzo campo. Con questa tattica, il possesso è stato riguadagnato e l’inerzia della partita rigirata, fino al 28-29 finale per gli Springboks.

Willemse che chiede mischia dopo il mark. SA Rugby Magazine

Diciamocelo: la mischia è bellissima

Io, da persona che non ha alcuna esperienza in nessuna mischia a nessun livello, la vedo estremamente diversamente. Mi sono appassionato al rugby da bambino vedendo il “mio” Benetton Rugby giocare appassionanti lotte scudetto contro il Milan Rugby. Ho visto l’Italia entrare nel Sei Nazioni grazie a delle prestazioni sontuose del pacchetto di mischia, azzurri che poi hanno costruito sulla mischia la propria reputazione internazionale. Mi sono appassionato al rugby anche grazie a quella strana cosa otto contro otto che si formava dopo ogni passaggio in avanti, dove atleti giganteschi spingevano in direzione opposta cercando di destabilizzarsi a vicenda. La mischia va prima conosciuta per poterla apprezzare, non è immediata. In mischia chiusa si decidono le partite, si ottengono penalità, si ottiene la superiorità mentale sull’avversario, prima ancora che fisica. Infatti, il detto dice che gli avanti vincono le partite, i trequarti decidono di quanto (origine sconosciuta, ma attributa a Vittorio Munari).

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Martin Castrogiovanni e Andrea Lo Cicero. Federazione Italiana Rugby

Cosa fa della mischia “la mischia” 

Alcune infrazioni di gioco nel rugby portano a una mischia ordinata. La più nota di queste è il passaggio in avanti. Sul punto dell’infrazione si effettua una mischia dove 8 giocatori di una squadra e 8 dell’altra si contendono il pallone spingendo orizzontalmente in direzione opposta gli uni agli altri. Il contrario del tiro alla fune, per capirci. La prima linea, composta dai due piloni e dal tallonatore, si deve legare con la prima linea avversaria, e qui viene la prima difficoltà: la legatura è difficile e una salda presa sull’avversario è fondamentale per non collassare in basso sotto il peso della spinta, perdendo la mischia. Lo stereotipo del pilone come “quello grosso” è, appunto, uno stereotipo: il peso conta, non nascondiamoci, ma i piloni più forti del mondo al giorno d’oggi non sono necessariamente quelli più pesanti. La tecnica, in mischia, è fondamentale più del peso. 

Il tallonatore, al centro fra i due piloni, può scegliere in che direzione spingere di più nella mischia. C’è una grande dose di tattica dietro questa scelta: se un pilone avversario sembra in difficoltà il tallonatore può unirsi alla pressione fisica puntando a farlo crollare. Lo ha fatto con successo l’Italia contro il Sud Africa a Torino, con Riccioni (#3) e Nicotera (#2) alleati contro il 3 degli Springboks, presto sostituito da Rassie Erasmus per rimediare. Le seconde linee, legate alla prima linea, sostengono la spinta e forniscono quel supporto alle prime per poter far arretrare il pacchetto avversario e conquistare il tanto agognato vantaggio che si concretizza quando la mischia avversaria arretrando perde stabilità e finisce per stapparsi o cadere. Senza questo supporto, la mischia può essere stabile quanto si vuole ma non avanzerà e difficilmente verrà vinta. Infine le terze linee forniscono un ruolo di supporto e raccordo fra seconde e piloni, ma sono al contempo pronte a sganciarsi per portare palla (il numero 8) o per placcare i ball carrier avversari (i due flanker).

Non rinunciamo alla nostra identità

Il mio vuole essere prima di tutto un appello. In una mischia entrano in gioco tantissimi fattori. Stabilità, tattica, spinta, peso, supporti, occhi aperti per intercettare eventuali ripartenze. Se siete ancora dell’idea che non sia spettacolare, che sia noiosa, che sia solo uno scontro fra grossi, sono dell’opinione che forse il rugby union non sia lo sport per voi: c’è la sua versione a 13, il rugby league, dove la mischia non c’è, si placca duro, si corre tanto, e si deve arrivare in meta rapidamente. Non c’è niente di male nel preferirlo così. Depotenziare però la mischia nel rugby union è come andare contro all’identità stessa di questo gioco, al suo cuore pulsante. Una delle cose belle del rugby è che c’è un ruolo per tutti, dall’alto al basso, dal largo al sottile. Poche cose come la mischia hanno saputo avvicinare ragazzini e ragazzine dalle dimensioni fisiche importanti allo sport, offrendo un posto per tutti. Ridurre le situazioni di mischia per cercare di catturare, forse, un pubblico che finora ha mostrato poco interesse per te, è a mio parere una mossa scollegata da quello che il rugby è sempre stato.

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