Con la vittoria a Twickenham del 14 giugno 2025, Bath rugby ha messo a segno uno storico Treble, terminando un digiuno lungo 29 anni e conquistando nella stessa stagione la Premiership, la Premiership Cup e la Challenge Cup. Un risultato straordinario che rappresenta il punto esclamativo su una stagione indimenticabile. Ma in un contesto fragile come quello della Premiership – afflitto da crisi economiche e pericoli finanziari dietro l’angolo – come ha fatto Bath a costruire un roster pieno di stelle internazionali restando nei limiti del regolamento? Il dubbio serpeggia tra addetti ai lavori e tifosi: è l’inizio di una nuova era o la replica di un film già visto?
In questo approfondimento cerchiamo di capire perché il progetto Bath sembri sostenibile, quali leve regolamentari e strategiche sono state utilizzate e dove si colloca il confine tra virtuosismo gestionale e rischio sistemico scelto dal suo proprietario.
Salary cap a confronto: Premiership, Top14, URC
Prima di analizzare il percorso recente di Bath, è utile contestualizzare il salary cap inglese confrontandolo con quello degli altri grandi campionati europei.
| Campionato | Salary Cap |
| URC | Nessun tetto salariale ufficiale, le regioni applicano diverse politiche |
| TOP14 | 10,7 milioni di euro |
| PREMIERSHIP | 6,4 milioni di sterline (ca. 7.5 milioni di euro) |
Lo United Rugby Championship
Nello URC non esiste un salary cap ufficiale. Tuttavia, le squadre che militano in URC provengono da realtà rugbystiche e geografiche molto diverse tra loro. Il sistema centralizzato in Irlanda si presenta ancora come un modello di virtuosismo e, non a caso, nella top 3 delle squadre più ricche del mondo una è irlandese: Leinster. La Scozia sta affrontando la ripresa da alcuni anni difficili, segnati da una perdita di 10.6 milioni di sterline nella stagione 2023/2024. In Galles la situazione è critica, con un debito cumulativo pari a 20 milioni di sterline. I tre paesi, però, avevano deciso di stabilire autonomamente un tetto salariale intorno ai 5–6 milioni di sterline.
Nell’emisfero sud, il Sud Africa resta un modello molto interessante: ha vinto due coppe del mondo consecutive, e i programmi di sviluppo giovanile continuano a dare i propri frutti. Tutte e quattro le franchigie presenti in URC sono gestite dalla SARU che ha imposto un salary cap per ciascuna di circa 6 milioni di euro per franchigia (127 milioni di South African Rand), al netto delle eccezioni.
L’ Italia invece è un caso a parte: sebbene i bilanci di Benetton (14 milioni di euro) e Zebre (7 milioni di euro) siano noti, i limiti salariali specifici non sono pubblici, me è difficile pensare che siano alti. Il sostegno della FIR, che versa complessivamente circa 10 milioni di euro tra le due squadre, risulta determinante specialmente per i ducali. Treviso, come vedremo anche Bath, conta molto sulla presenza della famiglia proprietaria che ha un impatto diretto sulla squadra e fa pesare la propria posizione nei rapporti con la federazione.

La Francia e il TOP14
In Francia, la potenza economica dei club è limitata da un tetto salariale ben più alto di quello inglese: 10,7 milioni di euro. Una cifra comunque considerata restrittiva da alcuni, come Jacky Lorenzetti (proprietario del Racing 92), secondo cui l’attuale cap “non è sostenibile per i club che puntano a un equilibrio tra competitività e solidità finanziaria”. Anche se violazioni del tetto non comportano penalizzazioni in classifica (almeno per ora), il tema resta caldo. Limitazioni o meno, ad oggi due delle tre squadre più ricche al mondo – Stade Toulousain e Racing 92, rispettivamente prima e terza – sono francesi. Tale ricchezza si spiega anche con il recente accordo televisivo che frutterà 139 milioni di euro all’anno ai club d’Oltralpe.
La Premiership rugby
In Inghilterra, per la stagione 2024-25 il tetto salariale è fissato a 6,4 milioni di sterline. Tuttavia, tra crediti e deroghe, i club possono effettivamente spendere fino a 7,8 milioni di sterline (ca. 9.15 milioni di euro), più lo stipendio di un excluded player. Vediamo le principali eccezioni che sono previste dalla RFU:
- Credito “home-grown”: fino a £600.000 per giocatori cresciuti nel club.
- Credito EPS/internazionali: fino a £400.000 (max £80.000 per giocatore) per assenze dovute a impegni con le nazionali.
- Credito infortuni: fino a £400.000 per rimpiazzare infortunati di lungo corso.
- Marquee player: un giocatore può essere escluso totalmente dal cap (come Finn Russell), a meno che non ci siano già due contratti esclusi pre-2020.
- Fondo educativo illimitato, fuori dal cap.
- Contratto ibrido: la RFU paga una parte dello stipendio del giocatore se questo viene considerato importante per la nazionale inglese.
Tra il 2022 e il 2024, prima che fallissero tre club, i club di Premiership spendevano complessivamente 100 milioni di sterline per gli stipendi. Oggi ad eccezione di NewCastle, per difficoltà finanziarie, e Bristol, per decisione del suo proprietario miliardario, Steve Lansdown, che ha scelto di alleggerire il monte stipendi, tutte le squadre spendono in media una cifra vicina ai 6 milioni di sterline. Bath rugby, invece, ha scelto di giocare sul limite. Ma chi c’è dietro tutto questo?
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Bruce Craig e i suoi “primi” 14 anni
Figlio di buona famiglia, dirigente di azienda affermato e amico di James Dyson, Bruce Craig è l’uomo che nel 2010 ha rilevato il 100% delle quote di Bath rugby da Andrew Brownsword. All’epoca dell’acquisto, Craig era il più ricco proprietario di club di rugby in Inghilterra. Questo grazie agli oltre 900 milioni di sterline ottenuti dalla vendita di una compagnia farmaceutica. Fin dal giorno uno della sua era ha investito molti milioni nella squadra. Dapprima con il trasferimento della sede e dei campi di allenamento fuori città, a Farleigh House, poi nel 2023 è arrivata la firma milionaria di Finn Russell e degli altri big. Lui stesso, in un’intervista rilasciata al Telegraph negli scorsi mesi, ha confessato di “non sapere quanti milioni ha speso per la squadra“: tutti soldi per cui è valsa la pena mettere mano al portafoglio, dice, visto che lo ha fatto per amore.
Da sempre critico nei confronti del salary cap, nel 2015 la sua gestione è finita sotto osservazione insieme a quella dei Saracens da parte degli organi di vigilanza della Premiership per presunte violazioni del salary cap. Craig sostiene che il tetto salariale sia un limite ingiusto per le realtà sportive che vogliono crescere e diventare delle potenze continentali, ponendosi così sulla stessa linea di pensiero di Lorenzetti. Ancora oggi, il numero uno di Bath rugby, sostiene la necessità di abbandonare il sistema-club e di passare a un sistema di franchigie senza retrocessioni e promozioni per far si che gli investimenti aumentino, alimentando la competitività interna, e permettendo in questo modo alle squadre più forti di emergere a livello internazionale.

Il progetto data driven di coach van Graan
La svolta tecnica nella lunga gestione Craig è frutto di una pianificazione iniziata con l’arrivo del sudafricano Johan van Graan che, nel 2022, ha accettato l’incarico di Head of Rugby dei Blue, black and whites. Fin da subito il nuovo capo allenatore ha voluto costruire una strategia condivisa di sviluppo con la dirigenza del club, elaborata dopo aver analizzato attentamente la situazione della squadra partendo dal basso e finendo con i top player. Successivamente si è dato il via al nuovo corso e al nuovo progetto di costruzione di un nuovo gruppo vincente.
“I don’t speak of superstars, I speak of players.”
Il primo passo è stato ringiovanire il roster, sia in ottica futura sia per sfruttare machiavellicamente le eccezioni previste dal regolamento. Bath ha così investito nella rete scolastica locale, puntando sull’ appeal del campionato universitario BUCS Super Rugby per avvicinare e sviluppare talenti, sia per una potenziale carriera sportiva con un futuro in prima squadra, sia per una istruzione universitaria di qualità alla University of Bath.

Il ruolo di Oval
In secondo luogo, è stata migliorata la selezione dei giocatori esperti. L’introduzione degli algoritmi predittivi di Oval ha consentito di individuare profili adatti per caratteristiche tecniche (ball carrying, età, leadership) e soft skills (adattabilità, spirito di gruppo). È così che sono arrivati giocatori come Thomas du Toit, campione del mondo con il Sud Africa, capace di giocare su entrambi i lati della mischia. Nelle statistiche qua sopra si può vedere il suo impatto sulla singola finale di campionato condite anche da una meta.
“Con Thomas abbiamo identificato il ruolo e preso la persona giusta. Una volta che hai un giocatore, il valore va ricercato nella sua prestazione. Ha segnato 11 mete, lo stesso numero di Joe Cokanasiga, un’ala” ha spiegato l’head coach al Telegraph. Il risultato è una rosa profonda e competitiva, che alimenta la concorrenza interna e tiene alta la qualità: in ogni ruolo chiave, Bath potrà contare su almeno due giocatori di livello internazionale.
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La gestione dei contratti
In un contesto di controlli rigidi e invasivi, dovuti alla grande instabilità finanziaria dei club, la capacità di spesa di Bath rugby ha sollevato sospetti. Quindi ci siamo chiesti anche noi: come fanno a restare dentro i limiti di spesa? Un primo aspetto è l’uso efficace delle esclusioni: stipendi di giocatori cresciuti nel vivaio o marquee non rientrano nel cap. Questo consente margini di manovra per ingaggiare atleti esterni.
| Giocatore | Ex Club | Valore contratto stimato |
| Santiago Carreras | Gloucester Rugby, dal 2025/26 | Tra le £ 300.000 e le £ 350.000 in più anni |
| Ross Molony | Leinster, dal 2025/26 | £ 250.000 in più anni |
| Guy Pepper | Newcastle Falcons | £ 500.000 (in 3 anni), £ 40.000 primo anno |
| Finn Russell | Racing 92, dal 2025/2026 | Almeno £ 1.000.000 a stagione per tre anni (marquee player) |
| Henry Arundell | Racing 93, dal 2025/2026 | £ 400,000 compreso il contributo della RFU per il contratto ibrido per tre anni |
La formula back loaded
Molti contratti, inoltre, sono strutturati con formula back-loaded: cioè importi più bassi nei primi anni e un pagamento maggiore alla fine. Vediamo di seguito a titolo di esempio il pagamento di un contratto dal valore di 3 milioni di sterline per tre anni utilizzando la formula indicata:
| Anno di contratto 1 | Anno di contratto 2 | Anno di contratto 3 |
| £250.000 | £250.000 | £2.500.000 |
È plausibile che Bath rugby stia usando questo approccio, spalmando i salari su 13 o 25 mesi, con clausole che rinviano parte della retribuzione al termine del contratto così da restare nei limiti senza rinunciare alla qualità. Almeno questo è quello che il Telegraph è riuscito a carpire da quanto traspare dalla società.
In ultimo, un altro fattore che può sembrare scontato perché meno ecclatante, sono quei giocatori come Ben Spencer che hanno firmato un rinnovo spalmando su più annualità il valore del proprio contratto.
I conti di Bath: giochi di prestigio o capacità contabile?
Nel 2023/24, Bath ha registrato 20,8 milioni di sterline di ricavi (+3,5 milioni rispetto alla stagione precedente), trainati da:
- Vendita biglietti e sold out
- Food & Beverage
- Hospitality
- Sponsorizzazioni
- Merchandising
L’effetto Finn Russell ha inciso molto in termini di visibilità e ritorni commerciali. Tuttavia, la sostenibilità piena non è ancora raggiunta: Bruce Craig ha dovuto versare da poco altri 5,9 milioni di sterline a titolo di prestito personale. Le perdite di esercizio del 2023/2024 si attestano a 3,68 milioni di sterline, in lieve aumento (+12%) rispetto all’anno precedente. Non sono numeri che fanno particolarmente paura, ma dimostrano che ad oggi, senza un proprietario che mette di tasca propria il capitale necessario, il modello non è sostenibile.
Focus: il futuro passa dallo stadio
Una delle chiavi per invertire il trend sarà la completa ristrutturazione del Recreation Ground, un obiettivo rincorso sin dall’arrivo di Craig 14 anni fa. Questo a patto che il progetto guardi al futuro. L’impiantistica odierna deve essere intelligente, cioè tecnologicamente connessa alla rete in tempo reale, permettendo l’utilizzo di app dedicate per l’acquisto e la gestione dei biglietti, per l’orientamento all’interno della struttura come fanno già gli Exeter Chiefs con l’app Sandy Park Ticketing e per l’utilizzo dei punti di ristoro. Un altro impiego della tecnologia di ultima generazione utile a contenere i costi di gestione è quella che avviene al “Croke Park di Dublino dove la suite di Azure IoT di Microsoft, utilizza i dati ambientali per ottimizzare l’illuminazione del campo, ottenendo risparmi energetici significativi” ha scritto Sergio Boccadutri su Agenda Digitale.
Ma non finisce qui. Eco-sostenibilità e multifunzionalità per ospitare il maggior numero possibile di eventi (altri sport, concerti) sono imprescindibili. Sempre Boccadutri: “La tecnologia trasforma il mero spettatore in cliente di diversi servizi offerti all’interno dell’impianto sportivo […]. Un esempio è l’Espai Barça a Barcellona […] i servizi offerti genereranno un aumento del 25% dei ricavi del club”.
Nei desideri di Bath rugby il nuovo Rec dovrebbe passare da 14.500 a 18.000 posti, divenendo contemporaneamente un esempio positivo di biodiversità e di eco-sostenibilità, capace di integrarsi con l’architettura di Bath considerata patrimonio dell’umanità UNESCO. Il progetto prevede anche la riqualificazione della zona lungo il fiume dove dovrebbero nascere nuovi ristoranti e bar, attivi indipendentemente dalle partite, in linea con quello che era il progetto presentato alla città nel 2023.

Cosa dobbiamo aspettarci?
Il caso Bath è una cartina tornasole per il rugby inglese. Da un lato, l’approccio coraggioso nella gestione del salary cap, l’investimento nel talento locale e l’uso avanzato dei dati hanno prodotto risultati vincenti. Dall’altro, rimangono interrogativi legittimi sulla sostenibilità economica, ancora legata al sostegno personale del proprietario che non potrà durare per sempre.
Sarà decisivo a mio avviso vedere se la trasformazione del Recreation Ground in un asset urbano e commerciale potrà generare ricavi stabili e indipendenti dalle prestazioni sportive.
Il successo sportivo di Bath oggi è realtà. La vera sfida per il futuro è dimostrare che si può vincere nel rugby inglese senza compromettere l’equilibrio finanziario. Se il progetto reggerà, potrebbe segnare l’inizio di una nuova dinastia. In caso contrario, rischia di diventare solo l’ennesima vittima del rugby inglese e l’ennesimo grande rimpianto di questo sport.
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Un pensiero riguardo “Bath rugby tra realtà e illusione”