Disclaimer: questo articolo non vuol esser altro che una riflessione; non c’è nessun dato che supporti, ad oggi, la ricreazione dei Dogi. Chi vi scrive, inoltre, è un tifoso di Treviso.

Un buon momento

Il rugby in Veneto sta vivendo un momento di grande trazione. Nell’alto livello il Benetton Rugby ha concluso un’altra stagione di United Rugby Championship. Nelle ultime due stagioni gli investimenti del club sono aumentati, nonché i risultati. Anche se la stagione appena terminata ha mostrato una leggera flessione rispetto alla scorsa, si è giocata la Champions Cup portando a casa scalpi importanti come quello dei pluricampioni dello Stade Rochelais, e in campionato si sono ottenute vittorie importanti come contro i Lions a Johannesburg e contro Glasgow in casa alla penultima. 

In Serie A Élite, Rovigo ha vinto l’ennesimo scudetto battendo i rivali del Petrarca in semifinale, e il Viadana in finale, il quale aveva fatto a pezzi la stagione regolare. In aggiunta, il giovane rossoblù Mirko Belloni ha vinto il premio di giocatore del torneo. Tutto ciò non può che confermare che il movimento rugbistico veneto è in salute, capace di produrre risultati, e di addestrare nuove leve ogni anno. 

Gli highlights della vittoria di Treviso per 32-25 contro i campioni di La Rochelle.

Nel complesso, quindi, questa stagione è stata positiva per le realtà venete, le quali confluiscono nel Benetton Rugby quando si parla di accesso al professionismo. ll club trevigiano si trova in buon equilibrio fra finanze, risultati e prospettive, e tutto sommato il sistema piramidale di accesso all’alto livello del talento regionale (e non solo) funziona bene. Il problema però è che questo equilibrio sembra destinato a dover essere rivisto prima o poi, perché il supporto economico fornito da Luciano Benetton (90 anni a Maggio) non durerà in eterno. 

Sono tante le realtà virtuose dal grande potenziale, ma nessuna che davvero compete con i migliori e che ancora gioca per vincere qualcosa. Padova e Rovigo sono ricche per la Serie A Élite, ma riuscirebbero a competere anche fra i più grandi? Treviso è capace di crescere ancora, o è arrivata al suo massimo e per crescere deve fare qualcosa in più e aggregarsi con altre realtà? Vien da chiedersi, dunque, quale sarà il destino del rugby d’alto livello in Veneto non oggi, non il prossimo anno, ma fra magari cinque anni. Quale direzione si vuole intraprendere? Cosa è stato fatto e cosa manca da fare per non farsi trovare impreparati? 

Le Posse Rossoblù, forse la tifoseria più accesa e numerosa d’Italia. (La voce di Rovigo)

Terremoti finanziari: come evitarli?

In tempi recenti sono stati molti gli sconquassi economici che hanno messo in difficoltà il rugby internazionale. La Premiership ha perso in poco tempo London Irish, Wasps e Worcester Warriors. Il Sei Nazioni ha venduto 1/7 delle sue quote a un fondo di investimento per assicurarsi degli introiti. Lo URC flirta costantemente con gli emirati arabi di fronte a offerte milionarie di diritti televisivi per partite di cartello. 

Il bisogno di denaro del rugby europeo sta spingendo molti a riorganizzarsi, tanto che in Galles, forse il territorio più in crisi da questo punto di vista, si pensa di provare a unirsi alla Premiership per ridurre i costi delle trasferte e far leva sulle rivalità locali per riportare la gente allo stadio. O alternativamente a togliere una franchigia. 

Guarda le nostre slides sul Galles: 

Un periodo di transizione

In questo contesto, anche l’Italia deve pensare a salvaguardare il proprio, seppur piccolo, spazio nel rugby di alto livello. Le recenti vicissitudini economiche che hanno coinvolto la famiglia Benetton hanno fatto paura a tanti tifosi trevigiani, dato che la possibilità reale di un ridimensionamento della squadra e delle sue ambizioni c’è, anche se solo all’orizzonte in lontananza. La licenza per partecipare allo URC, infatti, è del Benetton Rugby fino al 2028

Luciano Benetton (iProfesional)

Da tifoso biancoverde, considero un lusso vedere Treviso giocare con le migliori squadre europee, ma mi rendo anche conto che una squadra che non può competere non fa bene all’Italia del rugby. Fortunatamente non è ancora questa la situazione, ma i tanti futuri partenti fra cui coach Bortolami e il veterano Ignacio Brex fanno presagire un’aria di grandi cambiamenti.

D’altro canto, i grandi risultati delle altre squadre venete come Padova e Rovigo, uniti agli sforzi formativi di Mogliano, Verona, Vicenza e altre realtà magari meno grandi, mostrano un territorio dotato di un grande tessuto rugbistico in salute, che se dovesse unire gli sforzi per quanto riguarda il prodotto apicale (la prima squadra ed eventualmente una U19), potrebbe davvero giocare per vincere. 

Il Petrarca in cerchio dopo la sconfitta in semifinale contro i rivali di Rovigo (La Piazza Web)

La suggestione di una franchigia territoriale

In questo contesto, siamo sicuri che non ci convenga investire già in una franchigia veneta? Accentrando gli sforzi di Padova, Treviso, Rovigo, e tutti i club veneti, si potrebbe raggiungere risultati che, al momento, Treviso non sembra in grado di poter raggiungere da sola. Si avrebbe una squadra da cui tutti i veneti si sentirebbero rappresentati, e non solo noi trevigiani. Vien naturale pensare ai Dogi

I Dogi sono stati una selezione a inviti attiva negli anni 70 e 80, fondata a Treviso e itinerante, che racchiudeva il meglio del rugby del triveneto. Altre franchigie simili erano le Zebre (nord-ovest) e i Lupi (centro-sud). Fra il 1977 e la metà degli anni ‘90, queste selezioni hanno rappresentato più che degnamente l’Italia in amichevoli internazionali di grande valore, accentrando i migliori giocatori di aree geografiche più grandi in maniera simile a come avviene tutt’oggi in Irlanda con Leinster, Munster, Connacht e Ulster. 

Immagine di repertorio dei Dogi (Wikipedia)

Una vecchia storia

Selezioni come Dogi, Lupi e Zebre hanno contribuito molto alla diffusione del rugby nell’Italia degli anni ‘80. Un successo che ad oggi manca terribilmente nello stivale nonostante i 25 anni di Sei Nazioni. Si tratta di squadre dall’elevato fascino d’antan, ma il concetto alla base era quello delle moderne franchigie: vari club indipendenti uniscono gli sforzi, accentrano i migliori giocatori, e sfidano il piano superiore del rugby. 

Ad oggi le sole Zebre sono una squadra di livello, essendo stato usato il nome (e i colori, inizialmente) per la franchigia di stanza a Parma che gioca in United Rugby Championship assieme al Benetton Rugby. Una franchigia da sempre discussa, che pesa molto sulle casse federali, ma che ha funzionato per certi versi proprio come avrebbe dovuto: raccogliendo il meglio delle squadre emiliane, romagnole e del nord ovest, con qualche innesto dal sud (inteso sia come italia che come emisfero). Il titolo di “Coach of the Year 2025” dato a Massimo Brunello dagli altri allenatori di URC non è che la certificazione che il progetto finalmente sta iniziando a funzionare. Ciò che manca per fare il salto sono maggiori investimenti di privati, per alzare il livello e migliorare le facility.

Immagine di repertorio delle Zebre (Rugby Totale)

Il mondo intanto è cambiato

Queste selezioni a inviti erano state create in un tempo in cui il rugby non era professionistico, per giocare amichevoli di prestigio e attirare pubblico. E ci riuscivano: delle 22 partite disputate dai Dogi, 15 sono state vinte. Su 23 disputate dai Lupi, 17 sono state vinte. Discorso simile per le Zebre, anche se il numero esatto di vittorie è meno facile da trovare. Gli avversari sono quasi sempre stati di tutto rispetto: Barbarians, Cardiff, Tolosa, Leinster, Harlequins, perfino i Leopards del Sud Africa dell’Apartheid (proprio nella prima partita ufficiale dei Dogi). 

Nel rugby di oggi sarebbe molto difficile riportarle in auge come selezioni a inviti per amichevoli, ma potrebbero ritornare sotto forma di franchigie vere e proprie. Gli esempi li abbiamo in URC: basti guardare alle 4 province irlandesi (che da noi sarebbero regioni). Dal 1879, il Munster Rugby rappresenta tutti i club dell’omonima provincia. Nello statuto del club, si evince: “intended to […} prevent any club bias by providing neutral selectors for the representative side”. Una squadra di questo tipo sarebbe gestita dai club sottostanti, con regole chiare, eque e volte allo sviluppo. Ne beneficierebbe tutto il movimento.

Il Munster Rugby, che dal 1879 rappresenta tutti i club della provincia di Munster, il 31 ottobre 1978, quando battè gli All Blacks (The Irish Independent)

L’eterno dilemma su Padova e Rovigo

Recentemente si è parlato di uno spostamento a Padova della franchigia ducale, ma il tutto si è risolto in un nulla di fatto perché nessuna offerta a parte quella della cordata di Amoretti (giudicata non idonea) è pervenuta in federazione. Quando Petrarca e Rovigo (fra i vari) chiedono di giocare a un livello più alto lo fanno perché sono fra le squadre più titolate d’Italia, hanno contribuito molto allo sviluppo di giocatori nazionali, ma hanno raccolto poco.

Nel 2014, ci fu la reale possibilità di sostituire Treviso con i Dogi, ma alla fine non se ne fece nulla per motivi di soldi. Nel complesso, unire le forze fra le principali squadre venete è un concetto già esplorato in passato: porterebbe a una prima squadra zeppa di talento uscente dalla nostra filiera, delle giovanili con profondità e qualità, campi di allenamento di prima fascia, pubblico in abbondanza, e la possibilità di giocarsi davvero qualcosa sul piano europeo. 

Un’immagine del Benetton Rugby al tempo in cui l’ultima volta (2014) si parlò di passare da Treviso ai Dogi nel campionato celtico (Gazzetta dello Sport).

Lezioni imparate dal progetto Zebre

Uno dei problemi cronici delle Zebre, seppur parzialmente risolto grazie allo sforzo della comunità rugbistica di Parma, è quello di attirare pubblico e avere un bacino largo a cui attingere con le giovanili. Parma non è una grande città, e intorno a Parma non ce ne sono, per cui riempire 5000 posti nello stadio non è impresa facile, soprattutto se non lotti per vincere il campionato. Se uno avesse la bacchetta magica, avere una franchigia in una grande città sarebbe un passo enorme nella direzione del rendere il rugby più popolare e accessibile al pubblico. Le Zebre a Milano (come negli anni ‘70), i Lupi a Roma, i Dogi in Veneto. 

Con una squadra forte nella capitale, per esempio, il centro-sud avrebbe il suo riferimento sportivo nello sport del rugby, e gli appassionati non dovrebbero farsi tutta l’Italia per vedere una partita di club di alto livello. E allora perché non è così? Principalmente perché non si è mai riusciti a trovare gli investitori giusti e mettere d’accordo i club. Proprio su questo aspetto, il Veneto pur non avendo una grande città da offrire avrebbe un enorme bacino di utenza, una sorta di “grande città diffusa”, per il quale un progetto comune di squadra sarebbe più che lucrativo per tutti. 

Il Mogliano Veneto rugby, storica realtà rugbistica veneta. Recentemente, un’iniezione di liquidità da parte del gruppo Benetton Rugby ha permesso al club di sopravvivere, anche ad un frequente scambio di giocatori (Rugby Mogliano)

Qualcosa si muove 

Nel frattempo, a Mestre (VE) è iniziata la costruzione del Bosco dello Sport. Si tratta di un’area enorme vicina all’autostrada, dove si sta costruendo, fra le altre cose, uno stadio da calcio e rugby da 16,000 posti. Immaginate se ci fosse una squadra che raccoglie i fan del rugby di tutto il Veneto e che gioca in uno stadio così. Una squadra storica, che tanto ha dato al rugby negli anni settanta e ottanta, e che ancora esiste nel ricordo di molti. Allo stesso tempo una squadra volta al futuro, nata dagli sforzi comuni dei principali club veneti, dalle capacità economiche importanti e dalle grandi ambizioni. Si tratta, ovviamente, di una riflessione totalmente personale e senza alcun fondamento, ma è suggestivo pensarlo. 

Il render del progetto Bosco dello Sport che si sta costruendo da quasi un anno in zona Tessera (Mestre, Venezia), vicino all’aeroporto e all’autostrada. In primo piano lo stadio da calcio e da rugby (The Plan).

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