Il 2000 è un anno storico per il rugby azzurro: l’Italia entra ufficialmente nel Sei Nazioni. Lo storico torneo tra le più forti nazioni del rugby europeo nasce nel 1883 come Home Nations Championship, per racchiudere in un’unica cornice le sfide tra Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda. Nel 1910 viene rinominato Five Nations Championship dopo l’ingresso della Francia, che verrà estromessa nel 1931 e rientrerà in pianta stabile nel 1947. Con l’inizio del terzo millennio il torneo entra in una nuova era, accogliendo l’Italia e diventando così Sei Nazioni.

In questi venticinque anni, solo Scozia e Italia non hanno mai vinto il titolo. Tra le altre quattro nazioni, l’equilibrio è stato massimo: Galles, Francia e Irlanda sono arrivate prime sei volte ciascuna, l’Inghilterra sette. Nessuna è finora riuscita a vincere più di due edizioni consecutivamente, ma l’Irlanda ha l’occasione di farlo proprio questo weekend. In generale, ciascuna nazione ha vissuto cicli di alti e bassi, sia quelle abituate al podio, come Inghilterra e Irlanda, che l’eterna ultima Italia. Proprio sugli Azzurri ci vogliamo concentrare, analizzando la loro evoluzione in questi venticinque anni di Sei Nazioni.
Italia, la regina dei cucchiai di legno
I numeri parlano chiaro: in venticinque edizioni, gli Azzurri sono arrivati ultimi ben 18 volte, 13 delle quali senza vincere nemmeno una partita. Le ragioni sono molte, dal numero di praticanti, al know-how, fino alla struttura del movimento e alle risorse federali, ma non è il focus di questo articolo. In questi venticinque anni di Torneo, l’Italia ha vinto in totale 16 incontri su 129, pareggiandone 2. Se dovessimo raggruppare i risultati, potremmo individuare quattro periodi: 2000-2003 (2V/0N/18S), 2004-2013 (9V/1N/40S), 2014-2021 (1V/0N/39S), 2022-oggi (4V/1N/14S). Il primo è un periodo di transizione, in cui la generazione di Grenoble è agli sgoccioli e il ricambio fatica ad arrivare. Nel secondo, cresce e si afferma il gruppo il cui nucleo è formato da giocatori classe 1980-84, tra i quali spicca Sergio Parisse. A partire dal 2014 inizia un lungo periodo buio, in cui la distanza con le avversarie sembra diventare incolmabile. Arriviamo quindi alle ultime 4 edizioni, in cui le generazioni 1998-2002 hanno dato linfa a nuovi successi.
Leggi anche: Il Dragone Ferito: il declino del Galles
2000-2003: un inizio difficile
L’Italia entra nel Sei Nazioni con il botto. Nella partita inaugurale, infatti, gli Azzurri stendono la Scozia campione in carica 34 a 20. Protagonista è l’apertura Diego Domìnguez, autore di 29 punti, che traina gli Azzurri verso una storica vittoria dopo averli guidati negli exploit degli anni ’90. Ma è solo un fuoco di paglia: nel resto del torneo incasseranno in media più di 50 punti a partita, segnandone meno di 20. La generazione che aveva conquistato sul campo l’ingresso nel torneo è sulla via del tramonto e fatica ad adattarsi al suo ritmo brutale. Sfidare le più forti nazionali al mondo settimana dopo settimana, è infatto oltremodo complesso. Lo confermano le edizioni successive: nel 2001 l’Italia subisce una sconfitta record a Twickenham, l’80 a 23 finale è il peggior risultato nella storia del Sei Nazioni. Per la seconda vittoria nel torneo bisogna aspettare il 2003, con l’ormai 37enne Diego Domìnguez ancora protagonista nel 30 a 22 sul Galles. Nelle prime 4 edizioni, tolte le due partite vinte, gli Azzurri perdono sotto break solo una volta, segno della scarsa competitività. Il margine medio di sconfitta è di 25 punti.

2004-2013: la “generazione Parisse”
Nel 2003 si ritira dalla scena internazionale il faro dell’Italia degli anni ’90, Diego Domìnguez. In nazionale, cominciano avere un ruolo sempre più rilevante i giocatori nati appena prima o poco dopo il 1980. Sono i giocatori che costituiranno l’ossatura della squadra per più di 10 anni, non per niente sei degli otto centurioni azzurri sono nati tra 1978 e 1984. Stiamo parlando di Parisse, Castrogiovanni, Zanni, Bortolami (capitano tra 2005 e 2007), Ghiraldini e Mauro Bergamasco. Alle 100 presenze andranno vicino diversi altri giocatori nati in quegli anni, da Masi (95, premiato come miglior giocatore del torneo nel 2011) a Mirco Bergamasco (89), fino a Canale (86) e Perugini (83), segno di una forte continuità nelle formazioni in campo.
La qualità e la coesione del gruppo porta gli Azzurri a raccogliere 8 vittorie tra 2007 e 2013, e a ottenere i due migliori piazzamenti di sempre, i quarti posti proprio nel primo e nell’ultimo anno di quel periodo. In queste edizioni, l’Italia ottiene il primo successo esterno (2007, Edimburgo) e le prime vittorie nel Torneo contro Francia (2011, 2013) e Irlanda (2013). Un altro indicatore della competitività della squadra è il numero di sconfitte sotto break: ben 7, di cui 4 contro l’Inghilterra. Si può quindi dire che, tra 2007 e 2013, gli Azzurri sono stati in partita in quasi metà degli incontri disputati nel torneo. Certo, non sono mancati dei pesanti rovesci (tra gli altri, l’8-50 contro la Francia nel 2009 e il 59-13 a Twickenham nel 2011), ma l’Italia sembra sulla strada giusta per consolidare la sua presenza nel Sei Nazioni.
2014-2021: il periodo nero
Gli annali diranno che il 2013 sarà il picco della generazione guidata da capitan Sergio Parisse. Il pacchetto di mischia, su cui si basa la forza di quel gruppo, supera o inizia a superare la soglia dei 30 anni, e i ricambi non si dimostrano all’altezza delle aspettative. O meglio, non riescono a restare al passo delle altre nazionali, che in quegli anni ingranano un’altra marcia. L’Irlanda vince due titoli consecutivi dopo la débâcle del 2013, la Scozia cresce costantemente trainata dal talento di Hogg, Laidlaw e Russell. L’Inghilterra si consolida sui piani alti del podio, mentre il Galles vince 3 titoli e si mantiene quasi sempre nella parte più alta della classifica. L’unica nazionale in difficoltà è la Francia, che soffre le frizioni tra federazione e club, ma può sempre fare affidamento su una base eccezionale.

Tra 2014 e 2021, gli Azzurri saranno capaci di raccogliere una sola vittoria, arrivata nel 2015 a Edimburgo. Una partita strana, vinta all’ultimo minuto grazie ad una meta di punizione, e che vede Venditti segnare una meta raccogliendo un pallone spedito sul palo da Haimona. La generazione dei vari Campagnaro, Venditti, Benvenuti, Morisi, Minto viene inoltre falcidiata dagli infortuni, particolarmente pesanti per una squadra che non ha la profondità delle concorrenti. Alcune partite vengono decise da episodi, come il drop riuscito da Weir nel 2014 e quello mancato da Parisse nel 2016 a Parigi, senza dimenticare la punizione realizzata da Laidlaw all’ultimo minuto nel 2018 o l’incredibile partita contro la Francia nel 2019, in cui veramente va tutto storto. Tuttavia, la maggior parte degli incontri termina con pesanti passivi in cui l’Italia incassa non meno di 30 punti.
2022-oggi: l’uscita dal tunnel
La luce in fondo al tunnel che Conor O’Shea vedeva nel 2017 non arriverà prima del 2022, anno in cui l’Italia rompe finalmente il tabù e torna a vincere una partita nel Sei Nazioni. Bisognerà aspettare l’arrivo della generazione 1998-2002, formatasi nella pathway disegnata da Stephen Aboud, per vedere l’Italia di nuovo competitiva. Nuova linfa arriva inoltre dall’estero, grazie alla scelta di diversi giocatori con passaporto italiano di vestire l’azzurro: Capuozzo, Varney, Page-Relo, Lynagh, Lamb e altri alzano l’asticella e aumentano la profondità della rosa, storico punto di debolezza dell’Italia.
Leggi anche: “Palla in mano e correre”, Ange Capuozzo si racconta
Il successo del 2022 a Cardiff rimarrà negli annali, grazie anche alla magnifica corsa di Capuozzo, ma è il Sei Nazioni 2024 a scrivere la storia. Nel primo incontro, gli Azzurri fanno sudare freddo l’Inghilterra, conquistando nel finale un punto di bonus difensivo. La partita con l’Irlanda mette in chiaro la distanza dai primi in classifica, ma da lì in poi è solo un crescendo. L’Italia pareggia in casa dei vicecampioni della Francia, con un palo a tempo scaduto a negare la vittoria, poi torna finalmente a vincere all’Olimpico dopo 11 anni, battendo una Scozia ancora in corsa per il titolo, e per finire si impone con autorevolezza a Cardiff. La marcatura di Lorenzo Pani contro il Galles vince il premio di miglior meta del torneo, Tommaso Menoncello viene votato come miglior giocatore del torneo ad appena 21 anni.
Lo stesso gruppo di giocatori aveva giocato un torneo molto competitivo già nel 2023, senza però raccogliere molto, mentre quest’anno è più in difficoltà. L’Italia è stata capace di battere nettamente il Galles in un incontro in difficili condizioni meteo, ma le prestazioni con le altre squadre non sono state all’altezza dei due anni precedenti – soprattutto in difesa.
I cicli positivi a confronto
Dopo aver delineato il quadro complessivo, viene naturale mettere a confronto i periodi in cui gli Azzurri hanno raccolto più successi. Da un lato i migliori anni dell’Italia di Parisse, dall’altro la generazione attuale guidata da capitan Lamaro. Comparare squadre e numeri di anni così lontani, in cui il rugby si è evoluto enormemente come pure le avversarie, è sempre difficile, ma anche solo toccando la superficie si possono cogliere degli interessanti spunti di riflessione.
Innanzitutto, si possono rilevare delle similitudini tra le due squadre. Se andiamo a guardare i grandi numeri, la percentuale di successo è pressapoco uguale: 8 vittorie su 35 partite tra 2007 e 2013 (23%) per il primo gruppo, 5 risultati positivi su 19 dal 2022 ad oggi (26%) per il secondo. Un altro punto in comune è la composizione delle formazioni, in cui i giocatori formati all’estero sono circa un terzo del totale (escludendo i picchi di 2010 e 2011). Ciò potrebbe indicare il raggiungimento di un certo equilibrio tra qualità e quantità della formazione interna e la necessità di integrare il gruppo con atleti provenienti da movimenti più sviluppati.
Leggi anche: La continuità in mediana ha elevato il gioco al piede azzurro
Veniamo quindi ad alcune differenze. Dal punto di vista del gioco, l’Italia del 2007-2013 segna mediamente di meno, ma in difesa regge di più rispetto all’attuale: 70 punti e 5 mete fatte a edizione (contro i 90/9 di 2023 e 2024), e 136 punti incassati contro i 152 subiti in media tra 2022 e 2024. Cifre derivanti da diversi stili di gioco, influenzati dalle scelte degli allenatori (il rugby di Mallett, ad esempio, non è quello di Crowley), ma anche dai punti di forza della squadra (mischia chiusa vs giocate palla in mano). Una differenza importante emerge poi se, per le partite con esito positivo, andiamo a esaminare i dati anagrafici dei giocatori in lista gara. Nelle vittorie del 2007 e del 2013, infatti, l’età media oscilla tra i 28 e i 29 anni: sono quindi squadre mature, con giocatori nel picco della carriera. Guardando invece ai 5 risultati positivi tra 2022 e 2025, emerge un gruppo più giovane e che sta man mano acquisendo esperienza. L’età media dei 23 è più bassa (~26 anni) e i cap medi passano dai 17 della vittoria a Cardiff nel 2022 ai 34 di quella sul Galles nel 2025.
Conclusione
In venticinque anni di Sei Nazioni, l’Italia ha attraversato cicli positivi e negativi. In particolare, si possono individuare due momenti in cui gli Azzurri sono stati maggiormente competitivi: il periodo tra 2007 e 2013, e quello che stiamo vivendo dal 2022 ad oggi. Mettendoli a confronto, emergono similitudini e differenze. In ottica futura, una di queste è particolarmente interessante: la generazione attuale sta ottenendo dei risultati positivi ad un’età inferiore rispetto rispetto a quella passata. Il potenziale sembra quindi essere maggiore, ma solo i prossimi anni ci diranno se l’Italia di Lamaro, Capuozzo e Menoncello riuscirà a superare, nei risultati nel Sei Nazioni e nella memoria collettiva, quella di Parisse, Castrogiovanni e Bergamasco.