Leicester, Inghilterra, cuore delle Midlands.

Se pensiamo a questa città, così piccola ma allo stesso tempo così importante, il primo colore che viene in mente a un appassionato di sport italiano è l’azzurro delle Foxes: il Leicester FC. Si tratta della squadra con cui nel 2016 Claudio Ranieri ha messo a segno una delle più clamorose imprese sportive di sempre grazie alla vittoria della Premier League dei vari Manchester City, Chelsea, Arsenal…

Davide contro Golia, il più debole che si ribella e vince contro i più forti: quale storia sportiva migliore di questa per raccontare una città di 374.000 abitanti che sconfigge la City per eccellenza e gli sceicchi di Manchester? In realtà il cuore delle Midlands batte forte per i suoi “Davide” verdi e rossi rappresentati da un altro animale ben più conosciuto nonostante si trovi a latitudini inconsuete: la tigre dei Leicester Tigers. Infatti sin dal 1880, l’anno della fondazione dalla squadra, c’era già una certa confidenza con quella palla dalla forma strana che proprio da una ribellione di un ragazzo di nome William Webb Ellis – in quel caso contro il divagante calcio – era nata. 

Ma quello di cui parleremo in questa intervista è il futuro: sia dei giocatori che un giorno saranno i riferimenti sia della nazionale dei Tre Leoni… che di quella Azzurra! Potrà sembrarvi strano ma in realtà, da qualche tempo, il debito che l’Italia ha accumulato nei confronti del pathway inglese comincia ad avere un certo spessore: è da qui che sono emersi o transitati temporaneamente i vari Jake Polledri, Ross Vintcent, Stephen Varney, Callum Braley, Paolo Odogwu, Louis Lynagh, Seb Negri prima di vestire la maglia della nazionale italiana.

Ma procediamo a piccoli passi e cominciamo a conoscere da vicino uno dei più club più blasonati d’Europa.

La grande storia dei Leicester Tigers

In principio i Tigers erano una squadra ad inviti in grado di schierare i migliori giocatori del Leicestershire. Tra il 1898 e il 1905 il quindici di Leicester vinse per otto volte di fila la Midlands Counties Cup, un torneo tra le contee inglesi soppresso nel 1926. Successivamente a queste vittorie Leicester si ritirò temporaneamente dalla competizione salvo ritornare di nuovo qualche anno dopo, nel 1909, per vincerla ancora quattro volte.

Nel 1905 la selezione affrontò gli Original All Blacks perdendo al Welford Road Stadium con un secco 0 – 28. Si trattava degli alieni giunti da un luogo extra terrestre, come allora poteva sembra la Nuova Zelanda ad un europeo, apparentemente usciti da un libro di Peter Kolosimo, e che diedero inizio alla leggenda proprio con quel tour britannico.

In 144 anni di storia rugbystica sono passati dai Tigers decine di giocatori dal pedigree internazionale. Tra tutti ricordiamo Rory Underwood, il primo giocatore inglese a raggiungere i 50 caps; Martin Johnson, capitano tra la fine degli Anni 90 e l’inizio dei 2000. Non si possono ignorare gli Azzurri che hanno scritto pagine importanti tra gli Anni 90 e i primi Anni 2000: Alejandro Moreno, campione d’Inghilterra proprio con i Tigers e oggi allenatore dell’ Amatori Milano seguito, qualche anno dopo, da Martin Castrogiovanni, tre volte vincitore della Premiership e di cui vi abbiamo parlato in un lungo articolo qui su Carborugby.

Gli anni a cavallo tra il XX e il XXI secolo sono quelli che hanno segnato un epoca nell’immaginario dei tifosi grazie alle due Heineken Cup consecutive nel 2001 e nel 2002 e le quattro Premiership consecutive tra il 1998 e il 2002.

Infine, l’ ultima grande vittoria è arrivata nel 2022 sotto la guida di Steve Borthwick, oggi allenatore della nazionale inglese, quando i Tigers hanno sollevato la loro ultima Premiership prima di iniziare un processo di ricostruzione.

Castrogiovanni affronta Fabio Staivano e Simone Favaro. Il pilone italo-argentino ha fatto parte di una grande generazione di rugbysti azzurri tra cui Bortolami, attuale allenatore del Benetton, con cui condivide un passato in Inghilterra. Fonte: The Telegraph

Leonardo, il nostro maestro di cerimonia

A farci da guida durante questo tour sarà Leonardo Mattoccia, classe 1996, che da un anno ricopre il ruolo di responsabile del settore giovanile. Il suo dovere è quello di individuare e allenare i giocatori che entrano nel pathway così che il loro talento abbia la possibilità di sbocciare in tutto il suo splendore. Vale la pena ricordare che negli ultimi anni i Tigers hanno vinto tre volte consecutivamente il premio come miglior academy del paese.

Oltre al suo lavoro principale, Leonardo collabora come coach per i camp di Mauro Bergamasco ed è il responsabile delle relazioni internazionali per il Museo del rugby – Fango e sudore di Artena. In occasione dell’amichevole tra Italia e Nuova Zelanda per le Autumn Nation Series il museo si trasferirà a Torino in mostra allo Juventus Stadium dal 23 ottobre al 24 novembre.

Il rugby in accademia: una porta sul futuro

Iniziamo con una domanda apparentemente facile: chi è Leonardo Mattoccia?

Ad oggi il mio ruolo principale è quello di Junior Academy Manager and Development Officer. Ciò significa che mi occupo della selezione e della crescita dei giocatori a partire dalla categoria Under 15. E non solo: sono stato nominato allenatore della difesa e dell’area del contatto dell’under 18 e capo allenatore del Loughborough college. Sono tre ruoli diversi e tutti molto stimolanti che richiedono molto impegno sia sul campo che in ufficio.

Tra tutti questi impegni come strutturi la tua giornata tipo?

Come ti dicevo trattandosi di ruoli diversi, con tempi diversi, è difficile avere una giornata standard tutti i giorni della settimana. Dipende anche dal periodo dell’anno perché l’academy gioca in un periodo, il college in un altro e così via. In più aggiungiamoci che sui quattro centri a disposizione le selezioni under 15 e under 16 della junior academy si allenano a rotazione. La divisione degli spazi viene effettuata sulla base delle settimane A e B variando ulteriormente la mia routine. Tutto sommato possiamo tentare di tratteggiarla grossomodo così:

Il lunedi e il martedì mattina tra le 7.00 e le 10.00 si va in palestra o in campo (si, ci si allena molto presto). Verso le 11.00 rientro in ufficio e compilo i report: review dell’allenamento e preview degli impegni. Il mercoledì ci sono delle variazioni perché la sera c’è la partita di campionato. Il giovedì è il giorno di riposo post-gara. Venerdi si riprende con gli allenamenti al mattino, seguiti dalla review della partita e dalla scrittura delle schede individuali. Nel week-end ci sono altre variazioni che possono dipendere da partite di campionato o tornei.

Questa è la tua vita oggi. Prima di andare avanti facciamo però un passo indietro e raccontaci come sei arrivato in terra inglese.

Sono arrivato in Inghilterra da studente-giocatore nel 2012, quando avevo 16 anni per giocare in una squadra satellite dei Worcester Warriors. Finiti gli studi secondari sono entrato nella Loughborough University che si trova poco a nord di Leicester. Qui mi sono laureato in Sport science and Coaching nel 2018.

Dopo la laurea che cosa hai fatto?

Sono rimasto all’università come assistente allenatore. Prima nel rugby league e poi nella union. Devo ringraziare il periodo nel rugby a 13 perché è li che ho imparato quella che chiamo “l’arte del contatto”. Dopo il periodo all’università mi sono trasferito a Leicester perché è arrivata la prima chiamata dei Tigers. Qui mi occupavo sia dell’under 16 dell’academy sia delle selezioni under 13, 14, 16 dell’Oakham School. Il tutto mentre lavoravo per mantenermi. Sono rimasto nel Leicestershire fino alla pandemia del Covid-1. Poco dopo, nel 2022, mi sono spostato agli Exeter Chiefs.

Ci racconti di cosa ti occupavi ad Exeter e se ci sono differenze tra le due accademie?

Ai Chiefs sono rimasto un anno. Ero allenatore degli avanti del Truro College e allenatore della difesa sia per l’under 17 e che per l’under 18 in academy. Per quanto riguarda le differenze.. be’ ogni club gestisce il proprio sistema academy in funzione della prima squadra, quindi diciamo di si. Questo però non vuol dire che un metodo sia migliore dell’altro: sono semplicemente diversi. Quando ero a Exeter il modello di gioco della prima squadra veniva riprodotto a cascata alle selezioni di categoria venendo semplificato man mano che si scendeva. Qui ai Tigers c’è molta attenzione sul cosa e come viene proposto ai ragazzi. Tutto ciò che facciamo viene prima studiato con rigore scientifico. Inoltre per noi è fondamentale l’attitudine. Per essere un Tigers, devi essere un Tigers.

La foto ci è stata gentilmente invita dall’ufficio stampa dei Leicester Tigers.

E questo cosa significa?

Club First, Tough, Passionate, Driven. Questo è ciò che ci si aspetta da chi veste questa divisa, perché questa è l’identità del club. Se dimostri questi caratteri vediamo cosa sai fare, altrimenti non siamo il posto giusto per te. Oltre a questo per il club è fondamentale ricordare quanto sia importante l’umiltà: per farcela bisogna lavorare duro e tenere la testa bassa. Nelle giovanili, ad esempio, tutti i giocatori vestono scarpini di colore nero finché non si ottiene il primo caps con la prima squadra.

Entrando più nel dettaglio riguardo al tuo lavoro: quando si inizia a dare una struttura e un’identità di gioco?

Fino a metà dell’under 17 più che impostare un certo tipo di gioco diamo ai ragazzi una cornice tecnica entro cui muoversi. In under 15 e in under 16 lavoriamo sui fondamentali e con il pallone, cercando di giocare il più possibile nella decina di sessioni all’anno che abbiamo per ogni categoria. Tra ottobre e marzo in under 16 si comincia a dividere il gruppo in avanti e trequarti. Si lavora su situazioni di gioco come l’uscita dai propri 22, l’attacco dai 22 avversari e sul come scegliere le linee di attacco. Nel passaggio tra under 16 e under 17 si comincia a giocare contro le academy degli altri club di Premiership.

C’è un momento particolare in cui capite che un giocatore ha l’X factor?

Prima di rispondere bisogna sfatare un mito: non c’è un momento singolo. Se ci fosse, e se questo fosse una scienza esatta, a cosa servirebbe tutto questo sistema? Quando un ragazzo è bravo si vede. La domanda che bisogna porsi è un’altra: sarà altrettanto bravo tra 5 o 10 anni? Per cercare di capirlo – e ripeto: non c’è una scienza esatta – cominciamo ad osservarlo con attenzione, allenamento dopo allenamento, nei successivi due anni. Il talento poi non si esprime per tutti allo stesso modo e nello stesso momento. Ci sono ragazzi che hanno bisogno di più tempo, chi invece impara e mette in pratica più velocemente. Con l’allungamento delle carriere anche lo sviluppo si allunga assottigliando sempre di più il confine tra potenziale e abilità.

Fonte: Fratelli d’Rugby

Tra sport ed educazione: le due anime del pathway

Come abbiamo già descritto nel primo articolo dedicato alle academy inglesi, l’istruzione e l’accesso ad essa sono due fattori importanti non solo per i club, ma anche per la RFU e i giocatori stessi che studiano per costruirsi un’alternativa alla carriera professionistica sia nel caso in cui questa si realizzasse, sia nel caso in cui si fosse esclusi dal percorso. A livello universitario è presente il campionato Super BUCS, da dove è emerso con lode Seb Negri, per dirne uno, che riunisce le dieci migliori università del paese in un torneo con finale a Twickenham.

Esistono delle convenzioni tra i club e i college che ospitano gli atleti durante il percorso?

Ogni club di Premiership mette a disposizione degli atleti una lista di college partner tra cui scegliere. Sono presenti sia istituti privati che pubblici: di questi ultimi la RFU richiede che ve ne siano almeno due a disposizione. Quando si accede al college le famiglie hanno a carico solo i costi di alloggiamento nel campus che variano in virtù della natura privata o pubblica della struttura scelta, ecco perché ci sono almeno due alternative pubbliche. Il club rimane presente e aiuta i ragazzi in tutto il percorso formativo sui banchi di scuola.

Nel tuo ruolo di Junior Academy manager sei anche responsabile di uno staff. Nella live sul canale Youtube dei Fratelli D’Rugby hai raccontato che nello staff ogni membro è legittimato a dirsi in disaccordo con la decisione dell’allenatore. Ma quali sono i pregi e i difetti di questo metodo?

L’opinione di ogni membro è preziosa perché può arricchire il percorso di tutti. Anche il disaccordo da vita a soluzioni innovative di cui beneficiano i giocatori tanto quanto gli allenatori. Alla base di tutto questo ci sono due regole importanti perché il processo funzioni: la prima è che il challenging deve essere fatto in maniera rispettosa e produttiva. Ci spieghiamo le motivazioni di determinate scelte, mettiamo a nudo i piani che abbiamo steso e ne parliamo punto per punto. Onde evitare il rischio che si finisca in un loop sterile dove il challenge smette di essere una risorsa entra in gioco la seconda regola: decide chi ha la responsabilità ultima. È giusto esplorare un’idea ma è anche giusto non farlo.

Seb Negri ha vinto un Super BUCS con Hartpury e il titolo di miglior giocatore del torneo. Negli anni ha saputo diventare un punto fermo del 15 azzurro. Fonte: pagina FB dell’Hilton College.

L’Italia vista da qui

Non è passato molto dalla nomina di Andrea Duodo a nuovo presidente della FIR. Il periodo delle elezioni, in cui abbiamo avuto il piacere di intervistare i tre candidati, ha elettrizzato tutto il mondo del rugby italiano dando vita a discussioni sui temi più disparati tra cui il futuro delle accademie FIR e del rugby nel sud Italia. Mi sono quindi chiesto come Leonardo veda l’Italia dal nord Europa e che idee si sia fatto del rugby italiano. Cosa lo ha colpito positivamente? E cosa avrebbe piacere di importare del modello che abbiamo analizzato fino a qui?

La differenza tra Italia e Inghilterra in termini di popolazione è di solo 3 milioni di persone (58 milioni italiani vs 55 milioni inglesi). Secondo te perché li c’è una bacino tanto più ampio (60.000 tesserati in Italia vs 340.000 tesserati in Inghilterra, ndr) rispetto a noi?

Secondo me ci sono tre questioni che si intrecciano: quella sportiva, quella culturale e quella architettonica. Nelle scuole inglesi gli studenti possono praticare più sport, anche contemporaneamente: cricket, rugby, calcio, basket, softball. Allo sport quindi viene dato spazio e importanza nella formazione della persona. In Italia questo non c’è e nello specifico ogni discorso sul rugby come sport di crescita viene subito troncato dalla paura del contatto fisico. Queste due questioni si riverberano e sono allo stesso tempo causa ed effetto dell’ultima motivazione: quella architettonica. In Inghilterra le scuole hanno sempre a disposizione almeno un campo in erba se non di più. In Italia ci sono la palestra (dove puoi giocare a basket e a pallavolo ma comunque non in maniera sistematica) e il cortile in cemento. E’ strutturalmente difficile dare spazio allo sport.

C’è qualcosa che vorresti esportare in Italia?

Immaginando di avere la bacchetta magica [ride, ndr] mi piacerebbe creare un sistema di accademie che si estenda per tutto il centro sud e che lavori in funzione di una franchigia o un club a Roma. Dico la Capitale per due motivi: uno perché vengo da Colleferro (RM) e sono più legato a quel territorio. Due perché sarebbe la base per espandere il rugby anche in altre zone, ampliando di conseguenza il bacino di utenza di cui parlavamo prima. Anche immaginando dei poteri magici, non sto parlando di decine e decine di centri ma di un totale di 5-6 accademie in tutto il territorio nazionale. Questo permetterebbe ai giocatori, alle famiglie e agli allenatori di essere al campo in giornata senza dover affrontare delle trasferte proibitive in termini di costi e tempi.

Chiudiamo con un’ultima domanda: c’è qualcosa che hai visto e che ti è piaciuto così per come lo hai trovato in Italia?

Recentemente sono stato a Treviso e devo dire che mi è piaciuto molto il lavoro individuale che fanno con i propri giocatori. Anche lo sviluppo dei ragazzi nelle accademie nazionali ha di positivo che non essendo legate ad una franchigia in particolare, c’è più tempo per svilupparsi – un po’ come accade per la Yorkshire Academy. Questo a va tutto a beneficio della polivalenza e delle competenze personali.

Dopo il percorso con gli Harlequins, Lynagh si è trasferito a Treviso all’inizio della stagione 2024/2025.. Con la nazionale azzurra ha esordito al Sei Nazioni 2024 nella vittoria in casa contro la Scozia. Fonte: Il Gazzettino

Terzo tempo: le conclusioni

Con l’intervista che avete appena letto si è concluso il nostro viaggio nel rugby giovanile inglese. Il motivo di questo focus durato due articoli è semplice: scoprire come si allenano i migliori, come vengono coltivati i prospetti più interessanti e come si arriva a diventare una nazionale dominante nel Sei Nazioni e nel mondo. Il futuro del rugby italiano ci appare oggi più roseo rispetto al vuoto degli Anni 2010, grazie al grande lavoro degli italiani all’estero che hanno poi riportato alla casa madre skills e competenze, e grazie ai giocatori naturalizzati che negli ultimi anni hanno abbracciato la Causa azzurra.

Tuttavia il nostro debito di riconoscenza verso gli inglesi può dirsi parzialmente estinto perché se c’è qualcosa che ci fa piacere (o meglio: godere) è sapere che ci sia un italiano alla guida di una delle più importanti academy inglesi.

Un pensiero riguardo “Dentro l’accademia dei Leicester Tigers: tra tradizione e futuro

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