Il tenuto a terra è uno degli aspetti del rugby moderno sul quale c’è stato più affinamento tattico nel corso degli ultimi anni. Se non più di una quindicina di anni fa derivava principalmente da giocatori placcati troppo lenti a riciclare il pallone, oggi ci sono tattiche e contro-tattiche degne di un film di 007. Ciascuna nazione ha una sua scuola di pensiero a riguardo, una sua interpretazione, e un suo modo di metterti in difficoltà. Parliamone un po’.

Anche l’occhio vuole la sua parte: pochi come Sam Warburton hanno saputo creare scompiglio al punto d’incontro negli ultimi 10-15 anni.

Cos’è il breakdown?

Quando c’è un placcaggio, il giocatore col pallone deve rendere il pallone accessibile una volta a terra. I sostegni dell’attacco coprono immediatamente il pallone, mentre i difensori affrontano i sostegni offensivi “a cornate” nel tentativo di ribaltarli e guadagnare il possesso. Si parla di breakdown, o punto d’incontro, per definire ciò che avviene fra placcaggio e ruck.

In questo lasso di tempo estremamente breve ma al contempo critico nel corso di un’azione sia offensiva che difensiva possono succedere una miriade di cose. La difesa ha l’occasione di forzare un tenuto a terra, conquistando il possesso. L’attacco può provare a riciclare velocemente il pallone evitando la ruck. Se la difesa forza il tenuto a terra un secondo troppo tardi mette le mani in ruck e commette un fallo. Se il placcato non “dona” il pallone appena va a terra, a sua volta, commette un altro tipo di fallo. In tutti i casi, comunque, chi commette il fallo ha una perdita sostanziale (cambio possesso o calcio contro), che determinano quanto fondamentale sia oggigiorno governare il breakdown di una partita.

Scene comuni da un punto d’incontro (Irlanda v Maori All Blacks, Rugby World)

L’arte del jackal, o grillotalpa

Una volta che la ruck è formata i giocatori in difesa non possono contestarne il possesso se non spingendo e scardinando i sostegni offensivi. Prima che la ruck si formi, però, possono provare a mettere le mani sul pallone, che deve essere reso disponibile dal placcato, tenendolo a terra e forzandone l’infrazione di gioco. C’è più o meno un singolo secondo di tempo a disposizione per fare questo gesto, un secondo che però è sufficiente ad atleti come il nostro Manuel Zuliani, o ad interpreti divini del passato come David Pocock, per rubare palloni decisivi per la propria squadra.

Quest’azione, detta jackal o in italiano “grillotalpa” (grazie al nostro Munari), richiede coordinazione, timing e controllo del corpo. Chi mette le mani sul pallone dev’essere on their feet, mani sulla palla ma niente ginocchia o gomiti a terra. In sostanza, non si può “lanciare” sul pallone, ma deve contestarlo con controllo del corpo. Inoltre, se è chi tenta il jackal è anche il primo placcatore, deve rilasciare il placcato in modo palese (spesso aprono le braccia in modo plateale) prima di iniziare il jackal. Questo gesto, in molti ambienti anglosassoni, si chiama doing the chicken wings.

Un esempio di tentativo di jackal (Bristol Bears v Sale Sharks, Rugby World)

A ogni arbitro il suo metro

Che c’è di così complesso nel gestire questa situazione? Molto, in realtà. Alcuni arbitri ritengono che 1 secondo di jackal ben fatto sia sufficiente per premiare il difensore. Altri lasciano passare anche 3-4 secondi, che a volte consentono ai sostegni offensivi di “trebbiare” il jackler entrandogli dritto per dritto in modo semi-legale, senza badare troppo all’integrità delle sue clavicole.

Conoscere il metro dell’arbitro e adeguarcisi è fondamentale per gli esperti di questo fondamentale come Caelan Doris: in uno degli ultimi incontri fra Italia e Irlanda nel pre-mondiale 2023, siamo stati fatti a fette su questo aspetto del gioco perché gli irlandesi avevano capito che l’arbitro lasciava fare molto al breakdown. Si sono viste cose al limite del regolare, fra le quali annoveriamo un Keith Earls in tuffo davanti al placcato per farlo inciampare, ma adeguandosi al metro gli irlandesi hanno avuto la meglio di un’Italia stordita dalla situazione.

Caelan Doris (BBC)

Un esempio pratico

Guardate qua. Al minuto 47′ di Irlanda-Italia del 2023, gli azzurri stanno tentando di penetrare la 22′ avversaria. Caelan Doris (7, caschetto nero) sà già come vuole che vada a finire questo punto d’incontro. Lascia che non uno, ma ben due compagni effettuino il suddetto placcaggio “a due”.

Qui potete vedere come il placcaggio venga effettuato dai due mentre lui si riposiziona dietro di loro a una distanza compatibile con quello che vuole fare: un jackal ben assestato all’ignaro Lorenzo Cannone. Rob Herring (2) e Ciaran Frawley (22) placcano dai due lati rompendo il momento di corsa di Cannone e portandolo a terra.

Portato a terra l’uomo, Doris assume la posizione corretta: busto sopra le ginocchia, niente mani o ginocchia sul prato, controllo del placcato con le mani per evitare di toccare il prato. Lorenzo Cannone non avrà neanche modo di girarsi.

Dopo una breve colluttazione, Doris riesce a strappare la palla dalle mani di Cannone e fare un passaggio in tuffo per un’opzione al piede ed una exit strategy che riporterà l’Italia fino a metà campo.

I migliori vestono il verde

Gli irlandesi ne sanno una più del diavolo quando si parla di punto d’incontro. Sanno entrare al limite del laterale, trattenere il pallone 1 secondo di più prima di rilasciarlo, tenere a terra anche con le unghie se l’arbitro non guarda. Ma soprattutto, sanno fare placcaggi a due dove uno dei due placcatori serve solo da immediato sostegno per fare un grillotalpa appena il placcato va a terra. Se il primo placcatore ha l’obbligo di staccarsi dal placcato prima di tentare un jackal, il secondo non ce l’ha e può agire indisturbato fintanto che è on their feet. Se il punto d’incontro avviene con l’Irlanda in attacco, la difesa solitamente sa che avrà molto da fare.

Chiedere alla Francia del 2018, quando subí il drop goal vincente di Johnny Sexton dopo ben 42 fasi offensive senza riuscire a fargli perdere il pallone. Poi, anche se non si tratta di Irlanda, per chi volesse capire davvero come gestire un punto d’incontro in maniera talmente superba da portarti a casa una Webb Ellis Cup, ci si può anche guardare la prestazione di Pieter-Steph Du Toit nella finale dei mondiali di Francia 2023.

Qualcosa si muove anche in azzurro

Negli ultimi anni, i giovani giocatori arrivati in azzurro sembrano avere molta più padronanza di questo aspetto tecnico. Manuel Zuliani è forse l’esempio più lampante: pur entrando spesso al 50esimo della partita, i suoi tenuti a terra sono spesso fondamentali per l’Italia come contro la Scozia a Roma e contro la Francia nell’azione che ha poi portato al calcio di Garbisi che ha colpito il palo. Per contro, anche alcuni piloni come Danilo Fischetti hanno mostrato di avere questo fondamentale, nel suo caso nella vittoria celebre a Cardiff del 2022. Infine, entrambi i tallonatori azzurri titolari (Nicotera e Lucchesi) sono clienti ostici al punto d’incontro per gli avversari proprio per la loro capacità di mettere rapidamente le mani sul placcato prima che si formi una ruck.

Manuel Zuliani (Six Nations)

In conclusione: andrebbe regolamentato?

Se ne parla da un po’ di anni. Con tutto lo sforzo che si è messo nel regolamentare le collisioni, limitare i contatti alla testa, punire i placcaggi alti, sembra quasi anacronistico lasciare che degli uomini di 100 kg si lancino a tutta velocità uno sull’altro nella formazione di una ruck, o se c’è un jackler, contro di lui. Pensiamo a Menoncello contro i Bulls, che ha subito una collisione tale da valere un rosso per il giocatore sudafricano, mentre effettuava un grillotalpa. Un altro celebre caso è quello che ha visto coinvolto Bundee Aki, ma gli esempi sono tanti.

Ciò che andrebbe probabilmente regolamentato è il tipo di impatto che un giocatore può subire “legalmente” mentre prova un jackal. La posizione è complessa da mantenere, e c’è un enorme rischio di farsi male se chi arriva per fare una clear-out entra senza controllo. Non sempre c’è volontarietà, a volte ci sono solo 60′ minuti giocati al massimo e manca un po’ di lucidità.

Alcuni, come Gregor Townsend (allenatore della Scozia) sarebbero per bandire il jackal invece che limitare gli urti. È un gesto rischioso anche se molto redditizio se va in porto: bandendolo, si evita il rischio alla radice. Chiaramente, però, molte terze linee potrebbero avere qualcosa da ridire sull’argomento dato che in molti negli ultimi 10 anni si stanno specializzando proprio su quell’aspetto di gioco.

Gregor Townsend (The Telegraph)

Un pensiero riguardo “Cacciatori di palloni: un ruolo chiave nel rugby moderno

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