Ci sono ben tre persone di nome Sione Tuipulotu coinvolte nel rugby professionistico, di cui due nati nel 1997. Un nome relativamente comune dalle parti del pacifico, che testimonia le origini tutt’altro che altolocate di un atleta che, di comune, ha invece ben poco. Il Sione di cui ci occupiamo in questo articolo è quello che abbiamo imparato ad apprezzare, e a temere, sui campi dello URC con la maglia dei Glasgow Warriors.
Il centro moderno
Tuipulotu fa parte del gruppo di quei centri “nuovo stile” dotati di una fisicità da terza linea e una corsa da ala. Si tratta di atleti dalle capacità fisiche incredibili, in grado di disegnare una S con i piedi a 20 km/h, mentre le mani avversarie cercano di afferrarli e buttarli giù. Il centro moderno non è più solo un incursore capace di calare la spalla e infilarsi nel buco lasciato libero dalla difesa: il centro moderno crea il buco, in un modo o nell’altro. Una palla da demolizione capace di aprire una breccia. In Italia al momento nessuno lo fa meglio di Tommaso Menoncello, ma occhio anche al meno citato Federico Mori: al momento fuori dai convocati di Quesada, si tratta di un giocatore dotato di questo tipo di fisicità, il quale potrebbe, in futuro, rivelarsi molto utile ai piani degli azzurri.
Leggi anche: Questa stagione di Tommaso Menoncello è un capolavoro

La Scozia nel sangue
Curiosamente, Sione Tuipulotu non è uno di quei giocatori del pacifico (o spesso anche sudafricani) che giungono in Europa in cerca di fortuna e finiscono per vestire la maglia di una nazionale. Si tratta, piuttosto, di un giocatore che ha del sangue scozzese per parte di nonna Jaqueline, nativa proprio di Glasgow, e figura importantissima della sua famiglia.
“She has a thick Scottish accent, so I always knew I was Scottish. She played a massive part in me and my siblings’ upbringing. My parents used to work pretty hard when we were younger so they were at work … we would go and stay over at my grandma’s house.”

Nonna Jaqueline sposò un italiano a Melbourne, città di nascita di Sione, ragion per cui il giovane atleta avrebbe potuto vestire anche la maglia azzurra, se la FIR avesse attivato anzitempo i radar del progetto Exiles. I due ebbero una figlia, la quale sposò un buttafuori tongano di un nightclub, producendo il carro armato d’assalto che tutti conosciamo come Sione Tuipulotu. A detta di Sione, però, nessuno gli faceva più paura della nonna.
The cacophonous Tuipulotu clan fell silent when Jaqueline Anne Thomson strode into the room, her Clydeside rasp as piercing as if she had just hopped off the plane from Glasgow. So many decades in the suburbs of Melbourne, yet the linguistic hallmark of home has never waned. (fonte: RugbyPass)
Leggi anche: Paolo Odogwu: Ritorno alle origini
L’interesse di molti
Sul finire dei suoi 19 anni, Sione aveva già vestito la maglia della nazionale australiana nelle sue versioni giovanili, ed era già noto a vari scout del settore come giovane promettente. Data la sua origine tongana, scozzese e italiana, nonché la sua nascita nello stato del Victoria (di cui Melbourne è la capitale), si trattava per molti cacciatori di talenti internazionali di un giovane da non lasciarsi scappare. Come è risaputo, infatti, la militanza nella selezione nazionale giovanile di un paese non limita un atleta nelle sue scelte internazionali in termini di nazionale maggiore.

Il debutto fra i pro
In questo tumultuoso momento per la vita di un giovane atleta, nel quale bisogna da un lato decidere cosa fare da grandi e dall’altro cercare di prendere ogni treno buono che passa, alla porta di casa Tuipulotu hanno suonato gli scouts della franchigia di casa, i Melbourne Rebels (ora, purtroppo, non più in attività). Fra il 2015 e il 2019, il ragazzo scenderà in campo 19 volte nel Super Rugby mettendo insieme 383’ minuti. Tuipulotu diventerà grazie a questo il primo giocatore cresciuto in casa Rebels (squadra nata nel 2011) a debuttare fra i professionisti.
Leggi anche: È vero che l’Italia campa di equiparati?

L’avventura in Giappone
Nei tre anni e mezzo ai Rebels, Sione mette insieme relativamente pochi minuti. Se hai voglia di giocare e farti vedere, giocare l’equivalente in minuti di 5-6 partite è un bottino magro. In quel momento si fanno avanti gli Yamaha Júbilo dal Giappone (ora noti come Shizuoka Blue Revs), offrendogli un contratto che lo terrà nella terra del Sol Levante fino al 2021.
Del suo periodo in Giappone si fa estremamente fatica a trovare delle tracce. Sapendo però che l’anno prima (2018-19) per la stessa squadra aveva firmato Kwagga Smith, viene quasi l’acquolina in bocca a pensare se i due si trovassero nella stessa squadra al giorno d’oggi. Complice la pandemia di COVID-19 nel 2020, però, la sua esperienza giapponese fu ridotta al minimo e terminò nel 2021 quando i Glasgow Warriors se ne assicurarono le prestazioni. È in questo momento che, in Europa, iniziamo a sentir parlare di lui.

L’approdo in Scozia
La miccia brucia, il calore innesca un detonatore, il sensibile esplosivo genera l’onda d’urto, la nitroglicerina fa il resto. Si può riassumere più o meno così il primo anno di Tuipulotu a Glasgow, che fu anche il primo anno dello URC come lega (2021/22). 20 partite giocate col club, 1482′ minuti fra URC e coppe europee (con una media di 74′ a partita). Numeri più che sufficienti per fargli guadagnare il primo cap, da titolare, con la Scozia già nelle Autumn Nations series di novembre 2021 contro la sua Tonga. Giocherà poi un Sei Nazioni tutto da titolare, e anche due test estivi con la nazionale del cardo, prendendosi rapidamente il posto dell’esperto Duncan Taylor.
Leggi anche: Uno più uno fa uno: la ‘Huwipulotu’
Ciò che appare chiaro vedendolo giocare i primi tempi è che la sua mole è decisamente maggiore di quella di un centro qualsiasi. Si tratta di un giocatore dal fisico quasi da terza linea, che riesce però a fare del dinamismo e delle linee di corsa la sua forza. Per certi versi è paragonabile a Bundee Aki, quest’ultimo di origini samoane, per corporatura e stile di gioco. Per certi versi, al suo debutto con la Scozia è sembrato che gli scozzesi avessero trovato il modo di produrre il loro proprio Aki, simile per corporatura, gioco e stile, ma addirittura scovandolo per discendenza famigliare e non come project player. Insomma, un miracolo di scouting, vedendola dal punto di vista della SRU.

Essere il capitano
Alle Quilter Nations Series 2025 Sione Tuipulotu è stato nominato capitano della nazionale del cardo. Ma, al netto di infortuni e del tour dei British & Irish Lions che l’hanno tenuto lontano dalla sua nazionale per quasi un anno, in realtà Tuipulotu si era conquistato la capitania già a partire dalle Autumn Nations Series 2024. Tra i più questo fatto è passato in sordina, con molti tifosi (e non) che hanno liquidato la nomina di capitano australiano al posto degli scozzesissimi Jamie Richie, Finn Russell e Rory Darge come la certificazione, nero su bianco, che la Scozia effettivamente vive di equiparati.
Da un lato, il problema del numero di equiparati nella nazionale scozzese, soprattutto “importati” dall’emisfero sud, è reale: su 45 convocati ben il 25% proviene dall’emisfero australe. Dall’altro lato, però, speriamo che aver letto questo articolo abbia fatto cambiare idea a qualcuno vedeva Sione solo come l’ennesimo equiparato: a voi, nonna Jacqueline e lo stesso Sione probabilmente vi direbbero, in un raffinatissimo accento di Glasgow, f**k off ye w***stain.
Al di là di ogni battuta, portare il drappo di tartan, guidando questa nazionale a Murrayfield, sentire il lone piper suonare e la gente cantare l’inno a cappella, fa venire la pelle d’oca a me che scrivo, e io di scozzese non ho nulla. Posso solo immaginare come si senta Sione ogni volta che entra in campo, che invece scozzese lo è davvero, almeno per un quarto.