Quando si parla di rugby inglese e di Premiership, è impossibile non menzionare una squadra simbolo come gli Harlequins FC. La loro storia li rende un’icona inconfondibile di questo sport: tra i fondatori della RFU (la Rugby Football Union) e celebri per le loro inconfondibili divise a “Quarters“, i Quins hanno saputo costruirsi negli anni una reputazione globale. Grazie a storiche partnership internazionali, il loro nome si è diffuso in tutti e cinque i continenti: dai Pretoria Harlequins in Sudafrica (1906), ai Melbourne Harlequins in Australia (1928), fino ai New Zealand Harlequins (1938), ai Kenya Harlequins (1952), ai Dallas Harlequins negli Stati Uniti (1983), ai Future Hope Harlequins di Kolkata in India (2004) e agli Abu Dhabi Harlequins nel 2008.
Oggi, grazie alla collaborazione di Filippo Nason, preparatore della prima squadra che ci concesso una breve chiaccherata, avremo l’opportunità di dare uno sguardo esclusivo dietro le quinte del club londinese. Come già fatto qualche mese fa con i Leicester Tigers insieme a Leonardo Mattoccia, inizieremo il nostro viaggio con uno sguardo al passato, alla scoperta della ricca storia del club, per poi concentrarci sul presente e sul dietro le quinte.
La nascita dell’ Hampstead Football Club
Fondati nel 1866 con il nome di Hampstead Football Club, i Quins iniziarono a disputare partite ufficiali di rugby union già dall’anno successivo. Quattro anni dopo, nel 1870, grazie all’aumento dei membri e del bacino d’utenza, si decise di cercare un nome rappresentativo anche per coloro che provenivano da altre zone della City. L’ unico vincolo? Mantenere l’anagramma HFC, già presente sui documenti ufficiali e sulle cravatte del club che, altrimenti, avrebbero dovuto essere buttate via.
Nel tentativo di scongiurare questa mattanza, i membri del club si riunirono all’Eyre Arms Tavern di Londra dove, tra la luce delle candele e i boccali di birra vuoti, cercarono sul dizionario una risposta ai loro dubbi. Dopo qualche pagina, individuarono una parola che catturò subito la loro immaginazione:
- Harlequin: a humorous character in plays at the theatre, especially in the past, who wears brightly coloured clothes with a diamond pattern.
(“un personaggio umoristico del teatro tradizionale, vestito con abiti vivaci e decorati a rombi”)
Attratti dalla figura allegra e astuta di Arlecchino, e forse ispirati dal mitico Hellequin, una figura leggendaria associata ai diavoli, i fondatori adottarono questo nome e i colori che oggi caratterizzano le divise in quarti della squadra. Non tutti i presenti però si trovarono d’accordo con la scelta tanto che alcuni di essi presero la decisione di separarsi e di fondare il Wasps London FC.
Dopo decenni trascorsi a girovagare su 17 campi diversi, nel 1909 gli Harlequins trovarono finalmente una casa stabile al Twickenham Stadium, la casa della nazionale. Solo nel 1963 il club riuscì ad inaugurare un proprio stadio intitolato a un uomo a cui i Quins stessi e, in generale, il rugby union devono molto: Adrian Stoop (1883 – 1957).

Gli anni Duemila: le vittorie in Premiership e in Europa
Nonostante la loro lunga storia e l’impatto significativo sulla cultura rugbystica inglese, gli Harlequins vantano in bacheca solo due Premiership, conquistate nel 2011 e nel 2021. Nel 2001, però, sono stati il primo club inglese a vincere una competizione continentale interrompendo il dominio francese.
Ma al di là delle vittorie ciò che definisce veramente questa squadra unica sono la tradizione e la capacità di attrarre talenti di calibro mondiale. Tra i nomi illustri che hanno indossato e indossano i colori del club troviamo Joe Marler, Tommy Allan, Jason Leonard, Danny Care, Marcus Smith e giovani dal futuro brillante come Cunningham-South e Fin Baxter, di cui vi abbiamo parlato in un precedente articolo.
Leggi anche:
Tommaso Allan, il globetrotter italiano
Filippo Nason: un italiano alla corte di Arlecchino
L’ approdo di Filippo Nason, Strength and Conditioning Coach degli Harlequins, ha portato un tocco di italianità dietro le quinte del club. Dopo tre anni come responsabile della preparazione atletica del Verona Rugby, Filippo si è trasferito in pianta stabile a Londra, dove lavora fianco a fianco con alcuni dei più grandi nomi del rugby internazionale. Il suo curriculum, arricchito da esperienze con la Nazionale inglese, il Benetton Treviso e il Mogliano Rugby, testimonia una dedizione assoluta alla sua professione cominciata subito dopo aver terminato la sua carriera da giocatore.
Abbiamo fatto due parole proprio con lui.
Ma come ci è finito un veneto a lavorare in uno dei club più prestigiosi del rugby inglese?
Nel 2019 ho avuto la possibilità di salire a Londra per una internship. L’avventura è andata bene, tanto che a fine stagione gli Harlequins mi proposero di rimanere con loro per la stagione 2019/2020. Purtroppo la chiamata coincise con la pandemia di Covid 19 e dovetti tornare in Italia.
Una volta rientrato ho cominciato a lavorare con il Verona rugby rivestendo il ruolo di capo preparatore. Sarò sempre riconoscente nei confronti del club veneto perché mi ha dato carta bianca e fiducia sin dal giorno uno. Con i Quins invece siamo sempre rimasti in contatto e così, quando nel 2023 si è aperta una posizione, mi hanno dato la possibilità di candidarmi.
Come è composto il tuo team? Hai avuto difficoltà al cambio di ambiente?
In prima squadra ci sono tre preparatori: il capo preparatore, il suo vice de facto e io. Tutti e tre seguiamo 62 giocatori, inclusa la senior academy, coadiuvati da uno sport scientist e un preparatore per il recupero dagli infortuni a lungo termine.
All’inizio non è stata facile da un punto di vista personale perché ho dovuto ambientarmi all’ambiente inglese che è un po’ più distaccato rispetto all’Italia. Io sono una persona molto amichevole (confermo, ndr) e scherzosa. Qui non è che non sia così, per carità, però c’è un modo diverso di rapportarsi tra colleghi e all’inizio ho dovuto prendere le misure.

L’allenamento di gruppo: obiettivi e programmazione
Prima di entrare nel vivo del discorso, Filippo ha condiviso con me quelle che sono secondo lui le basi di una programmazione di successo:
E’ imprescindibile la conoscenza del modello prestativo del tuo campionato. Poi: 1) bisogna conoscere il modello della propria squadra o crearlo; 2) bisogna avere ben chiaro come si desidera impostare la performance: detto in parole semplici bisogna fare in modo di essere in forma per il tempo più lungo possibile; 3) in ultimo c’è un valore soggettivo e che è la filosofia personale di ogni preparatore.
Mi hai parlato di differenze da un punto di vista sociale/ambientale, ma da un punto di vista tecnico? Hai notato delle differenze sulla preparazione atletica? Per esempio: a Pillole Ovali, Nicotera ha raccontato che a Treviso si lavora di più sulla resistenza mentre in Francia si lavora maggiormente sull’esplosività.
Non in maniera così generale come ha raccontato Giacomo [Nicotera]. Il sistema di preparazione è maggiormente legato al campionato e al tipo di gioco all’Inglese: quindi con un occhio sempre puntato alle regole, nel rispetto del “rugby tradizionale”. Ogni squadra ha i suoi modelli prestativi: c’è chi lavora maggiormente sulla forza, chi invece si concentra sulla tecnica. Noi ad esempio cerchiamo di proporre una tipologia di gioco veloce e tecnico. Forse è per queste tutte impostazioni diverse che il campionato inglese, alla fine, nonostante le tante difficoltà, non è mai scontato.
Ecco. Entriamo nel vivo: ci spieghi come si struttura la preparazione fisica di una squadra come gli Harlequins?
Prima di tutto dividiamo idealmente la squadra in quattro livelli:
- I nazionali.
- Il nocciolo duro della prima squadra.
- I giocatori che sono nel giro della prima squadra da un po’ ma che giocano poco.
- I giocatori che stanno emergendo dalla senior academy.
Si tratta di quattro gruppi fluidi tra loro, dove i limiti non sono rigidi. Per seguirli, oltre a noi, ci sono uno staff medico (podologo, dentista), uno staff fisioterapico, uno sport science che si occupa del training load, noi e infine il coaching staff che detta le linee guida.
Come ti dicevo prima si parte sempre dalla visione di squadra: come vogliamo giocare?Vogliamo giocare sulla linea, e guadagnare metri sempre. Benissimo! Ma cosa ci serve per farlo?
Ed è un discorso che si fa sin dall’inizio della stagione?
Esattamente. Facciamo un esempio. A partire dal termine della stagione ci sono dalle quattro alle sei settimane di offseason. Due sono completamente off, esenti da qualsiasi tipo di lavoro. Poi si comincia con del lavoro generico e uguale per tutti.
Nella prima settimana di pre-season cominciamo con i test fisici (cardiovascolare, forza, test ai muscoli sensibili agli infortuni). In questo periodo si lavora in maniera generica dividendo la squadra in avanti e trequarti con l’obiettivo di portare tutti al massimo livello di sforzo sopportabile, evitando gli infortuni e monitorando lo sforzo di ogni giocatore. Il focus è quindi sul lavoro cardiovascolare.
Quando arriva il periodo delle amichevoli si comincia a strutturare la settimana in vista del campionato e la preparazione comincia ad essere maggiormente individualizzata. Prima, però, si rifanno i test per monitorare le differenze pre e post preparazione. Ogni scheda viene compilata tenendo conto del reparto, del ruolo, del gruppo e dell’età.
Il carico di lavoro è riassumibile in un rapporto 60-40: all’inizio 60 lavoro fisico e 40 lavoro tecnico/di campo. Con il passare del tempo il rapporto si ribalta.
Questo rapporto si evolve ulteriormente durante la stagione?
Si certamente. Il carico cambia in base alla distanza dalla partita e gli allenamenti disponibili. Da novembre a dicembre (periodo in season): ci sono lavori extra con focus individuali per chi ha più necessità. Verso metà stagione si cerca di non caricare ulteriormente il gruppo così da avere i giocatori freschi per la seconda parte dell’annata.
In tutto questo non bisogna dimenticare mai il lato umano dei ragazzi: bisogna saper essere empatici con quei giocatori che magari spingono a mille durante la settimana ma alla fine non giocano. Da questo punto di vista per loro è più difficile e lo sappiamo, per questo cerchiamo di stargli accanto e assicurarci che abbiano l’obiettivo sempre ben chiaro in mente.
Prima mi hai detto che dividete la squadra in avanti e trequarti. Ci sono differenze profonde nella preparazione dei due gruppi?
In linea di massima le prime linee sono coinvolte in fasi di breve durata e di impatto. Le seconde linee lavorano sulla forza di breve durata e massimale. I trequarti invece, lavorano sulla resistenza e sulla dinamicità. Devono essere forti in altre situazioni: impatti dopo una lunga corsa palla in mano, per esempio. Questo rispecchia quanto accade in partita. Le azioni di gioco variano dai cinque secondi ai due-tre minuti senza palla ferma. Sulla base di questo lavoriamo e ci alleniamo. Fa parte della nostra filosofia.
E la filosofia degli Harlequins è…
High pace, high tempo. Giocare sulla linea, tenere alta la pressione, giocare veloce. Individuare e attaccare gli spazi.. Questa è la nostra identità!
Come dividete il lavoro in settimana?
Nel primo giorno della settimana, dopo la partita, facciamo una review del match appena giocato e il build-up per il prossimo. Review e screening dei giocatori con test fisici per capire le condizioni neuro-muscolari di ognuno. Effettuiamo dei controlli seguendo delle check-list mediche e diamo il via ai primi trattamenti per poi individualizzare la settimana. Si lavora un po’ di più sulle gambe vista la distanza dalla partita successiva.
Il secondo giorno cominciamo con la match analysis degli avversari: punti di forza, debolezze, modo di attaccare e di difendere. A livello di preparazione fisica cerchiamo di spingere un po’ di più senza sforzare troppo i giocatori che hanno qualche acciacco post partita.
Nel Terzo e nel quarto giorno alziamo ulteriormente i ritmi e cominciamo con l’allenamento di contatto strutturando il gioco in base a quello che abbiamo studiato.
Invece come viene sezionata la giornata rispetto a quello che mi hai raccontato?
Noi preparatori ci incontriamo al campo di allenamento alle 6.30 e cominciamo con un meeting prima che arrivino i giocatori, in genere dalle 7.30. Prepariamo la palestra e fino alle 10.30/11.00 siamo li. Prima di pranzo facciamo una riunione con lo sport scientist con cui concordiamo i carichi di lavoro. Dopodiché si torna in campo per 75 minuti circa. Finito il lavoro di gruppo, incominciano i lavori extra per chi ne ha bisogno.

Dal gruppo ai singoli: gli esempi di Care, Cunningham-Smith e Dino Lamb
Ai Quins hai modo di lavorare con giocatori dal pedigree internazionale. Avere in gruppo un veterano come Danny Care quanto è di aiuto durante la settimana?
Prima di essere un gran giocatore e un’icona di questa società è prima di tutto una persona straordinaria: sa ascoltare le persone, e ha piacere di parlare con chi lo circonda. E non lo fa in maniera circostanziale, credimi. Lo fa perché gli fa davvero piacere. Questo di per sé è già un esempio importante per i più giovani. Dal punto di vista tecnico, non è uno che si mette ad urlare ai compagni per sopportare uno sforzo, o per incitarli. È un leader by example e by doing. Deve fare X o Y? Bene, si fa. Punto. E questo anche in partita: quando entra in campo, a 38 anni compiuti, sai già che farà la prestazione. È una persona che sa far rispettare le regole grazie all’ esempio e non è un caso che si sia guadagnato tutto in questo mondo.
E invece come si lavora con dei giovani come Cunningham-South? Come si accompagna un giocatore del genere verso la propria maturità tecnica e fisica?
Ci deve essere collaborazione tra i vari staff. È un mix di lavoro mirato e condiviso con l’obiettivo di farlo migliorare sempre. E’ un ragazzo con energie infinite, grande fisicità e capisce il rugby meglio di tanti altri: ce l’ha nel sangue. Sa leggere il gioco con due-tre azioni di anticipo è questo non è qualcosa che puoi inventarti dall’oggi al domani. Noi dovremo essere bravi a creare un ambiente positivo intorno a lui così da aiutarlo in questo processo di crescita.
E su Dino Lamb che cosa puoi dirci? Ora che Lynagh è tornato a Treviso e Allan si è spostato in Francia la colonia azzurra si è ridotta.
[ride] è vero, ma io e Dino teniamo alta la bandiera tricolore. È una bellissima persona, ed è un piacere lavorare con lui. Da un punto di vista fisico c’è poco da dire: è una statua greca e questo gli permette di essere impattante, sia in attacco che in difesa. In gioventù ha giocato come trequarti, un’esperienza che gli ha permesso di sviluppare una cerca mobilità e competenza tecnica attraverso tutto il campo. A tutto questo aggiungi il fatto che sa giocare sia in terza che in seconda linea e che è un buon touch leader.
Poi scusa ma tu non consideri il più italiano – anzi il più veneto – di tutti: Irné Herbst.
Tra l’Europa e il Sei Nazioni: l’impatto degli impegni extra campionato
Torniamo al gruppo: come preparatore atletico, quali sono i periodi che temi di più? Come lavorate durante il Sei Nazioni, per esempio?
Non c’è particolare timore, salvo quando emergono problemi fisici che sono fuori dal nostro diretto controllo. Si rimane sempre in contatto con la nazionale di riferimento tramite dei report settimanali. In alcuni casi assegniamo persino del lavoro extra al giocatore, sempre in accordo con lo staff della nazionale. A fine campagna le nazionali ci inviano i dati GPS di ognuno permettendoci di capire cosa è stato fatto e come continuare.
Però la scorsa stagione c’è stata la sensazione che le fatiche mondiali abbiano inciso molto sulla stagione di molte squadre. Prendiamo i Saracens che all’inizio della scorsa Premiership erano senza più di metà della squadra (alla prima partita hanno perso molto male contro Exeter). E quando gli internazionali sono rientrati hanno fatto molta fatica durante l’anno.
Le fatiche di un torneo internazionale coma la RWC sono diverse rispetto al 6N e pesano tanto. Questo perché hanno il doppio del carico ed è logorante [perché arriva al termine di una stagione e finisce quando quella successiva è già iniziata, ndr]. Per quanto si cerchi di riportare i ragazzi al ritmo normale, devi eliminare lo stress fisico e mentale della preparazione al mondiale e per farli tornare quanto prima al livello di gioco richiesto dal club. In ogni caso si riparte sempre dai test.
Gli amatissimi test…
[ride] Assolutamente, i ragazzi poi non vedono l’ora di farli…
Parlando di coppe europee mi viene in mente una curiosità. Quando arriva il momento di confrontarvi in Europa contro squadre francesi o sudafricane cambiate la preparazione e lavorate su determinati aspetti?
L’analisi della prestazione dell’arbitro in partita è un po’ più meticolosa perché li vedi meno, li conosci poco ma sei sicuro che hanno aspettative diverse rispetto a quelle a cui sei abituato in Premiership. L’arbitro e il suo metro di giudizio fanno parte del gioco è bisogna saperci convivere: è più severo? è meno pignolo sul fuorigioco? Bene, studiamo dove sono i limiti e prepariamoci a giocare al loro interno.
I giocatori da osservare in maglia Harlequins
Chiudiamo con una domanda sul futuro. Molti amici e molte amiche del blog sono informatissimi sui migliori prospetti in circolazione. Ti va di segnare degli Harlequins interessanti a chi di loro è più curioso?
Tra i più giovani ci sono due nomi da tenere d’occhio: Ben Waghorn, che ha giocato in rugby league e poi ha vinto il mondiale U20 di union con l’Inghilterra. E’ un ottimo giocatore sia in attacco che in difesa ed è raro che un ragazzo così giovane sia così completo alla sua età. Poi c’è Lucas Friday, un mediano di mischia con un talento mostruoso. Di lui ho poco da dire se non che potrebbe diventare il nuovo Danny Care.
Un pensiero riguardo “Dietro le quinte degli Harlequins con Filippo Nason”