Negli ultimi 2-3 anni il Galles ha attraversato un periodo di difficoltà dal punto di vista rubgistico. Esattamente due anni fa ne scrivevamo preludendo a un biennio difficile, sulla base delle difficoltà economiche che sta attraversando la Welsh Rugby Union nonché lo scollamento che negli anni si è creato fra il rugby di base e quello di alto livello. Se vi suona famigliare, è perché in Galles come in Italia le problematiche sono simili. Dal prossimo anno però si cambia rotta: nasce infatti il Super Rugby Cymru (SRC), una nuova competizione domestica fatta da 10 club e indipendente dal cosiddetto community game, senza retrocessioni e con un taglio nettamente più integrato nella struttura federale.

Il contesto: un momento di transizione

Il rugby è lo sport più popolare del Galles, ogni singolo club ha tutte le fasce di età dai 6 ai 18 anni, una cadetta e una prima squadra, e il campionato nazionale non ha mai smesso di essere seguito. Quando, nel 2003, si fecero le 5 franchigie per la Celtic League (Cardiff, Ospreys, Scarlets, Dragons e Celtic Warriors) i tifosi locali non furono del tutto convinti dal progetto perché detraeva dal campionato locale, seguitissimo e storico.

Non vale la pena fare paragoni con il campionato italiano di rugby vista la differenza di popolarità nelle reciproche nazioni: facciamoli piuttosto con la serie A di calcio e con la famosa “superlega”. Ai tifosi di calcio non piacque l’idea proprio perché andava a rompere più di un secolo di storia sportiva del campionato sportivo più seguito del paese (di ogni sport).

Detto questo, ci troviamo a due decadi da quella data e le franchigie gallesi non hanno raccolto molto. In molte occasioni si è detto che avrebbero dovuto unirsi alla Premiership inglese invece che alla Celtic League (ora URC), ma coi sè e i mà non si fa la storia, ed è facile col senno di poi. Oggi, per ovviare alla frattura che si è creata fra il rugby di base e le franchigie, sia come seguito che come livello di gioco, si è dunque deciso di ripensare il campionato domestico, che si chiamerà Super Rygbi Cymru.

Chi compete in questa lega

L’idea di base di questa nuova competizione è articolata nei seguenti punti:

  • aumentare il numero di partite giocate da ciascuna squadra
  • aumentare la visibilità
  • creare un livello intermedio fra il community game e il pro game
  • garantire a tutte le squadre più introiti

Per raggiungere questi quattro punti programmatici la WRU ha disegnato una competizione composta da dieci squadre storiche, economicamente stabili e con molto seguito. Il campionato segue il calendario internazionale iniziando il 14 settembre, finendo il 17 maggio, e facendo una pausa di un mese e mezzo durante il sei nazioni per giocare una coppa interna (Super Rygbi Cymru Cup).

Le dieci squadre coinvolte sono: Carmarthen Quins, Swansea RFC, Ebbw Vale, Aberavon, Newport, Bridgend, Pontypool, Llandovery, North Wales RGC e Cardiff RFC. Si tratta di squadre storiche del Galles, tutte a parte l’RGC che invece è una sorta di franchigia del nord del paese dove la densità demografica è bassa. Va sottolineata l’assenza di alcuni club storici come Pontyprydd, Neath e Merthyr, per ragioni di opposizione alla struttura del campionato. Inoltre, fa effetto l’assenza del Llanelli RFC, che ha di recente chiuso i battenti per concentrare gli sforzi sulla propria franchigia (gli Scarlets).

“dynamic and eye catching, […} builds on our unique heritage and past, but captures our new ambitions”

John Adler (WRU Head of Player Development)

Il formato

Questo campionato ha un formato che cerca di essere il più inclusivo possibile per le squadre meno capaci di vincerlo. Per massimizzare il numero di partite, le squadre giocheranno andata e ritorno contro tutti per un totale di 18 partite. Inoltre, per massimizzare la valenza di queste partite, non ci saranno squadre escluse dai playoff. Ci sarà, invece, un primo round di playoff dove si giocherà 7 vs 10 e 8 vs 9 per determinare le due cosiddette “wild card”, un po’ come avviene in NBA con i play-in.

La decisione di non escludere nessuno dai playoff è stata una scelta arrivata dopo varie contrattazioni fra WRU e club. Inizialmente si voleva limitare il campionato a 8 squadre ma tanti dei club, fra cui anche Cardiff, non vedevano remunerativo un campionato con solo 7 partite interne (da cui solitamente i club traggono molti dei loro incassi). Aumentando il campionato a 10 squadre e aumentando il numero di partite con anche i playoff, si è raggiunto un quorum di partite totali che ha soddisfatto tutte le parti interessate.

Una volta decretate le due wild card, inizieranno i playoff veri. La prima giocherà contro la wild card 1, la seconda contro la wild card 2, la terza contro la sesta e la quarta contro la quinta. In questo modo nessuna partita di campionato sarà inutile, ciascuna varrà la pena guardarla (e giocarla).

Il calendario completo rilasciato dalla WRU, con un’accattivante veste grafica rifatta da zero per l’occasione.

La presenza della coppa durante il periodo dei Sei Nazioni è una interessante strutturazione del campionato. Le partite di coppa molto spesso vedono impegnati giocatori meno utilizzati in campionato, giocatori giovani o delle squadre cadette, e possono essere un po’ meno seguite dai tifosi rispetto a quelle di cartello. Mettendole tutte nel periodo del Sei Nazioni, quando anche le franchigie si fermano, si permette a queste partite di avere una loro rilevanza dato che i giocatori che vi competono non sono probabilmente fra quelli considerati per una convocazione.

“we wanted to ensure there is lots to play for, plenty of jeopardy, and there are exciting local derbies”

John Adler (WRU Head of Player Development)

I premi

Questo campionato prevede l’assegnazione di ben tre premi:

  • Il principale trofeo del campionato
  • La coppa, che si disputa nel periodo del Sei Nazioni
  • Lo scudo (SRC challenge shield)

Quest’ultimo è un trofeo che si assegna in modo quantomeno curioso. Stando a quanto si legge nel comunicato ufficiale, sembra che funzionerà così: i detentori dello scudo sono i campioni in carica, e in ogni partita in casa dovranno “difenderlo” vincendo. Se perdono, lo scudo passa nelle mani di chi li ha battuti, e così via fino a fine campionato. Questa dinamica è molto simile a quella del Ranfurly Shield, l’antico trofeo neozelandese che dove una squadra qualsiasi può sfidare la detentrice e, se vince, tenersi lo scudo finché qualcuno non la batte in casa.

Il Ranfurly Shield neozelandese (Newsroom)

Salary Cap, permit players e amministrazione

I club che partecipano a questo torneo riceveranno 105,000 sterline dalla WRU, e dovranno metterne altrettante di tasca propria. Saranno inoltre limitati nello spendere al massimo 150,000 sterline per una rosa di 32 giocatori, Ci sono delle eccezioni che comprendono il poter avere in rosa giocatori delle academies delle franchigie o il poter contrattare giocatori che terminano di giocare al massimo livello ma possono ancora contribuire al rugby domestico, un po’ come avviene in Italia con i permit players e con gli ex-azzurri (e.g. Tebaldi) che continuano a giocare in Serie A Élite.

La gestione dei giocatori è veramente simile a quella della Serie A Élite e dei permit players, ma forse è meglio formalizzata e chiara. Il comunicato parla della creazione di una Regional Club Affiliate Partnership per ognuno dei 10 club del torneo. Una vera e propria affiliazione a una delle 4 franchigie di URC su base territoriale. Per ogni giocatore che venga inserito in questo percorso di scambio, vengono prese in considerazione: 1) la sua origine; 2) il suo club originario; 3) i suoi bisogni personali come ad esempio la famiglia; 4) la vicinanza geografica con una franchigia.

C’è poi un’interessante aggiunta in quest’equazione che è quello di un board misto che comprende persone afferenti alle franchigie, ai 10 club coinvolti, e al community game che sta sotto. Questa commistione potrà sicuramente generare degli attriti in itinere ma ha il potenziale di creare la sinergia giusta (nel tempo) per remare tutti verso un obbiettivo comune.

La foto di gruppo dei capitani delle squadre del campionato precedente, la Indigo Welsh Premiership (Indigo Group)

Funzionerebbe in Italia?

Non c’è dubbio che queste modifiche siano quantomeno interessanti dal punto di vista italiano, essendo anche noi una terra in cui il rugby ha bisogno di riforme per non cedere sotto il suo stesso peso. Il campionato domestico e il rugby di base faticano a comunicare con l’alto livello, fra mille cavillli difficoltà e divergenze d’intenti.

L’idea di separare completamente non solo le franchigie ma anche il massimo livello domestico dal grassroots è radicale ma interessante, perché permette di avere un campionato domestico decisamente più forte oltre che le franchigie. Aumenta, in sostanza, il livello della competizione interna intermedia invece che investire tutto sulla cima della piramide dimenticando la base.

Un giocatore nato nel nord del Galles avrebbe poche chances di farsi notare ma grazie alla RGC può emergere in un torneo domestico più strutturato e di qualità, valorizzarsi, ed entrare in un player pathway di una franchigia professionistica. È già così, in parte, in Italia: quello che manca è alzare il livello tecnico e i requisiti nel massimo campionato per renderlo sia un prodotto più interessante per gli spettatori che un campionato più formativo per chi ci gioca.

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