Alla vigilia del 6 Nazioni 2024 la Scozia partiva come la seconda favorita alla vittoria del torneo. Sembrava poter essere l’unica tra le restanti 5 nazioni a poter impensierire quella macchina inarrestabile che è l’Irlanda. E così è sembrato per i primi 40 minuti del suo torneo, in cui inflisse un passivo di 27 punti al giovane Galles di Gatland e Jenkins. In tanti affermano che sarebbe potuta arrivare quantomeno in semifinale alla recente RWC di Francia se non fosse stata in un girone di ferro con Irlanda e Sudafrica. Addirittura nel 1991 la nazionale del cardo mancò la finale del mondiale per una facilissima punizione calciata malamente. Insomma, in un altro universo non troppo differente dal nostro potrebbe essere la più grande nazione rugbistica esistente. Secondo alcuni.
La prima degli altri
Certamente la Scozia non è più quella nazionale con cui l’Italia può sperare di giocarsi il cucchiaio di legno come negli anni 2000, ed il ranking mondiale sta lì a testimoniarlo. Per quanto non sia un qualcosa da prendere come verità assoluta, il World Rugby Ranking restituisce il valore di una nazionale in base ai risultati di diversi anni di partite e risultati. La Scozia prima dell’inizio della RWC 2023 si trovava saldamente al 5° posto con ben 4 punti di vantaggio sui Pumas argentini ed equidistante dagli All Blacks quarti. Insomma la Scozia prima del mondiale era quello spartiacque tra quattro nazionali aliene – Irlanda, Francia, Sudafrica e Nuova Zelanda – e tutto il resto del mondo ovale. Sfortuna volle che nel proprio girone di qualificazione vide la presenza di Irlanda e Sudafrica, che di fatto gli impedirono un buon cammino iridato. Sicuramente le speranze dei tifosi scozzesi erano molto alte, ma erano anche coscienti del fatto che l’impresa sarebbe stata a dir poco complessa, ed infatti nessuno -stampa compresa – ha mosso grandi critiche nè allo staff tecnico nè tantomeno alla rosa di giocatori, di fatto confidando nel fatto che la strada intrapresa sia quella giusta, e che i grandi risultati arriveranno.

Una nuova speranza
Archiviato quindi il sogno mondiale senza troppe scorie, l’obbiettivo successivo della Scozia è quello di iniziare finalmente ad alzare qualche importante trofeo. Qualcosa che non sia la Calcutta Cup insomma, visto che oramai da 4 anni prende polvere in un qualche ufficio di Edimburgo. La campagna 2024 con vista 6 Nazioni inizia quindi con i migliori propositi: una squadra già forte e pericolosa, ma con ancora buoni margini di crescita, andrà a sfidare un Galles ed un’Inghilterra in piena crisi di gioco e con problemi intestini di non facile risoluzione, un’Italia che esce dal mondiale con le ossa triturate e poi due giganti feriti come Francia ed Irlanda. Due macchine da guerra ben oliate e superiori agli Highlanders per profondità della rosa e per qualità e costanza di gioco. Una sfida impossibile quella contro queste due nazionali, se non fosse che una – la Francia – ha subito il trauma di essere eliminata ai quarti di finale del proprio mondiale, organizzato in casa propria e affontato da favoriti e con tutta la nazione in attesa di un trionfo annunciato, e che l’altra – l’Irlanda – affrontava questo mondiale come un passaggio di consacrazione per essere considerata come una delle migliori nazionali di sempre, guidata alla vittoria dal proprio capitano e N°10 leggendario Johnny Sexton, ma che si è trovata a perdere un quarto di finale contro una rediviva Nuova Zelanda ed il proprio capitano e fulcro del gioco per ritiro dall’attività. Insomma, per la Scozia questo Six Nations 2024 è da ora o mai più. Potrebbe essere raro affrontare un altro torneo in queste condizioni favorevoli, in cui tutto inizia a proprio favore. Se non fosse che queste condizioni favorevoli non sono altro che previsioni basate su chiacchiere, supposizioni fondate su sensazioni e su letture psicologiche amatoriali di fatti avvenuti mesi fa. La realtà dei fatti è che nessuno prima dell’inizio del torneo poteva sapere la reale condizione con cui si sarebbero presentate Francia ed Irlanda ai nastri di partenza, e quindi tutta questa speranza e questo hype nei confronti della compagine scozzese erano fondamentalmente infondati. Chiariamoci, la Scozia non è scarsa e le sue ambizioni iniziali di vincere il torneo sono ampiamente giustificate, tant’è che il sottoscritto la dava come favorita per il titolo, ma spesso non ci si può fidare di una bestia ferita. Come ben sappiamo l’Irlanda ha ricominciato da dove aveva lasciato: un gioco strutturato perfettamente funzionante, giocatori fenomenali ed un nuovo N°10 – Jack Crowley – che per ora non sta facendo rimpiangere il ritiro di Johnny Sexton e ben poche briciole lasciate agli avversari. La Francia invece sembra aver dimenticato ciò che ha fatto sino a quell’infausto quarto di finale. Vittima forse di una piccola rivoluzione dello staff tecnico che non sta – per ora – sortendo gli effetti desiderati, la squadra guidata da Fabièn Galthie pare aver perso certezze. Ed in effetti è così, poichè non dobbiamo scordarci dell’assenza di Ntamack, Dupont, Alldritt e tanti altri interpreti fondamentali nel XV de France.

Tanti dubbi, poche ma ben salde certezze:
I primi 40 minuti del 6 Nazioni scozzese sono stati magnifici: 27 punti inflitti ad un Galles inerme e neanche un piccolo scossone in difesa. I soliti noti non si sono fatti attendere ed hanno da subito ricordato al pubblico cosa aspettarsi da loro: spettacolo puro. Finn Russell fornisce un assist in offload splendido per Duhan van der Merwe che parte in una corsa splendida, veloce e devastante con cui circumnaviga i difensori andando a segnare con una facilità che sembra quella di un bambino troppo cresciuto che gioca in una categoria più bassa di quella che gli competerebbe. La coppia di centri più invidiata d’Europa torna a far faville, con quella confidenza e vicendevole conoscenza profonda che rende Huw Jones e Sione Tuipulotu un duo indivisibile. Una coppia di centri in grado di creare gioco in tutti i modi: caricando dritto per dritto, creando gioco con passaggi illuminanti, pull pass al limite della perfezione ed un utilizzo del piede sopraffino. Insomma, le premesse sono eccezionali. Per i primi 40 minuti. Poi c’è l’intervallo. Poi qualcosa succede in quello spogliatoio, e forse qualcosa di peggio succede in quello gallese. Perchè i secondi 40 minuti del match si riveleranno un vero e proprio incubo per la nazionale del cardo, un incubo che tutti – dai tifosi ai giocatori – non dimenticheranno facilmente. Un incubo fatto di giocatori gallesi indemoniati, feroci e feriti nell’orgoglio che decidono che quella partita non è che appena cominciata. Nei successivi 40 minuti la Scozia si vede rimontare 26 punti senza aver la capacità di reagire e creare una sola minima occasione di portare a casa dei punti. La partità finirà 26 a 27 per gli ospiti scozzesi, che evitano così una sconfitta che sarebbe risultata catastrofica a livello morale e d’immagine.

Niente panico, è stato soltanto un eccesso di sicurezza. Forse. C’è comunque una nuova occasione da poter sfruttare immediatamente sul proprio terreno di casa: a Murrayfield incontrerà la Francia. L’altra bestia ferita post mondiale casalingo. Questa è la giusta occasione per proiettarsi verso un finale di torneo in cui ci si giocherebbe tutto. Il match inizia bene, il gioco non è sfavillante, ma efficace e soprattutto riesce a tenere i francesi a distanza – quasi – di sicurezza. Il primo tempo si chiude sul 16 a 10 per i padroni di casa. La presa sul match inizia però a scivolare piano piano, e tante occasioni di chiudere la partita vengono sprecate lasciando così uno spiraglio di luce ad una belva chiusa all’angolo. E la Francia così sferra la propria zampata con Bielle-Biarrey ed un penalty di Ramos, oltre ad una buona gestione del territorio nei minuti finali del match. A nulla valgono gli sforzi scozzesi, il match si chiude sul 16 a 20 in favore dei francesi, non dopo molteplici polemiche di cui non tratteremo in questa sede. È vero che se quell’ultima meta fosse stata assegnata staremmo parlando di una Scozia ancora verosimilmente in corsa per il torneo, ma con i se e con i ma non si fa la storia, e quindi la Scozia deve prendere coscienza dei propri limiti, degli errori commessi e ricominciare a giocare come sa, aggrappandosi ai propri punti saldi: Finn Russell e Duhan van der Merwe. Due giocatori fuori dal comune, il primo è un fenomeno che legge il gioco con largo anticipo rispetto agli avversari, mentre il secondo è quel tipo di giocatore a cui non vorresti mai che arrivasse un pallone, poiché trasforma in oro tutto ciò che gli capita tra le mani.
Inversione di tendenza
Se con Galles e Francia la partenza scozzese è stata fulminea, portandosi in vantaggio agli inizi del match, mostrando grande capacità nell’imporre il proprio gioco a freddo ma mettendo a nudo difficoltà nella gestione del vantaggio e della partita in sè. Si è infatti palesata nelle precedenti partite una atipica difficoltà nell’adattamento nei confronti del gioco avversario, quasi un’incapacità di leggere la partita ed attuare contromosse efficaci. Per esempio, il gioco al piede scozzese non è mai stato sfruttato a dovere in situazioni di sofferenza, come per esempio il secondo tempo contro il Galles, forse per un’eccessiva volontà di imporsi. Quando invece Russell ha iniziato a calciare lungo per allentare la pressione gallese ed allontanarsi dal proprio terreno di gioco, affidandosi poi alla difesa dei propri compagni. Ecco, la partita contro l’Inghilterra, valida per la Calcutta Cup, ha mostrato invece una Scozia differente, più calma e composta. L’Inghilterra è partita forte mettendo subito a referto 10 punti nei primi 15 minuti, ma la Scozia non è andata nel panico, e sfruttando le proprie capacità – capacità chiamate Tuipulotu e Huw Jones – crea un buco da metà fase a metà campo e porta a segnare quel treno ad alta velocità chiamato Duhan van der Merwe. Da qui in poi è praticamente un monologo scozzese fatto di cinismo, furbizia e maestria. I giocatori simbolo di questa vittoria sono principalmente 2: Finn Russell ed il sopracitato Duhan van der Merwe. Il primo gestisce tutto ciò che c’è da gestire magistralmente, mantenendo la propria squadra in un avanzamento continuo, sia con che senza il pallone. Un gioco al piede magistrale che permette alla nazionale del cardo di mantenere una pressione costante sugli inglesi, pressione che ripaga degli sforzi al minuto 26: un passaggio sbagliato, rimbalzo favorevole per Huw Jones che scarica poi per van der Merwe che con uno scatto bruciante lascia sul posto la difesa inglese ed ecco che la Scozia ha messo saldamente le mani sul match.
A questo punto la Scozia sente che l’inerzia è dalla propria parte e non si fa ingolosire, andando così per i pali quando ne ha l’occasione e non accelerando quando non è necessario. La gestione al piede è esemplare in questo: l’Inghilterra è riuscita a far male quando è entrata nei 22 scozzesi, la soluzione è quindi tenere le maglie bianche il più lontano possibile dai propri 22 metri. Finn Russell e Ben White eseguono quindi calci lunghi con il solo obbiettivo di guadagnare terreno e mettere pressione all’Inghilterra, senza pensare di contestare il possesso tramite il gioco aereo. Dove la Scozia inquina il possesso inglese sono le fasi statiche: la mischia e la touche. Proprio da quest’ultima nasce l’azione che fondamentalmente chiude il match: è il 44esimo minuto e la nazionale di Townsend ruba il pallone in touche e prova subito a esplorare il territorio scoperto dietro la linea di difesa inglese, ma il calcio viene stoppato, finendo di conseguenza in mano a Redpath. La difesa inglese è aggressiva, ma siamo ancora in fase di transizione e quindi non è ben connessa tra gli interpreti, Redpath ne approfitta e crea un break che porta il pallone vicino ai 22 inglesi. Da qui avviene la magia: palla a Finn Russell, che aveva già notato l’assenza di una copertura dalla parte opposta del campo e la esplora con un cross-kick che il solito Duhan van der Merwe raccoglie e, superando facilmente l’ultimo avversario, va a schiacciare in meta. Contro l’Inghilterra abbiamo visto una Scozia più matura, più calma e con maggiore coscienza delle proprie punte di diamante.
Cosa aspettarsi a Roma?
Tutto ciò che i tifosi italiani sperano è una partita combattuta, con l’ultima speranza di potersela giocare nei minuti finali. Non sappiamo se sar così, ma certo è che la Scozia a Roma contro la nazionale italiana dovrà fare a meno di qualche interprete non facilmente sostituibile: il centro Sione Tuipulotu e le seconde linee Johnny e Richie Gray. Per quanto questi giocatori non siano – a prima vista – importanti quanto Finn Russell e van der Merwe, in realtà sono assenze pesanti. Soprattutto Tuipulotu è il secondo regista dell’attacco scozzese e sappiamo che con Huw Jones forma una coppia di centri affiatata e formidabile. Spesso infatti prende delle decisioni importanti molto vicino alla linea di difesa, decidendo se attaccare la linea, se fare un pull-pass dietro la schiena o se esplorare la profondità con il piede, gestendo così effettivamente il gioco assieme a Russell. Al posto di sione Tuipulotu potremmo pensare di trovarci di fronte Stafford McDowall, pilastro di Glasgow e giocatore che al club sta mettendo in panchina Huw Jones, quindi non proprio un cliente facile – chiedere referenze al Benetton Treviso.

L’Italia dal canto suo ha la responsabilità di continuare sulla scia del match contro la Francia – pareggiato 13 a 13 fuori casa – e confermare i progressi tecnici sotto la guida di Gonzalo Quesada. Come ben sappiamo il tallone d’Achille italiano è l’inesperienza e le fasi statiche, con una touche molto traballante. Proprio su questo la Scozia potrebbe porre molta pressione con il sapiente gioco al piede della coppia mediana Ben White – Finn Russell cacciando gli azzurri in un angolo e rendendo difficile la conquista del pallone da touche. Certamente l’ago della bilancia pende dalla parte scozzese, ma è anche vero che questa squadra potrebbe non essere completamente libera nella testa in assenza di un leader come Tuipulotu e di due lavoratori come Johnny e Richie Gray e magari cedere in caso di difficoltà. Italia-Scozia non è più una partita incerta e dalle grandi speranze – per noi tifosi azzurri – come agli inizi degli anni 2000, e questa potrebbe essere un’ottima occasione per provare ancora una volta che la nazionale del cardo fa sul serio. Una nazionale che punta ad essere l’unica in grado di infastidire l’Irlanda, e chissà, anche batterla. Certo, quest’anno risulta oramai quasi impossibile vincere il 6 Nazioni contro la corazzata del trifoglio, ma resta comunque importante dimostrare di essere la prima degli altri.