Ci si appresta ad assistere ad un tour dei British & Irish Lions in terra australiana da molti considerato dall’esito scontato. Molti esperti danno i Lions come dominanti contro dei Wallabies in flebile ripresa, ma verosimilmente impotenti contro una selezione di giocatori davvero completa in ogni reparto. Ma sarà davvero così? Andiamo ad analizzare assieme le situazione delle due compagini che si sfideranno in tre test che eleggeranno il vincitore di questo British & Irish Lions Tour 2025 in Australia.
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- Una crisi lunga un decennio
- Volti nuovi e volti rinnovati
- Il gioco australiano: innovazione al sicuro
- Il gioco dei Lions: possesso e multi-competenza
- Un esito scontato, ma staremo a vedere
Una crisi lunga un decennio
Era il 12 Novembre 2022, a Firenze, e per la prima volta nella storia del rugby l’Australia perde una partita contro una sorprendente Italia. Una partita che diventa piena testimonianza di una crisi di risultati, ma anche più generale, di una crisi del rugby union australiano. In otto anni, i Wallabies, infatti, sono passati dal giocare la finale della RWC 2015 ad uscire ai gironi nella RWC 2023, sintomo di una generazione di giocatori non all’altezza dei predecessori, complici diverse mancanze a livello di governance ed una spietata concorrenza di sport fratelli come il Rugby League ed il Rugby Australiano – chiamato Aussie Rules – che spesso garantiscono una migliore prospettiva economica e di carriera.
In questo periodo, i Wallabies sono passati da essere in terza posizione del Ranking Mondiale sino a sprofondare in nona posizione prima dei test autunnali del 2022.
Dal posto d’onore al mondiale 2015, nei dieci anni successivi si sono susseguiti ben 4 allenatori.
Dal 2014 al 2019 alla guida dell’Australia ci fu Michael Cheika, che li guidò per l’appunto al secondo posto mondiale dopo un solo anno alla guida della squadra. Ma prima della finale della RWC, nello stesso anno, Cheika guidò i Wallabies alla vittoria del The Rugby Championship 2015, vincendo tutte le partite – soltanto 3, visto che si disputava appena prima del mondiale – e riportando così il trofeo in Australia dopo ben 4 anni.
Dal 2016 in poi il meccanismo iniziò, però, ad incepparsi e gli exploit del 2015 non si ripeterono quasi più, se non a sprazzi.
Arrivati alla RWC 2019 in Giappone, i Wallabies raggiunsero i quarti di finale, ma vennero eliminati dall’Inghilterra – poi vice-campione – guidata da Eddie Jones. Al termine della competizione Cheika rassegnò le proprie dimissioni, lasciando così il posto a Dave Rennie.
Rennie rimase alla guida della nazionale australiana sino al 2023, e l’unico vero highlight del suo percorso furono le 4 vittorie consecutive durante il The Rugby Championship 2021, con cui l’Australia si guadagnò un secondo posto. Il resto della sua campagna fu pieno di alti e bassi, che portarono poi al suo allontanamento nel 2023 in favore di un glorioso ritorno: Eddie Jones.
L’inizio di Eddie Jones fu un po’ a rilento, con un ultimo posto nel The Rugby Championship 2023, ma caratterizzato da una profonda rivoluzione della rosa, lasciando a casa importanti veterani in favore di giovani promettenti. Tutto ciò con ben in vista l’obbiettivo della RWC 2027, che si terrà in Australia e su cui Eddie Jones basò molto la propria candidatura a Head Coach dei Wallabies.
I risultati inizialmente poco incoraggianti lasciarono non poco malcontento tra i sostenitori australiani, tanto che tutti gli spot televisivi pre-RWC 2023 vertevano su Eddie Jones e sul fatto che avrebbe sorpreso tutti. Beh, come ben sappiamo la campagna australiana alla RWC 2023 non fu delle migliori, anzi. La nazionale australiana uscì ai gironi dopo una storica sconfitta con le Fiji.
A seguito anche di polemiche per alcuni presunti contatti con la federazione Giapponese, il rapporto tra Eddie Jones e Rugby Australia si interruppe, costringendo così la Federazione Australiana a cercare un terzo allenatore in soltanto due anni.
Volti nuovi e volti rinnovati
La scelta è quindi ricaduta su Joe Schmidt, reduce dall’ottima RWC 2023 in qualità di Attack Coach degli All Blacks. Schmidt ha continuato l’opera di ringiovanimento messa in atto da Eddie Jones, facendo debuttare ben 7 giocatori nel match d’esordio contro il Galles. La sua avventura australiana è quindi iniziata bene, vincendo proprio i due test contro i Dragoni Gallesi ed il match successivo contro la Georgia. Al contrario, i risultati nel The Rugby Championship 2024 non furono molto positivi: l’Australia si classificò ultima, registrando una sola vittoria contro l’Argentina, nonostante si sia vista una discreta evoluzione del gioco.
Ciò nonostante, nei test autunnali di Novembre 2024 l’Australia ha mostrato di essere in grado di poter impensierire proprio tutte e quattro le Home Nations. I Wallabies hanno infatti sconfitto l’Inghilterra per 37 a 42 ed il Galles per 20 a 52, mentre hanno perso contro la Scozia – 27 a 13 – e contro l’Irlanda di soli 3 punti, 22 a 19.
L’Australia di Joe Schmidt ha mostrato un gioco in costante evoluzione, pieno di atletismo e talento, ma con poca costanza. Alcuni nomi spiccano più di altri in questa nuova Australia, e molti di questi sono giocatori che sotto la cura Schmidt hanno alzato di molto il proprio livello.
Il primo a venire in mente è sicuramente Noah Lolesio, mediano d’apertura ormai 26enne, sempre visto come un grande talento, ma che non era ancora riuscito a fiorire ed a mettere in campo in modo costante le proprie capacità. Sfortunatamente, Lolesio si è infortunato poco prima di questo tour durante il match contro le Fiji, e quindi non ne prenderà parte, ma a livello tecnico il discorso non cambia. Lolesio è un 10 particolare, a cui piace giocare molto vicino alla linea del vantaggio e che non disdegna nemmeno attaccarla, la linea. Con il sistema di gioco adottato da Schmidt, Lolesio ha molta più libertà e di questo ne giovano tutti. Approfondiremo più avanti il gioco australiano, ma già ora possiamo dire che le responsabilità sono maggiormente suddivise, e quindi Lolesio non è più obbligato a restare sempre in piedi, in quanto il gioco non dipende più soltanto da lui.
E proprio su questa scia di condivisione delle responsabilità, un altro giocatore che sta diventando colonna portante dell’Australia è Tom Wright, estremo/ala proveniente dal rugby league, dotato di un atletismo di altissimo livello e qualità tecniche di prim’ordine. Benché queste sue caratteristiche gli abbiano permesso di creare linebreak e di segnare molte mete, Wright si è sempre notato quasi esclusivamente per le sue skills da finisher, più che per il suo gioco a tutto tondo. Con la gestione Schmidt si trova invece molto più spesso nel ruolo di secondo playmaker, creando grande incertezza nella difesa perché, oltre alle sue doti atletiche e tecniche, sta crescendo molto anche nel decision-making, rendendosi quindi indispensabile per la propria nazionale.
Se invece dovessimo prendere un giocatore simbolo di nuovi talenti che fanno capolino in maglia Wallabies allora non possiamo fare a meno di nominare Joseph-Aukuso Sua’ali’i: l’ultimo fenomeno del Rugby League a cambiare codice e iniziare la propria carriera nel rugby a quindici. A soli 22 anni, si è già mostrato al mondo in tutto il suo talento cristallino. Nelle prime partite con l’Australia ha ricoperto il ruolo di secondo centro, mentre con la maglia Waratahs, nel Super Rugby Pacific, ha spesso ricoperto il ruolo di estremo. Non sappiamo ancora in che ruolo Joe Schmidt lo schiererà per le partite contro i Lions, ma sicuramente sarà uno di quei giocatori che lascerà il segno in questo tour.
Ultimo, ma certamente non per importanza, un nome che salta subito all’occhio – complice l’infortunio di Noah Lolesio. È un nome di quelli che fa brillare gli occhi ad ogni supporter australiano: Tom Lynagh è infatti candidato a guidare la cabina di regia australiana. Figlio del celebre Michael, Tom è già alla sua terza stagione nel rugby professionistico a soli 22 anni. Ha esordito in maglia australiana a Luglio 2024 contro il Galles, e in questa stagione di Super Rugby Pacific ha portato i Reds ai quarti di finale, giocando un’ottima stagione e dimostrando di avere ottimi numeri anche a livello internazionale, spesso subentrando proprio a Noah Lolesio. A fronte dell’infortunio di quest’ultimo è stato richiamato anche James O’Connor – dopo 3 anni d’assenza in nazionale maggiore – che ha vissuto un’ottima stagione con i Crusaders nel Super Rugby Pacific. Chissà che non sia proprio tra loro due la staffetta a numero 10 per questi test. Sarebbe anche in qualche modo simbolico, il nuovo che avanza ed il vecchio campione che chiude la carriera al meglio. Staremo a vedere.
Il gioco australiano: innovazione al sicuro
Joe Schmidt è stato per molti anni allenatore dell’Irlanda, preparando il terreno per la corazzata guidata da Andy Farrell, vincendo tre 6 Nazioni, di cui un Grande Slam.
Successivamente al suo primo ritiro, al termine della RWC 2019, indossò le vesti prima di consulente e poi di allenatore dell’attacco della Nuova Zelanda per la RWC 2023, contribuendo al secondo posto nel mondiale.
Se analizziamo il gioco proposto da Schmidt, soprattutto con l’Irlanda, noteremo un gioco fatto di possesso, pochi sprechi e basso rischio. E tutto ciò non è cambiato di molto negli anni, ed è anche ciò che sta riproponendo con l’Australia, andando un po’ in contrasto con quello che storicamente è il rugby australiano. I Wallabies hanno infatti sempre mostrato un certo flair nel proprio gioco, prendendosi rischi, giocando ad una velocità impressionante e compiendo scelte spesso discutibili, ma portandole avanti sino in fondo.
Il gioco di Schmidt è quanto di più lontano possa esserci da questo modello di gioco. Per far fronte a “discrepanza” tra modelli di gioco, la soluzione che è stata individuata è quella di avere quante più punizioni a favore possibili, cercando di mantenere il possesso al sicuro.
Come si fa però ad arrivare a questo obiettivo? L’idea è quella di stressare la difesa, più che cercare di bucarla. Si può infatti notare come molti schemi da prima fase siano estremamente semplici, atti soltanto a portare avanti il pallone, spesso anche con diversi pick&go consecutivi, per fare in modo di mettere in difficoltà la difesa avversaria e costringerla a commettere fallo.
Certamente non basta soltanto avanzare e riciclare palloni velocemente, ma serve anche una certa capacità a cercare il fallo – con giocatori esperti in queste arti oscure, come Nick Frost – ed una struttura che permetta di avere sempre giocatori disponibili quando il pallone viene aperto dalla ruck.
Schmidt sta infatti operando una piccola rivoluzione per quanto riguarda la struttura di gioco. Oramai moltissime nazionali dispongono gli avanti in una formazione 1-3-3-1 oppure variazioni con pod da 4 giocatori – come l’Irlanda di Andy Farrell. L’Australia di Schmidt, invece, cerca di formare sempre dei triangoli in cui i giocatori sono più o meno intercambiabili ed interconnessi tra loro. In questa struttura di gioco l’obiettivo è quello di dare sempre due o più opzioni al portatore di palla: una corsa stretta ad attaccare la linea ed una corsa invece più profonda ad esplorare l’esterno. Il secondo ricevitore, solitamente quello in seconda linea d’attacco, sarà anche il primo vertice di un nuovo triangolo. Il portatore, quindi, si trova sempre un’alternativa all’altezza ed una in profondità.
Questa struttura non è nulla di eccezionale, è vero. Ma ciò che la rende estremamente efficace sono gli interpreti. I giocatori australiani riescono infatti a ritardare quanto basta la propria linea di corsa per nascondersi dalla difesa avversaria e creare ulteriori dubbi.
Questa struttura rende al meglio tra i propri 10 metri difensivi ed i 22 avversari, quando l’Australia ha meno pressione e quindi meno rischio di perdere il pallone, giocando da posizioni più profonde e meno vicino alla linea di difesa. Quando l’Australia entra o si avvicina ai 22 metri avversari, l’attitudine cambia: il gioco diventa meno espansivo, si gioca più vicini alla linea difensiva ed il numero di passaggi diminuisce per evitare di perdere tutto il terreno guadagnato in precedenza. In questa situazione si ritorna allo scenario iniziale: cercare di guadagnare un calcio di punizione. Infatti, se prima di avere un vantaggio l’Australia si dimostra quasi timida, una volta che l’arbitro alza il braccio per segnalare il vantaggio per i Wallabies, allora la musica cambia. È come se ci fosse un patto con l’allenatore per cui una volta che ci si è guadagnati un fallo allora ci si può liberare degli schemi e si cerca di giocare tutto il giocabile sfruttando appieno il talento e l’atletismo a disposizione.
Il gioco dei Lions: possesso e multi-competenza
Il gioco australiano è innovativo, ma senza troppi rischi. Un gioco che prova a sfruttare al massimo le caratteristiche positive ed a diminuire il più possibile quella sana, ma rischiosa, pazzia insita nel rugby australiano.
Dall’altro lato, il gioco dei Lions è in continua evoluzione, ma ha sicuramente una cosa in comune con i Wallabies: ogni giocatore deve saper fare tutto. E forse nei Lions questo concetto è ancor più estremizzato. Nel sistema di gioco dei Lions, infatti, il gioco viene equamente sviluppato dal mediano di mischia e dal mediano d’apertura, con intere azioni in cui si vedono anche 4 fasi di gioco consecutive giocate dal 9 verso un pod. Un pod che a questo punto non può essere sempre composto da giocatori di mischia, ma che per forza di cose deve vedere anche la partecipazione attiva dei trequarti – spesso dei centri – che si trovano quindi a dover imparare un lavoro che non sono soliti fare.
Viceversa, quando le azioni passano maggiormente per le mani del mediano d’apertura, ci si potrebbe trovare in assenza di centri o terze linee che facciano delle hard-lines a tagliare davanti al playmaker e quindi potrebbe capitare che dei piloni o delle seconde linee si trovino a dover svolgere questo compito.
Il gioco dei Lions è molto espansivo, richiede molta gente in piedi ed in posizione per potersi sviluppare al meglio. Le fondamenta di questo gioco, però, si basano sul fatto che un giocatore sappia districarsi in più ruoli e posizioni in giro per il campo. Se abbiamo detto dei centri che si trovano a fare il lavoro di mischia, spesso accade che le ali si ritrovino come primi ricevitori, e quindi debbano saper interpretare il ruolo di playmaker tipico dell’apertura che in quella situazione potrebbe essere in ruck o semplicemente in ritardo.
Tutta questa struttura permette ai Lions di avere molto possesso e di sfruttare al massimo ogni singola difficoltà della difesa. Certamente in queste prime partite del tour non è stato tutto perfetto, ma i risultati sono stati comunque più che positivi, e gli errori visti sono stati frutto più di una mancanza di abitudine a giocare assieme, che di partita in partita sta venendo meno, più che di un game plan poco adatto ai giocatori.
Un esito scontato, ma staremo a vedere
I Lions sono una corazzata che ora come mai sembra davvero inarrestabile: giocatori in forma, un sistema di gioco adatto agli interpreti ed un mix di gioventù ed esperienza davvero ben calibrato.
Dall’altra parte i Wallabies sono una nazionale in fase crescente, che arriva da molte annate difficili, senza un vero obiettivo a lungo termine ma con un’incredibile voglia di cambiare l’opinione del pubblico australiano. Spesso l’Australia è stata data per spacciata: lo era nel 1991 e poi ha vinto la RWC, lo era nel 2001 contro i Lions e invece vinse la serie. Anche quest’anno tutti, il sottoscritto incluso, vedono come vincenti, ed anche con abbastanza margine, i British & Irish Lions. Ma se c’è una nazionale in grado di ribaltare i pronostici, questa è l’Australia. Non ci resta altro che aspettare qualche giorno, e goderci la serie, che sicuramente non deluderà.