Negli ultimi giorni, il mondo dello sport — e persino la stampa italiana — ha rivolto lo sguardo al rugby inglese per una notizia di grande impatto: Red Bull GmbH ha ufficializzato l’acquisto dei Newcastle Falcons, segnando il debutto del colosso austriaco nel mondo del rugby union. L’operazione non è solo un ampliamento del già vasto portfolio sportivo di Red Bull — che include club di calcio come Red Bull Salzburg, RB Leipzig, New York Red Bulls e Red Bulls Bragantino, oltre alla scuderia di Formula 1 Oracle Red Bull Racing — ma anche un vero e proprio salvataggio finanziario.

I Falcons erano a un passo dall’amministrazione controllata, anticamera della liquidazione che negli ultimi tre anni ha travolto club come London Irish, London Wasps, Jersey Reds e Worcester Warriors. Grazie all’intervento di Red Bull, la Gallagher PREM eviterà di scendere a sole nove squadre, preservando così competitività e appeal commerciale.

Nei prossimi paragrafi ripercorreremo la storia dei Newcastle Falcons, analizzeremo le difficoltà economiche che hanno portato prima alla crisi e poi all’acquisizione per ipotizzare le strategie di Red Bull nel rugby inglese, alla luce dei successi ottenuti negli altri sport con un approccio manageriale e di marketing unico nel suo genere.

  1. Un po’ di storia: dal Gosforth FC ai Newcastle Falcons
    1. La crisi finanziaria e sportiva
  2. L’avvento di Red Bull
    1. Una Red Bull Rugby Academy nel futuro?
    2. Calcio e futuro: il case study del RB Salisburgo con Dario Saltari
    3. Game changer: Il case study della F1 con Matteo Senatore
  3. Il futuro dei Newcastle Red Bulls
  4. Lo spauracchio della R360 e la perdita di identità
    1. Essere o non essere: che ruolo ha la tradizione?
  5. Conclusioni

Un po’ di storia: dal Gosforth FC ai Newcastle Falcons

Come molte squadre del rugby di Oltremanica, anche i Falcons hanno una tradizione iniziata nel corso del lontano diciannovesimo secolo. Il nucleo iniziale prese il nome di Gosforth Football Club e venne fondato nel 1877 da un gruppo di studenti della Durham School. Il gruppo si allargò nel 1882 quando si fuse con il Northumberland F.C. Gli anni delle Guerre mondiali hanno messo a rischio l’esistenza del club perché molti dei suoi iscritti sono caduti sotto le armi sul continente europeo. La rinascita avviene tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta grazie al contributo di giocatori come Arthur Smith (internazionale con la Scozia e selezionato per British & Irish Lions) e Ray McLoughlin (internazionale con l’Irlanda). A coronare l’affermazione del club ci sono state le due John Player Cup (1976-1977), cioè la coppa nazionale inglese che all’epoca aveva di fatto il valore che oggi ha il campionato.

Dopo un lungo girovagare che li ha portati a giocare in diversi campi della contea, finalmente nel 1990 Kingston Park ha aperto i suoi battenti per diventare la casa del club. Il legame tra la squadra, la community e lo stadio è ancora tanto forte che alla nuova proprietà è stato chiesto di non spostare le partite di casa altrove, anche a costo di rinunciare a una nuova infrastruttura più moderna. Tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila Newcastle vince altre due coppe nazionali (2001, 2004) e con il passaggio al professionismo cambia il nome da Gosforth a Falcons, e i colori, dal biancoverde al bianconero.

Il regalo più bello però Newcastle lo fa anche alla nazionale e al rugby tutto lanciando uno dei giocatori inglesi più forti di tutti i tempi: Jonny Wilkinson. Nato il 25 maggio 1979, “Wilco” esordisce con i Falcons nel 1997 entrando presto nel giro della nazionale maggiore. Tra il 1997 e il 2009 gioca 182 partite e mette a referto 2.049 prima del suo trasferimento in Francia. Nella stagione 1997/1998 Newcastle viene promossa in Premiership e conclude l’anno con una sorprendente vittoria in finale contro i Saracens, alzando così la sua prima e unica Premiership. Fino al 2006, quando i Sale Sharks hanno battuto in finale i Leicester Tigers, si è trattato dell’unico successo di una squadra del nord (terra di Rugby League) in Premiership.

Con la partenza di Wilkinson, la squadra non ha più raggiunto i playoff, tranne che nella stagione 2017/2018 quando perse la semifinale contro gli Exeter Chiefs 2018. La stagione successiva è persino arrivata la retrocessione in RFU Championship dove è rimasta per una sola stagione prima di risalire e tornare nella massima categoria durante la pandemia di Covid-19.

La crisi finanziaria e sportiva

La posizione finanziaria netta (attività nette / debito) è un indicatore che mostra se un club ha disponibilità nette positive o debito netto. Per calcolare il debito netto si sottrae dalla somma del debito totale a breve e a lungo termine dell’azienda la liquidità e le disponibilità liquide equivalenti. Fonte: Leonard Curtis Rugby Finance Report 2024

Dopo il terremoto finanziario dovuto alla pandemia da Covid-19 che ha portato al taglio delle sovvenzioni governative e agli stadi chiusi i problemi finanziari del club si sono aggravati. Non è un caso se i bianconeri hanno terminato sul fondo della classifica le ultime tre annate, con solo due vittorie nelle ultime quindici partite giocate in PREM. La fortuna di non essere retrocessi è dovuta al fatto che le squadre che hanno recentemente vinto il campionato cadetto, l’RFU Championship, non sono state in grado di rispettare i rigidi requisiti per la promozione.

La mancanza di fondi e – ancor più importante – di una stabilità economica ha così generato un vero e proprio esodo: Callum Chick, Mateo Carreras, Adam Radwan, Guy Pepper, Jamie Blamire, Matias Moroni, George McGuigan (che tornerà nella stagione 25/26) sono solo i più importanti tra i tanti che hanno fatto le valige e se ne sono andati.

In questa situazione Semore Kurdi, proprietario della maggioranza delle azioni dei Falcons, ha deciso di mettere in vendita la squadra dopo 14 anni in società e oltre 20 milioni di euro investiti di tasca propria. Per evitare di tirare troppo la corda, spaventando eventuali compratori, Kurdi si è detto disponibile a non richiedere il rimborso del prestito. Rispetto a Bath, dove le grandi spese hanno portato infine a un Treble nella stagione appena conclusa, i Falcons hanno cominciato ad avvicinarsi sempre più verso il baratro dell’insolvenza che avrebbe fatto cadere il club direttamente tra le braccia di un amministratore nominato dal tribunale. Poco prima dell’arrivo di Red Bull, i Falcons hanno addirittura chiesto un prestito di 5 milioni di euro agli altri club di PREM per poter partecipare al campionato 2025/2026, e hanno abbassato il monte stipendi a 4.65 milioni di euro (4 milioni di sterline).

Nel 2023 la società che controlla i Falcons e i Thunder, la Newcastle Rugby Limited, ha registrato un calo del fatturato da 14.19 milioni di euro a 13 milioni di euro (cambio euro/sterlina del 14/08/2025).

ll Balance Sheet Test prende in considerazione le attività di un club e le confronta con le sue passività. Se le passività superano le attività, allora si può dire che il club è insolvente (rosso) dal punto di vista patrimoniale. Fonte: Leonard Curtis Rugby Finance Report 2024

Riassumono bene la situazione dei club della Premiership le parole di Christina Philippou, professoressa associata di contabilità e finanza sportiva presso la School of Accounting, Economics and Finance dell’Università di Portsmouth:

«Se i club di di PREM fossero normali aziende sarebbero già fallite. […] Il rugby, nella sua essenza, è un settore in perdita e il 60% [dei club] è tecnicamente insolvente […]» ha spiegato a Business Live.

L’insolvenza è quella situazione nella quale l’azienda non riesce più a fare fronte alle proprie obbligazioni e pagare i debiti. Pertanto si rende necessario l’intervento di un liquidatore che cerchi di pagare i debitori con quello che resta nei conti. L’arrivo di Red Bull va ben oltre il saldo dei debiti e il cambio del nome nome. Significa anche entrare a far parte di un marchio diffuso in oltre 170 paesi in tutto il mondo che ha registrato per il 2024 un fatturato in crescita pari a 11.2 miliardi di euro e che reinveste ogni anno 1 miliardo di euro in marketing e sponsorizzazioni. Un miliardo di euro. Ogni anno.

Lo ripeto perché non vorrei che sembrasse un errore di battitura: un miliardo di euro, nove zeri dopo l’uno. Ogni anno.

L’avvento di Red Bull

Rispetto alla stragrande maggioranza dei club di rugby union inglesi, i neonati Newcastle Red Bulls si trovano nel nord, unica squadra professionistica di union in quelle regioni insieme ai Sale Sharks (Manchester). Le terre prospicenti al Vallo di Adriano sono da molti anni terra di rugby league: Wigan e Leeds – dove Red Bull ha acquistato delle azioni della squadra di calcio – comandano la scena con le loro squadre. Ad aprile 2025, Wigan ha fatto registrare oltre 19.000 persone di media allo stadio in quattro gare casalinghe, seguita dai Leeds Rhinos con 15.000 persone di media in cinque partite casalinghe e dall’Hull FC con 14.000.

Ora, ciò può lasciare al club più spazio di manovra perché non si trova a condividere in uno spazio ristretto la concorrenza di un club rivale di union per “catturare” giocatori interessanti, così come accade per i club del sud-ovest (e di cui abbiamo parlato nell’approfondimento sull’ academy pattern pubblicato su Carborugby). Inoltre, la prospettiva di entrare a far parte di un sistema di accademia sponsorizzato e gestito direttamente da un marchio vincente come Red Bull può attirare molti giovani giocatori di rugby league, della altre accademie e perché no: magari anche a qualche stella aumentando di conseguenza il bacino dei tifosi.

Fonte: Reddit

L’idea di poter entrare in un mercato vivo – quello del rugby inglese – ma allo stesso tempo da sviluppare – quello del nord dell’Inghilterra – ha certamente attratto gli investitori austriaci, da sempre attenti allo sviluppo della community. L’ingresso nel territorio è già avvenuto a piccoli passi sia con l’acquisto di quote di minoranza delle azioni del Leeds, come scritto sopra, sia con la partnership commerciale con il Newcastle United, lo storico club di calcio di Alan Shearer, finalizzata nel 2024. Piano piano Red Bull sta in questo modo dando vita ad un legame con il territorio e le persone, creando un’identità trasversale che unisce calcio, rugby union e rugby league. Gli effetti di questo aspetto sono stati notati intelligentemente da Fleeur de Jong e pubblicati in un articolo su Masters Expo, scritto in occasione di una sua visita a Lipsia:

«[…] Dare per primi, crea un legame con il futuro consumatore. Questo rimane ovviamente l’obiettivo finale. Sia nel mio hotel che nei ristoranti e nei caffè di Lipsia: ovunque ho visto un minifrigo con lattine di Red Bull sul bancone o al bar. Una combinazione di un’immagine sociale, abbinata a un marketing molto sottile e mirato».

Sarà un caso ma proprio come a Lipsia, dove gli affitti e il costo delle case erano più bassi rispetto al resto della Germania, rendendo così l’area appetibile per attirare persone dal resto del paese, nel nord dell’Inghilterra la media gli affitti è più bassa rispetto al centro-sud e alla zona di Londra. Ciò significa costi più alla portata di studenti e famiglie, che devono trasferirsi per sostenere la carriera dei figli, oltre che per gli eventuali investitori interessati a costruire campus, alloggi e strutture di allenamento (il nord è estremamente ventoso ed è necessario avere delle strutture coperte per gli allenamenti).

Parlando di numeri nudi e crudi Red Bull ha sborsato 39 milioni di sterline (circa 45 milioni di euro al cambio euro/sterlina del 14/08/2025) per l’acquisto del club e ha assorbito debiti pari 14 milioni di euro.

Una Red Bull Rugby Academy nel futuro?

Non sarebbe affatto sorprendente, nei prossimi anni, assistere alla nascita di una Red Bull Rugby Academy con sede a Newcastle upon Tyne o nei dintorni. Sarebbe il passo logico di una strategia ben collaudata: creare un ecosistema in grado di attrarre, formare e lanciare giovani talenti, con l’ambizione di trasformarli in campioni. Un modello già applicato con enorme successo in altri sport. Basti pensare alla Red Bull Junior Team, fucina di alcuni dei più grandi piloti della Formula 1 moderna: da Max Verstappen e Sebastian Vettel (entrambi quattro volte campioni del mondo), a Daniel Ricciardo, Yuki Tsunoda e Sébastien Buemi.

Il 5 luglio di quest’anno, poi, Red Bull ha inaugurato la Red Bull Sailing Academy a Marina Monfalcone (GO), con un obiettivo chiarissimo: «far emergere i campioni olimpici di domani». Il messaggio è inequivocabile: ogni sport in cui Red Bull investe, viene integrato in una rete globale di talent scouting, sviluppo fisico-tecnico e comunicazione avanzata. Il rugby non farà eccezione.

Per comprendere davvero cosa questo possa significare per il rugby britannico (e forse mondiale), bisogna guardare oltre il campo da gioco e varcare la soglia del centro sportivo del Red Bull Salisburgo. È lì che prende forma il cuore del progetto: una struttura all’avanguardia, dove scienza, innovazione e formazione si fondono per creare un ambiente di performance totale. Un vero e proprio laboratorio sportivo che va oltre i confini del calcio — e che potrebbe presto riscrivere anche le regole non scritte del rugby proprio a Newcastle.

Calcio e futuro: il case study del RB Salisburgo con Dario Saltari

Sei campi da calcio, un centro diagnostico, mense, stanze da letto, sala pesi di ultima generazione e varie aree sportive distribuite su 12.000 metri quadrati , sono predisposte per accogliere centinaia di atleti provenienti da oltre 10 paesi diversi impegnati nel calcio e nell’hockey su ghiaccio. Non siamo su Marte ma a Salisburgo, in Austria. Per la precisione ci troviamo davanti le porte della Red Bull Academy di Saalachspitz. Qui si sono formati calciatori del calibro di Dominik Szoboszlai, Erling Haaland e Sadio Mané. Inaugurato nel 2014, il centro porta tra le sue mura giocatori scoperti attraverso uno stile di scouting che compre ogni angolo del mondo. Christoph Freund, direttore sportivo del club tra il 2015 e il 2023, ha raccontato in una lunga intervista di Dario Saltari, autore per Ultimo Uomo e podcaster, che «Cerchiamo di conoscere il giocatore con molti video, molte statistiche… parliamo di circa 30, 50 dossier prima di acquistare un giocatore per un processo che può durare dai due ai quattro anni. Quindi iniziamo a studiare i giocatori già dall’under 15 o 16, e ciò che è importante […] è la sensazione che ti restituiscono in partita e negli allenamenti.[…]. Non solo il talento, guardiamo anche la mentalità e il carattere […]» similmente a quello che ci ha raccontato Leonardo Mattoccia qualche tempo fa.

Sempre Dario Saltari, con cui abbiamo chiacchierato per capire meglio la realtà calcistica di Red Bull in vista di questo approfondimento, ci ha spiegato che il sistema RB è in realtà più variegato di quanto si creda anche se, afferma subito: «con Red Bull c’è un prima e un dopo […] e se c’è qualcosa di sicuro è che portano stabilità finanziaria». Entrando nel dettaglio del sistema RB ci ha spiegato: «Al di là di Salisburgo, che è il loro quartier generale, le realtà sono differenti […] Mario Gomez, il DT dell’area calcio, mi ha raccontato che Red Bull cerca sempre di adattarsi alla realtà in cui si cala. In Giappone, ad esempio, non hanno cambiato i colori sociali».

«Il Red Bull Bragantino, in Brasile, è fondamentalmente una base di scouting nel Sud America. I giocatori più interessati vengono poi mandati a Salisburgo». Allo stesso tempo «[…] Red Bull è stata capace di cambiare il modo di pensare il calcio. Guardiola e Klopp ne sono due esempi: pur non essendo cresciuti in casa RB, sono stati influenzati da quel modo di intendere il calcio».

L’ingresso di Red Bull nel rugby apre scenari interessanti sull’evoluzione del gioco e sul modello sportivo che il colosso austriaco potrebbe esportare anche in questo contesto. Lo stile di calcio del Salisburgo e delle altre squadre del gruppo RB è ben noto: un gioco ad «altissima intensità, aggressivo, verticale», fondato su pressing costante, rapidità nelle transizioni e forte componente atletica. Un approccio che privilegia giocatori giovani, in grado di sostenere ritmi elevatissimi e una filosofia che punta a spettacolarità e dinamismo per attrarre un pubblico internazionale, giovane e digitale. Provando ad immaginare come che aspetto potrebbe avere questo stile di gioco applicandolo al rugby non può non venirmi in mente lo stile degli Harlequins. Questo è infatti caratterizzato da ritmo altissimo, gioco offensivo e transizioni rapide — «high pace, high tempo» — che spesso si sviluppano lungo la linea piuttosto che con il tradizionale gioco per vie centrali o al piede.

Una veduta aerea del centro sportivo di Salisburgo. Fonte: RedBull Salisburgo

Forse è arrivato il momento che anche il rugby inizi a ripensarsi, non solo nel modo in cui si gioca, ma anche — e soprattutto — nel modo in cui si propone al pubblico. L’ingresso di un brand come Red Bull, con la sua visione dinamica, globale e orientata allo spettacolo, potrebbe rappresentare un’opportunità per uscire dall’autoreferenzialità che spesso caratterizza il mondo della palla ovale. Il rugby non può più permettersi di rimanere ancorato a un’immagine romantica ma limitante, fatta di “sangue, birra e salsiccia”, se vuole competere con altri sport — primo fra tutti il calcio — nella conquista di nuovi mercati, nuove generazioni e nuovi modelli di business.

Questo non significa snaturare i valori del rugby, ma saperli raccontare in modo più accessibile, coinvolgente e contemporaneo. Serve un cambio di mentalità, anche nella promozione del prodotto: investire su storytelling, digitalizzazione, contenuti brevi ma d’impatto, eventi spettacolari e una narrazione che parli non solo ai puristi, ma anche a chi si affaccia per la prima volta a questo sport. In parallelo, potrebbe essere il momento di riflettere anche su piccoli aggiustamenti regolamentari che, senza tradire l’essenza del gioco, ne aumentino la fluidità, migliorando l’esperienza sia per chi guarda sia per chi gioca.

In un’epoca in cui l’attenzione è un bene sempre più scarso, il rugby ha bisogno di diventare più “visibile” e meno “esclusivo”. E per farlo, ha bisogno di uscire dalla sua comfort zone.

La prospettiva di un impegno di questa portata ha ricevuto l’apprezzamento di Simon Massie-Taylor, CEO della PREM mentre si gode un aumento di audience del 10% rispetto alla stagione precedente ed è forte di un nuovo accordo televisivo con TNT: «Siamo estremamente entusiasti dell’ambizione di Red Bull per il club, che include lo sviluppo del percorso di crescita dei giocatori nel Nord-Est e l’ampliamento della base di tifosi del club. La loro esperienza nello sport a livello globale, dalle competenze nell’alta prestazione al marketing di livello mondiale, porterà un enorme valore non solo al Newcastle, ma all’intera Gallagher PREM».

Game changer: Il case study della F1 con Matteo Senatore

Nel 2005 la Red Bull fa il grande saldo rilevando la scuderia Jaguar ed entrando nel mondo della F1. «All’inizio non furono presi molto sul serio» mi racconta Matteo Senatore, amico, autore per Formulapassion.it ed ex voce della Nascar su Mola Italia (ora Como TV), che ho deciso di contattare per capire meglio come funziona il mondo Red Bull. «Torniamo a 20 anni fa. Fino a quel momento non era mai successo che un’azienda di energy drink entrasse in Formula 1 per comprare una scuderia. E non sono solo rimasti, ma con il tempo hanno anche iniziato e gareggiare testa a testa con Ferrari, McLaren e gli altri team storici». «Poi si sono evoluti portando il loro modo di fare: nuova comunicazione, nuovo modo di approcciarsi ai paddock. Infine hanno creato un loro vivaio, in cui valorizzare i piloti più giovani e lanciarli. L’altro lato della medaglia, però, è che questo atteggiamento aggressivo aumenta il rischio che una volta lanciati in F1 questi ragazzi finiscano per bruciarsi troppo in fretta».

Il team di F1 della RB non ha saputo soltanto vincere, ma ha anche cambiato il modo di approcciarsi alla F1 stessa. Fonte: Red Bull Racing.com

«Hanno sicuramente portato modernità e freschezza. Non hanno investito subito sui campioni in pista ma hanno deciso di muoversi con autorevolezza nell’ambito dell’ingegneria. Adrian Newey ne è l’esempio: arrivò dalla McLaren come uno dei migliori ingegneri della F1 e aprì il primo ciclo vincente della scuderia».

Il futuro dei Newcastle Red Bulls

Al momento, oltre al già citato McGuigan, sono arrivati alla corte di Steve Diamond: Freddy Clarke (da Gloucester), Jamie Hogson (da Bristol), Amanaki Mafi (dai Canon Eagles), Simon Benitez-Cruz (Tarucas) e Ethan Grayson (San Diego), quantomeno necessari per rimpolpare un roster troppo corto, e Tom Christie (Crusaders) per alzare il livello. Quest’ultimo è il primo di alcuni arrivi previsti per l’autunno dall’emisfero sud.

«Tutti i giocatori sono interessanti ora come ora. […] Nei prossimi tre o quattro anni punteremo a strutture di livello mondiale, allenatori di livello mondiale e giocatori di livello mondiale che arrivino a Newcastle, con la speranza di dominare in futuro […]».

Diamond conferma ciò che aveva già dichiarato in tempi non sospetti, ovvero che serve programmare sul lungo periodo e non sul breve, sposando in pieno la filosofia di Red Bull che punta sullo sviluppo in casa dei futuri campioni e delle strutture strutture all’avanguardia come il Red Bull Athlete Performance Centre. Qui sono riuniti sotto lo stesso tetto specialisti dello sport, come preparatori, allenatori, psicologi dello sport e nutrizionisti. E chissà che in un futuro prossimo Diamond non avrà proprio un ruolo direttamente in Red Bull nella gestione degli affari legati al rugby.

Steve Diamond (foto) non è certo riconosciuto per i suoi modi British. Gli viene invece riconosciuta la capacità di trarre il meglio dai suoi giocatori e di saper seminare bene per il futuro. Fonte: BBC.

Newcastle entra così in un network che collega decine di atleti professionisti (tra cui Jack Nowell e Siya Kolisi) e altrettanti team professionistici di vari sport che arrivano al grande pubblico attraverso la Red Bull TV, la piattaforma on demand del brand, e la straordinaria comunicazione della Red Bull Media House. Negli anni i team media e marketing hanno saputo strutturare a livello globale una comunicazione unica e riconoscibile. Bill Sweeney, il CEO della Rugby Football Union (RFU), ha ben ragione quando dice che l’investimento della holding austriaca arriva nel momento giusto in cui la PREM «sta registrando un aumento delle presenze agli stadi, una crescita del pubblico giovane [tra i 18 e i 34 anni, ndr] e un incremento degli ascolti televisivi». È proprio ai giovani che Red Bull sa parlare meglio e a cui si è sempre rivolta.

Lo spauracchio della R360 e la perdita di identità

Considerato che Red Bull ha manifestato un interesse — seppur non ancora ufficialmente confermato — per la cosiddetta “Lega dei ribelli”, la Rugby 360 (R360), e che sarebbe pronta a investire circa 15 milioni di sterline nel progetto, in Gallagher PREM cresce la preoccupazione: la Premiership rischia di diventare un laboratorio sperimentale per testare format e talenti in vista della nuova competizione?

La R360 è una proposta di lega privata di rugby che mira a rivoluzionare il panorama del professionismo, con un format itinerante in stile Grand Prix: partite più corte e spettacolari, franchigie internazionali svincolate dai campionati nazionali, ingaggi milionari, città del calibro di Londra, New York, Tokyo, Sidney, e un forte focus su marketing globale e diritti televisivi. L’obiettivo è attrarre le stelle del rugby mondiale, creando un prodotto mediatico pensato per il pubblico internazionale e per piattaforme di streaming ad alto impatto.

In questo contesto, l’accostamento con Louis Rees-Zammit, prima che si accasasse ai Bristol Bears, era stato letto come un segnale. Il trequarti gallese, di ritorno dall’esperienza in NFL, era stato indicato come possibile arrivo ai Newcastle Red Bulls prima di un eventuale passaggio nella franchigia in R360. Steve Diamond però ha tagliato subito corto a riguardo: «Lui [Rees Zammit] non si unirà a noi per questa stagione».

E se un giorno non troppo lontano sulla divisa di Rees-Zammit ci fosse un logo e un nome che richiamano Londra? Fonte: BBC

La paura della PREM è chiara: se i giocatori inglesi più talentuosi venissero attratti dalla R360, il campionato perderebbe in un colpo solo competitività, appeal e atleti eleggibili per la nazionale. Il nuovo torneo, infatti, offrirebbe stipendi fuori scala e sponsorizzazioni di livello superiore. Secondo indiscrezioni, stelle come George Ford, Henry Slade e Jamie George sarebbero già stati contattati con proposte vicine al milione di sterline l’anno, mostrando apertura informale alle trattative.

Sul fronte televisivo, TNT Sports — broadcaster ufficiale della Premiership — ha dichiarato di non avere alcun interesse a trasmettere le partite della nuova lega privata, confermando la volontà di rimanere fedele all’attuale accordo con il massimo campionato inglese. Una presa di posizione netta, che evidenzia come il progetto R360 Red Bull venga percepito come una minaccia all’ecosistema del rugby inglese, tanto a livello sportivo quanto commerciale.

C’è un ultima possibilità – ma qua siamo già nella fantapolitica – che vorrei condividere per stuzzicare la vostra fantasia, e che semino qua alla fine del paragrafo. Non è che dietro a questo interesse per il rugby, e per il bacino giovanile da cui attingere, non c’è anche l’interesse a prepararsi per gestire una franchigia NFL a Londra?

Essere o non essere: che ruolo ha la tradizione?

Quando l’azienda di Dietrich Mateschitz ha preso il controllo di ciò che restava dello storico SV Austria Salzburg, fondato nel 1933, il messaggio lanciato alla piazza è stato diretto: Questo è un nuovo club, non la continuazione di quello precedente. In altre parole, bisognava dimenticare decenni di storia, vittorie, rivalità e identità locale. Un approccio dirompente, difficile da digerire in qualsiasi disciplina sportiva, e ancor più in contesti dove la tradizione è un valore sacro. In sport conservatori come il rugby inglese, persino una minima modifica al regolamento — come nel caso recente della limitazione dei placcaggi nel rugby amatoriale — può scatenare proteste e opposizioni formali. Immaginare, quindi, di cancellare di colpo simboli, colori e riferimenti storici di una squadra radicata nella comunità sembrava una mossa destinata a generare attrito.

Il rebranding voluto da Red Bull fu radicale: sparirono il viola e il bianco, colori che per oltre settant’anni avevano rappresentato l’Austria Salzburg, sostituiti dal bianco e dal rosso, in linea con l’immagine aziendale del marchio. Lo stemma tradizionale fu rimpiazzato dal logo con i due tori, e il nome stesso cambiò in FC Red Bull Salzburg. Per i tifosi più legati alla storia del club si è trattato della cancellazione di un’eredità sportiva e culturale.

La reazione non si fece attendere. I gruppi organizzati di sostenitori, in particolare gli ultras, organizzarono cortei, striscioni di protesta e boicottaggi delle partite ufficiali. Una parte significativa della tifoseria decise di non riconoscere il nuovo club come erede legittimo dell’Austria Salzburg e, nel 2005, fondò una nuova società: il SV Austria Salzburg che ripartì dalle serie minori mantenendo colori, nome e simboli originari.

Come raccontarono diversi tifosi, «Hanno cambiato i colori, il nome, lo stemma, e ci hanno detto: ‘Questo è un nuovo club, non c’è alcuna storia’. Per noi, questo è stato il segnale definitivo che non aveva nulla a che fare con l’SV Austria Salzburg».

La curva dell’Ambrì-Piotta, squadra della National League di hockey svizzera. Fonte: Area

Anche nell’hockey le cose non sono andate diversamente. Lo stesso trattamento ebbero infatti la concittadina, l’HC Salzburg, poi EC Red Bull Salzburg dopo il passaggio di proprietà nel 2000, e l’ EHC Red Bull München divenuto poi una squadra vincente in Germania grazie proprio agli investimenti della nuova proprietà.

Il discorso si complicò quando Red Bull espresse l’interesse ad entrare nel mercato svizzero attraverso l’acquisto dell’ HC Ambrì-Piotta. Si tratta di un club dalla lunga tradizione che a discapito delle dimensioni dei due centri abitati che rappresenta, compete in un campionato ricco come la National League svizzera, sostenuto da un zoccolo duro di tifosi e ultras. Alla manifestazione di interesse di RB, i tifosi risposero protestando animatamente chiamando in loro soccorso i supporter dell’Eisbären Berlin, gemellati con gli svizzeri e acerrimi rivali del RB München. Il messaggio che scrissero sugli striscioni era chiaro e diretto: «giù le mani dalla storia. Red Bull vai a…».

Se Red Bull dovesse adottare un approccio radicale tout court con un club iconico come il Newcastle Falcons, potrebbe essere rischioso anche se, i London Wasps, quando lasciarono Londra, non incontrarono troppa opposizione e i tifosi dei gli ex Falcons non sembrano così agguerriti. L’operazione potrebbe portare una forte spinta commerciale e mediatica, ma anche generare boicottaggi, proteste di piazza e una crisi di rigetto dalla base storica dei supporter, replicando in modo minore i casi che abbiamo incontrato.

Conclusioni

L’arrivo di Red Bull ha salvato i Falcons e la PREM dal baratro, ma ora dovrà dimostrare di saperli far volare senza strappare le radici che li tengono legati a Newcastle, alla comunità e al suo passato. Se il modello di investimenti, strutture e marketing che ha funzionato in altri sport verrà applicato con sensibilità e successo i Falcons — ora Red Bulls — potrebbero diventare un caso di studio su come riportare competitività e sostenibilità a un club in crisi oppure, nella peggiore delle ipotesi, resterà l’ennesima storia di un gigante che ha cambiato colori e simboli senza ottenere nulla.

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