Fatta esclusione per il calcio che pervade l’Italia intera, il rugby è probabilmente il secondo sport più popolare in Veneto, nonostante altri sport come il Basket abbiano molto seguito e praticanti. Come avviene anche in altre zone d’Europa, dove il calcio non è particolarmente forte il rugby lo è. Stilando una lista dei giocatori che han vestito la maglia azzurra raggruppati per provenienza geografica, il Veneto è la regione più rappresentata (vedi immagine più sotto). La nostra regione ha rappresentato da sempre una roccaforte di questo sport nel suolo italiano. Guardando tutte le edizioni del campionato italiano dal 1928 al 2022, è la regione con più scudetti (più di 40) sommando Treviso, Padova, Rovigo e Mogliano, nonostante la squadra più titolata sia Milano con 18. Quando, nel 2010, si decise di iniziare l’esperienza celtica, la prima proposta naturale fu quella di federare i club del triveneto in un’unica franchigia che vincesse davvero (i Dogi) sfruttando l’elevata popolarità del rugby in questa zona d’Italia. Nonostante alla fine delle discussioni fu Treviso da sola ad andarci, questo testimonia l’importanza di questo sport anche a livello di investimenti economici da queste parti. In altre parole, fare rugby in Veneto paga più che altrove per chi ci investe due soldi. Per esempio, quando a Marzo l’Italia ha battuto il Galles a Cardiff per la storica prima volta i giornali sportivi italiani hanno comunque preferito parlare d’altro nelle prime pagine, incluso nei titoletti a lato. Ne La Tribuna di Treviso, invece, una menzione in prima pagina c’è stata. Con queste premesse, spero di avervi convinto che si tratta di una regione dove il rugby è di grande importanza. In questo articolo voglio prima ripercorrere velocemente la storia del rugby in Veneto e poi parlare delle prospettive future, viste le recenti dichiarazioni del vice-presidente del Petrarca Padova ospite a Dalventotto, podcast sul Top10.

20 Marzo 2022: in prima pagina, della vittoria dell’Italia non c’è traccia. Ma del chiacchiericcio calcistico sappiamo tutto.

Poca città, molta fisicità

Irlanda, Galles, Scozia, Francia del Sud, Veneto. Cos’hanno in comune questi territori? Non si tratta di parti del mondo altamente urbanizzate e cittadine. Le grandi città di questi territori non sono neanche lontanamente delle metropoli: Dublino, Cardiff, Tolosa, Edimburgo, Glasgow e Montpellier sono più piccole di Torino; Swansea, Belfast e Bordeaux sono più o meno grandi come Padova; Clermont-Ferrand, Tolone, Limerick (Munster), Newport (Dragons) e Perpignan sono comparabili con Treviso. Castres, Pau e Biarritz sono tutte città più piccole, come anche Galway (Connacht) e Llanelli (Scarlets). Non è facile fare delle associazioni basandosi solo sul numero di abitanti, ma è chiaro che in zone del mondo a minor densità urbana le comunità locali tendono ad essere più forti e le rivalità più sentite, spesso perché legate ad una dimensione più storica, rurale, meno cosmopolita. Uno sport come il rugby offre un grande palcoscenico per questo tipo di sentimenti: gli scontri duri sono consentiti, le chiacchiere sono viste male: la fisicità messa in campo ben si sposa con rivalità come quelle fra Padova e Rovigo, o fra Treviso e Padova, sempre alla ricerca di far meglio dei vicini di casa sin dai tempi della Repubblica di Venezia e dei suoi giochi primaverili fra contee. Vivendo all’estero mi capita spesso di descrivere la mia terra (il Veneto) a persone che conoscono l’Italia per stereotipi. Una delle cose che mi son trovato più spesso a dire è che non abbiamo città grandi. Ti chiedono quale sia la città più grande vicina a te, e a parte la famosissima Venezia che però grande non è, la più vicina è alla fine Milano, la quale, culturalmente parlando, è in un altro continente.

Giocatori di rugby italiani per provenienza regionale. Fonte: Reddit r/rugbyunion.

Tutto comincia a Padova

Come sappiamo, anche se non ci piace sbandierarlo troppo, il nostro sport è stato fortemente appoggiato dal regime fascista in quanto sport combattivo e cameratista. Durante il fascismo, l’Università di Padova vide un vero e proprio fiorire di attività sportive studentesche fra cui anche il rugby. Come riportato in un articolo di Mario Bocchio, negli anni 20 il gioco venne esportato dagli studenti dell’Università di Padova nelle altre città come Treviso e Rovigo, attechendo fra i giovani nei contesti studenteschi. Non si trattava, per quanto ne so, del Petrarca Padova oggi leader del campionato italiano, ma di associazioni studentesche come quella del CUS Padova (allora GUF, “gruppo universitario fascista”). Le tre città in cui il rugby raggiunse presto livelli elevati furono proprio Padova, Rovigo e Treviso, nei rispettivi GUF. Che piaccia o no a noi trevigiani, fra queste è Padova ad essere la più “città”. La rivalità nasce anche da là: un senso di rivalsa della provincia verso la città che uno sport fisico come il rugby può appagare appieno, non lasciando nulla di intentato sul campo. Non è un caso che in luoghi come Rovigo si conservi un culto di personaggi come Battaglini che rasenta quello napoletano per Maradona, con tanto di stadio intitolato ed effigie dipinta sugli spalti. Come spesso accade in Italia, il successo di uno sport in un territorio si deve larga parte alle rivalità che riesce ad alimentare e appagare. La presenza allo stadio dei tifosi a sostegno dei propri colori avviene non solo per sostenere la propria squadra ma anche per scoraggiare quella avversaria, rea di provenire da un’altra città, e spesso la goliardìa fa da motore trascinante dell’entusiasmo. Più vicina è la città, più forte è la rivalità (vedi Biarritz-Bayonne in Francia), ed ecco che in qualche decennio si crea un triangolo rugbistico di estrema competitività fra questi tre centri urbani veneti. Vanno menzionati anche il Venezia Rugby Football Club e il Mestre Rugby, poi unitisi nel Veneziamestre (dal 1986), un’altra realtà di spessore in Veneto fino al 2011. Negli anni 50′ nascono anche società come Mogliano e San Donà, mentre le provincie di Vicenza, Verona e Belluno seguiranno ma solo negli anni 60-70, come altre società oggi importanti come il Tarvisium.

La famosissima meta di Michael Lynagh contro Rovigo nel 1992.

Molti migranti di ritorno da terre rugbistiche

Chiunque provenga dal Veneto, in particolare dal suo lato più rurale (dała campàgna, come direbbero a Venezia) ha qualche parente emigrato in Francia, Argentina o Regno Unito. Se per te che leggi così non è, sei sicuramente in minoranza. Molti di questi sono emigrati durante il regno d’Italia o durante la dittatura, o comunque entro la prima metà del novecento, ma tanti sono poi tornati. Non è difficile pensare che qualcuno di essi abbia riportato a casa con sè una passione per questo sport, e sebbene non ci sia una chiara origine della passione veneta per il rugby, questo fenomeno ha sicuramente contribuito a rinforzare il sentimento. L’origine della passione per il rugby dei trevigiani, ad esempio, è stata di recente dibattuta in un evento pubblico patrocinato da Benetton Rugby, segno che si tratta di un tema caldo anche a livello storico-filosofico. Il numero di società rugbistiche e la capillarità con cui si diffondono nel territorio trevigiano, padovano e rodigino è uno specchio di questo. Solo tre anni fa (2019), la femminile del Villorba Rugby vinceva il suo primo storico scudetto; Villorba ha appena 17,000 abitanti, e sebbene sia sostanzialmente confinante con Treviso, nella scena locale deve vedersela con le Red Panthers, detentrici della maggior parte degli scudetti femminili italiani, e con il Valsugana Rugby di Padova, quest’anno campione d’Italia proprio battendo il Villorba in finale.

Le celebrazioni per la vittoria dello scudetto da parte delle ragazze del Villorba Rugby nel 2019.

Qualche problema a ragionare come un collettivo

Come ben sappiamo, da più di 10 anni Treviso non gioca più nel campionato italiano ma nello United Rugby Championship (all’epoca Celtic League) assieme a franchigie di Galles, Scozia, Irlanda e Sud Africa. Ci gioca insieme alle Zebre, franchigia federale totalmente a carico della FIR. Questo esperimento ha portato una grande quantità di novità nel panorama italiano, il quale nel primo decennio del 2000 aveva faticato a reggere il passo del professionismo. Ha però introdotto anche una frattura nel movimento italiano, separando le realtà di alto livello da quelle del massimo campionato. Se è vero che le franchigie hanno dato all’Italia due sbocchi simil-professionistici, è anche vero che hanno svuotato di interesse mediatico il massimo campionato italiano, nel quale i club hanno ancora molti tifosi. Le rivalità locali, in particolare in Veneto dove ci si è contesi vari scudetti, fanno sì che difficilmente un padovano, veneziano o rodigino (rovigòto) venga a tifare Treviso in URC. Ne conosco giusto un paio, e un po’ se ne vergognano a dire il vero. Nel resto dello stivale il minor interesse per il rugby fa sì che non ci sia grande seguito verso le squadre del proprio territorio, con il solo Sei Nazioni a venire seguito universalmente dagli appassionati. La conseguenza di questo è un basso interesse da parte dei network televisivi per il “prodotto rugby” in Italia, perché difficile da spendere sul suolo nazionale. Le franchigie, sebbene vedano le proprie partite trasmesse da Mediaset, faticano a farsi tifare dagli appassionati di rugby italiani, mentre i club di Top10 faticano a proporre un rugby di buon livello che interessi alle televisioni. In questo ciclo sono passati 7 anni senza vittorie al Sei Nazioni, conclusisi con la vittoria a Cardiff di Marzo, si sta perdendo molto denaro, e una decisione andrà presa nel prossimo futuro per cercare di bloccare l’emorragia e tornare a crescere. Questa decisione rischia di accentrare tutto il rugby d’alto livello in Veneto, una soluzione drastica che a molti non piace ma che, a parte gli evidenti problemi demografici che porrebbe, avrebbe anche dei pregi, che voglio provare ad argomentare.

Marzio Innocenti, nuovo presidente FIR, accolto come l’uomo del cambiamento alla sua elezione (2021). Riuscirà a cambiare le cose?

Il futuro: Padova franchigia?

In questo contesto, anche a causa degli scarsi risultati delle Zebre, il Petrarca Padova si è candidato a rilevare la franchigia delle Zebre già nel 2020. Questo ha portato anche il patron del Rovigo ad effettuare la candidatura contestualmente. Se è vero che, da Veneto, l’idea mi piacerebbe assai, sembra egoista pensare di vedere due squadre venete in United Rugby Championship. Difficile che la federazione possa voler andare in questa direzione. Per contrasto, una frangia neanche piccola di amanti del rugby vorrebbe veder terminato l’esperimento-franchigie in toto, ricreando un campionato italiano più di spessore e redistribuendo i ricavi su tutti i club. Il presidente Innocenti, che voleva puntare su un Top10 competitivo e professionistico, riteneva che il Top10 andasse rinforzato con molti investimenti, lasciando le licenze di franchigia a chi ha i soldi per arrangiarsi. Attenzione: le franchigie ricevono comunque un lauto finanziamento dalla FIR (attorno ai 4 milioni di €) ma se capaci di pareggiare l’investimento con capitali privati possono essere competitive sul piano internazionale, attrarre giocatori e staff di prima fascia, ed essere davvero un luogo formativo di primo livello per la meglio gioventù del nostro rugby. Se non possono farlo, rischiano di essere soldi buttati. Nell’ultima puntata di Dalventotto, il vicepresidente del Petrarca è stato cristallino: loro han fatto la loro candidatura, sono pronti a rilevare le Zebre, manterranno una seconda selezione nel circuito italiano (attualmente in Serie A) e pareggeranno l’impegno economico della FIR come fa il Benetton Treviso. Hanno, inoltre, aperto la porta ad una partecipazione rodigina se ci fossero gli estremi per farlo. Il presidente ha una bella gatta da pelare: soldi, interesse, e strutture ci sono già, ma sono tutte in Veneto, cosa ne penserà il resto d’Italia se dovesse succedere? Se il Petrarca fosse di Torino, Milano, Firenze, Roma o Napoli non si starebbe nemmeno discutendo di questo, ma la grande vicinanza con Treviso fa riflettere un po’ tutti.

Video integrale della vittoria del Petrarca Padova sul Rovigo in finale di Top10 nella stagione corrente (2021/22).

Quali sarebbero i lati negativi di una franchigia a Padova?

Per quanto mi riguarda, il principale lato negativo è quello di rischiare di fare del gatekeeping a livello italiano. Fare gatekeeping significa fare i “buttafuori della discoteca” con qualcosa, lasciando fuori chi non è vestito bene o non rispetta il dress-code della festa; in questa analogia, si tratterebbe di lasciar fuori dal cerchio dei big chi non ha abbastanza risorse per finanziare una squadra di alto livello e accompagnarla con strutture, academy e percorsi di formazione distribuiti sul territorio. In buona sostanza, creare un club esclusivo di gente che ha accesso a un bene prezioso, lasciando fuori chi non è all’altezza. Per capirci, è la stessa sensazione in piccolo che proveremmo se sostituissero l’Italia col Sud Africa al Sei Nazioni per alzare il livello tecnico del torneo. Un secondo lato negativo sarebbe l’incremento della competizione sul territorio per accaparrarsi i migliori talenti. Sia chiaro, questa competizione già c’è, non è nulla di nuovo, ma si estenderebbe oltre le giovanili arrivando fino alla prima squadra. Il Benetton Treviso non avrebbe mai avuto Michele Lamaro, Paolo Garbisi, o altri campionati passati prima da Padova. Uno dei motivi per cui la struttura corrente funziona almeno in Veneto è che i giocatori più promettenti finiscono tutti in una sola squadra, giusto o sbagliato che sia. Un terzo problema sarebbe la perdita di rilevanza sul piano nazionale, in quanto la già ridotta rappresentazione del rugby nei media sarebbe ulteriormente ridotta dalla mancanza di squadre di respiro europeo nel resto dello stivale. Infine, un lato negativo non ignorabile è quello degli investimenti fatti per lo stadio Lanfranchi di Parma e il centro di allenamento, che sono costati molto negli anni.

Lo stadio Lanfranchi di Parma.

Quali sarebbero i vantaggi di una tale mossa?

Immaginiamo che succeda: quali sarebbero i lati positivi da un punto di vista prettamente razionale? Il primo che mi viene in mente, non per forza il più importante, è l’avere un derby molto sentito in un campionato di rilievo internazionale. Le TV fanno gran parte degli incassi al giorno d’oggi, e in aggiunta, gli stadi di Treviso e Padova sono abbastanza capienti per fare buoni numeri al botteghino. Il cosiddetto derby con le Zebre non è mai stato sentito da nessuno, e a livello mediatico non è facile da vendere. Una partita contro Padova, invece, avrebbe molto più appeal da quel punto di vista. I derby vendono i biglietti, guardate la finale di Top10: c’è solo da guadagnare ad averne di più nel palinsesto. A parte i derby, le partite internazionali avrebbero un notevole appeal turistico, che però va detto che c’è anche a Parma. Padova è una città bellissima, a due passi da Venezia, ed è facile da raggiungere essendo vicina all’aeroporto internazionale di Venezia. Questo insieme di vantaggi darebbe sicuramente risalto al rugby italiano sul piano internazionale. Un interessante side effect è quello che se la FIR dovesse incassare di più, avrebbe più possibilità di re-investire dove c’è bisogno di investimenti. Un secondo vantaggio, forse più importante del derby, è il fatto che Padova ha già una società, un campo, un academy e una struttura di allenamento solidi e ben avviati. Il centro di allenamento è di alto livello, lo staff è competente, la società è ben strutturata e ricca di persone coinvolte. Se c’è una cosa che molti dicono delle Zebre è la loro mancanza di profondità societaria e di organico dopo la prima squadra. Inoltre, a Padova c’è una grande academy con tanti bambini e adolescenti iscritti. La presenza di un academy è fondamentale per creare un’identità societaria, ancor più a livello di franchigia dove hai bisogno di fatturare anche su quello. Oltre all’academy, la città di Padova ha uno sviluppato rugby femminile rappresentato dal Valsugana Padova. Il “Valsu” è un’altra società, ma se lo URC femminile dovesse diventare realtà, ci sarebbe la possibilità di unire gli sforzi in qualcosa di grande. Un ultimo pregio che mi viene in mente è visto da molti come un difetto: la vicinanza fra le due città, infatti, potrebbe facilitare e non poco gli stage della Nazionale, che richiederebbero meno sforzi logistici e movimenti. I 50 km fra Padova e Treviso, che sono gli stessi che ci sono fra Glasgow e Edimburgo, ridurrebbero notevolmente i tempi tecnici per effettuare un raduno, fluidificando la manovra fra franchigie e Nazionale.

Padova, la chiesa in prato della valle.

Ci sono delle alternative a Padova?

Io penso che opporsi all’idea di una seconda franchigia in Veneto sia sensata come posizione per chi non è di qua, ma penso anche che si debba contrastare con altre idee e non solo con opposizione bieca. Se ci sono delle alternative, che vengano proposte ed esposte. Che si faccia una valutazione, una scelta razionale basata su quel che si può e non si può ottenere. I fatti parlano chiaro: il Petrarca ha messo sul piatto molti soldi e non ci sono altri imprenditori in Italia che lo hanno fatto. Possiamo davvero rinunciare ad un’opportunità così? Questa è la domanda che va fatta. Le grandi città come Roma e Milano sono luoghi dove sarebbe bellissimo avere una franchigia, ma non c’è traccia di investitori pronti a metterla in piedi. Servono molti soldi, almeno 4 milioni di €, e non è facile convincere un imprenditore o una cordata che son soldi ben spesi vedendo l’esperienza-Zebre. Serve un collegamento col territorio, un’identità forte, qualcosa che possa portare la gente allo stadio e creare un circolo virtuoso. L’ideale sarebbe sfruttare club già esistenti, come successo con Treviso. In quest’ottica, purtroppo, nè Roma nè Milano ha dei club forti attualmente papabili per questo ruolo. Se è vero che a Roma il rugby è forte, si tratta comunque di tre squadre (Fiamme Oro, Capitolina, Lazio) di cui solo una è nel massimo campionato e rappresenta la Polizia di Stato. Il CUS Torino rappresenterebbe una realtà virtuosa e in crescita, ma il presidente ha già detto di voler continuare a giocare con gli studenti. Insomma, di alternative all’offerta di Padova non ce ne sono, e la decisione da prendere sarà dunque se continuare per la stessa strada o sfruttare una destinazione che ha già le risorse pronte. Noi non possiamo che attendere.

Autore

  • Matteo Schiavinato

    Sono laureato in Biologia Molecolare a Padova, ho un Dottorato in Bioinformatica a Vienna, lavoro in Università a Barcellona e mi chiedo tutti i giorni se non dovevo fare l'ISEF quella volta e studiare sport. Nel tempo libero dal lavoro mi vesto di biancoverde, conduco il podcast "Leoni Fuori", scrivo articoli sul rugby, suono vari strumenti musicali e scrivo di film d'azione.

Un pensiero riguardo “Il rugby in Veneto fra passato, presente e futuro: cosa ci aspetta?

  1. Secondo me il problema di accentrare il Rugby di alto livello in una sola regione è un non problema. Provo a spiegarmi sinteticamente.
    1° punto vedendo il Rugby come “prodotto” è giusto che esso sia distribuito dove c’è più richiesta e dove quindi nel medio e lungo termine può fornire un ritorno degli investimenti che può essere utilizzato per lo sviluppo di questo sport anche al di fuori del Veneto
    2° punto, secondo me ancora più importante è il seguente. Se il Petrarca o Rovigo entrano in URC con solidi progetti la speranza è che la squadra ottenga dei risultati paragonabili a quelli del Benetton 2019 se non meglio. Perchè non pensare a questo punto ad un effetto virtuoso che porti ad avere due franchigie competitive (Treviso già in parte lo è) che possano fare avvicinare a questo sport tifosi da altre parti di Italia. E magari ne beneficerebbe anche la nazionale.

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